L’ORA NERA DEL CALCIO NOSTRANO

   di Ermanno Falco

Al momento di scrivere queste note è appena ripartito il campionato a tre gironi della cosiddetta “Lega Pro”, una denominazione che vorrebbe essere spigliata e al passo coi tempi, lessicalmente infarciti di acronimi ed anglicismi, ma che sa tanto di fastidioso burocratismo, mentre basta oggi come ieri una semplice lettera dell’alfabeto, la C, per individuarne ambito e grado.

Il giornalismo sportivo che si occupa di calcio è da sempre impegnato a coprire lo spazio estivo che per forza di cose nell’emisfero boreale stenta ad offrire avvenimenti agonistici significativi e lo fa con lampi di vero e proprio genio creativo tali da nobilitare il genere, elevandolo sovente al rango della narrativa letteraria superiore, o presunta tale.

Prima che lo spietato “soccer business” originato dalla globalizzazione finanziaria stravolgesse abitudini e programmi la bella stagione del calcio era monopolizzata dai ritiri delle squadre in località di medio-alta montagna, situate per lo più su Alpi e Prealpi, quando non nelle più raccolte e assolate perle appenniniche.

Le redazioni centrali delle maggiori testate sportive spedivano a quel tempo legioni di inviati che, con la scusa di fornire quotidianamente al popolo dei fumosi bar di città o degli stabilimenti balneari, infuocati da calura e scollacciature annesse, ogni più piccolo particolare sulla preparazione dei propri idoli, trascorrevano fino a tre settimane di lieto soggiorno spesato, lautamente retribuito e magari ulteriormente allietato da qualche piacevole avventura a guisa di vezzosa ciliegina che ci sta sempre bene su ogni torta che si rispetti.

Il fatto è che da sempre l’Italia detiene il primato mondiale del numero dei quotidiani solo sportivi, surclassando in questa particolare classifica addirittura gli Stati Uniti, per non parlare dei Paesi europei più accreditati. Questo perché molto più che altrove l’interesse della gente per la propria squadra e di rimando anche per le altre non conosce cali di tensione, anzi al contrario, si addensa e si accresce quando l’appassionato non ha sotto gli occhi prestazioni e dichiarazioni in grado di illudere la propria sete di calcio.

Oggi per la verità quel mondo forse più ingenuo e romantico, ma sicuramente più immaginifico e suggestivo, appare consegnato all’album dei ricordi: i ritiri in montagna si fanno sempre più rari sia perche le cosiddette “grandi” dopo solo qualche giorno speso velocemente tra visite mediche e convenevoli mediatici volano subito oltre oceano o in altri posti stralontani per disputare amichevoli economicamente ultra redditizie contro avversarie altrettanto blasonate provenienti dai più importanti campionati nazionali europei, oppure scelgono di effettuare la preparazione per un periodo assai più breve di quello di una volta all’interno dei loro quartier generali, o centri sportivi, ove spesso si disputano anche amichevoli con formazioni di rango inferiore per provare tattiche e schemi preservando nel contempo rotule, stinchi e fasce muscolari in vista dei numerosi e pesanti impegni ufficiali in calendario.

Ma se il grande calcio col tempo si è radicalmente trasformato allontanandosi dai nostri monti e colline, la serie C ha invece mantenuto usi e connotati di un mondo ancora a portata di mano, con uomini che sono rimasti tali e cioè ragazzi della porta accanto che potrebbero essere e spesso sono nostri figli e nipoti e che dopo l’allenamento non disdegnano di entrare in un bar per godersi, tra una birretta e un caffettino , l’attenzione ammirata e la conversazione fluente dei fans della loro squadra, in un contesto paritario e dialogante che, com’è giusto che avvenga tra sportivi, non dà spazio a presunzione e divismo.

Stiamo parlando di una condizione psicologica e sociale al tempo stesso che ancora contraddistingue i rapporti umani e non solo sportivi nella provincia italiana, ancestrale crogiuolo di uomini, terre e mattoni tenuto insieme dal piacere-dovere della partecipazione di tutti, ciascuno per il ruolo che ricopre, al vissuto presente della propria comunità in ossequio ad un patto che si tramanda da generazione in generazione.

Ecco spiegato il pervicace attaccamento ai colori della maglia che rappresenta l’onore sportivo della città, a prescindere dalle altalenanti fortune in cui questa può trovarsi nel corso della propria storia. Come in ogni matrimonio indissolubile che si rispetti il tifoso è disposto a rimanere fedele alla sua squadra sia nella buona che nella cattiva sorte. Ma deve essere una sorte puramente e rigorosamente sportiva, segnata dai meriti o, viceversa, dalle colpe di chi vive da protagonista l’agone sportivo che si dipana in partite e tornei.

Quando invece la decadenza calcistica, anziché dalla criticità dei risultati, dipende da guai e beghe di carattere amministrativo e/o finanziario, il tifoso si sente tradito e vilipeso non soltanto nelle aspettative di vittoria da conquistare sul campo, ma finanche nei suoi limpidi principi di onestà, trasparenza e rispetto delle regole che se ci si riflette, costituiscono l’ultima frontiera del bene in un mondo pervaso da competitività selvaggia, profitto e cattiveria.

È quanto accaduto nel corso di questa lunghissima estate a due società che hanno fatto la storia del calcio abruzzese-molisano (non ho scritto apposta abruzzese e molisano sia perché i due territori hanno sempre marciato calcisticamente insieme, sia perché sono convinto che le due regioni prima o poi, per forza di cose, sono destinate a riunirsi).

Teramo e Campobasso, in esito ad una estenuante sequela di ricorsi prima davanti agli organi di giustizia sportiva e poi a quella ordinaria amministrativa (Tar del Lazio e Consiglio di Stato), sono state di fatto “cacciate” dalla serie C e dovranno mestamente ripartire dalle rispettive categorie di Promozione regionale.

Alla base di entrambi i drammi sportivi vi sono delle irregolarità finanziarie che nel caso dei molisani consistono in tre debiti tributari vecchi di qualche anno, quando i rossoblu militavano in serie D e per i quali la (semi) rinnovata dirigenza, pur conoscendone esistenza ed entità, non aveva provveduto a formulare e a proporre alcuna ipotesi di rateizzazione.

Ripercorrendo per ordine gli avvenimenti delle ultime settimane, viene a galla una vera e propria beffa ai danni del Campobasso, la cui condanna finale sarebbe scaturita da una strategia difensiva rivelatasi in ultima analisi deleteria ed autolesionista.

Se infatti si vanno a leggere le motivazioni con cui la Presidenza Federale ha respinto la richiesta del sindaco del capoluogo regionale molisano di attivazione delle norme federali per consentire l’iscrizione del Campobasso almeno alla serie D, si apprende che questa non può essere accolta perché nel frattempo “i gironi ed i relativi calendari del campionato interregionale sono stati già predisposti con avvio della competizione già programmato per il prossimo 4 settembre”.

Il che, in parole povere, vuol dire che a causa dei ricorsi proposti dinanzi agli organi di giustizia amministrativa la FIGC aveva sospeso l’esame della richiesta sindacale, ma non la predisposizione di gironi e calendari di serie D, onde al momento dello scioglimento della matassa giudiziale non c’era più margine per esaminare ed eventualmente accogliere i “desiderata” dell’Amministrazione Comunale.

Una fine, quella dei “Lupi”, decretata da un combinato di cavilli burocratici ed errate strategie processuali e tuttavia prima avviata da una colpevole sciatteria gestionale e poi certificata dalla totale indisponibilità dell’imprenditoria regionale che ha lasciato andare deserta la procedura per l’acquisizione d’interesse esperita in tutta urgenza dal sindaco.

Diverse circostanze, ma medesimi gli esiti che hanno portato al, si spera momentaneo, allontanamento del Teramo dalla dimensione calcistica che gli compete per storia e aspettative della tifoseria.

La società biancorossa già nel mese di marzo 2021 risultava in stato di carenza finanziaria, come rilevato dall’indicatore di liquidità, e da allora non veniva adottato alcun provvedimento volto a ripianare le passività emerse. Non vi era nessuna traccia delle prescritte relazioni della società di revisione, nè era stato ottenuto nei termini il nulla osta alla rateizzazione dei debiti fiscali maturati.

Come si vede anche qui viene a galla uno stato di estrema criticità finanziaria e amministrativa, mentre di ben altro livello era sempre stata la cifra tecnica della squadra, capace di ultimare con onore il campionato 2021-2022 piazzandosi al quindicesimo posto dopo essersi tolta anche qualche bella soddisfazione come l’eliminazione inflitta al Pescara agli ottavi di Coppa Italia.

E dire che i biancorossi aprutini al termine del torneo 2014-2015 erano approdati in B alla fine di una esaltante cavalcata sotto la guida tecnica di Vincenzo Vivarini e con giocatori del calibro di Andrea Bucchi, Alfredo Donnarumma ed un certo italo-peruviano dal nome Gianluca Lapadula.

Ma la scoperta di una maldestra “combine” imbastita col Savona per vincere lo scontro decisivo per la promozione aveva spento crudelmente i sogni dei sostenitori del “Diavolo”, ricacciando la squadra in Lega Pro con in aggiunta ben sei punti di penalizzazione.

Da quell’infausta stagione le sorti societarie del Teramo non si sono mai veramente emancipate da situazioni di persistente criticità, mentre il campo continuava invece ad elargire prestazioni e risultati più che dignitosi ai propri fedeli sostenitori.

Luciano Campitelli, Franco Iachini, Massimo Ciaccia: in questi ultimi 14 anni successivi al fallimento che nel 2008 mise fine all’era Malavolta, l’alternanza al timone del Teramo non ha dato i frutti sperati, mentre niente di male si può dire per chi di volta in volta ha assunto le responsabilità tecniche di vario livello in seno alla Società.

In questi primi giorni di settembre 2022 nella città pretuziana agiscono due società: la vecchia Teramo Calcio s.r.l. ancora in mano al gruppo Ciaccia-Iachini-Spinelli, persistentemente impegnata a garantirsi una qualsiasi sopravvivenza a mezzo di ulteriori impugnazioni giudiziali e la neonata “s.s.d. (società sportiva dilettantistica) Città di Teramo”, costituita da imprenditori locali con l’obiettivo di disputare la Promozione regionale per poi far risorgere il calcio teramano.

Insomma, una vera catastrofe per il calcio abruzzese e molisano, mentre di converso e per fortuna, dopo anni di stagioni negative culminate con la perdita della B e conseguenti disaffezione e calo di presenze all’”Adriatico”, quest’anno sembra finalmente possa tornare a rifulgere la magica stella biancazzurra, un Pescara rinnovatissimo e ben motivato che può legittimamente candidarsi a tornare quel faro in grado di rischiarare da solo il panorama di un calcio abruzzese fattosi alquanto tetro e deprimente.

Lascia un commento