Geografia del coronavirus
Considerazioni geografiche sulla pandemia del coronavirus
La misura e il valore del tempo, l’attualità del pensiero di Federico Caffè
di Giuseppe Troiano
A coloro che dedicano con carità ed abnegazione la propria vita per gli altri
Dai confini lontani della Cina e dall’area del Sol Levante la pandemia del coronavirus (COVID-19) si è estesa tanto rapidamente in ogni Paese del mondo da cambiare inaspettatamente le nostre relazioni sociali, modificando le abitudini quotidiane e il nostro modo di agire non più disinvolto, immediato e istintivo, ma spaesato, disorientato, ripetitivo, meccanico, attento. A causa della sua diffusione contagiosa e con un indice di letalità elevato, di cui non conosciamo ancora le cause, ma che forse si possono intuire da questa analisi della nostra realtà socioeconomica, si rinnovano gli appelli di medici, infermieri, malati, scienziati ed autorità governative, ai quali rivolgo la mia solidarietà per la missione che svolgono, a restare a casa, seguire le norme igieniche e quelle del distanziamento sociale per la salute e il bene di tutti.
Gli scienziati ritengono che sia indispensabile preparare una mappa del virus della Lombardia, dove il tasso di mortalità è più alto, e di altre regioni italiane, dei Paesi europei e del mondo, al fine di stilare una banca dati sul modo di propagarsi del virus ed agire di conseguenza. Intanto, si sa che il virus si sposta da est ad ovest, più che da nord a sud, soprattutto nell’emisfero boreale, e che l’avanzare a gran velocità della virulenza ha trovato quasi tutti i Paesi impreparati nelle strutture sanitarie.
Negli anni ’70, ero studente universitario alla Facoltà di Magistero de L’Aquila e seguivo le lezioni di Geografia tenute dal mio carissimo Prof. Imbrighi che spiegava a noi studenti la diffusione delle malattie nel mondo, avendo egli già pubblicato due lavori di Geografia medica, in relazione all’ambiente naturale. Il primo, “Segnati su una carta geografica i progressi della scienza medica” (1961) e, il secondo, “Un atlante geografico delle malattie del mondo” (1960), in particolare di quelle tropicali infettive, nelle quali trattò” Il colera flagello del popolo indiano” (1960). Entusiasta di quelle lezioni, preparai anche un esame di Igiene.
Negli ultimi due decenni del XXI sec., il mondo ha conosciuto diverse malattie infettive che hanno colpito milioni di persone. I dati più recenti illustrano che nel 2009 la diffusione dell’AIDS affliggeva nel mondo 33,3 mln di persone; nel 2010, la polmonite era responsabile per il 18% della mortalità infantile, mentre nel 2008, tra le cause di morte della popolazione mondiale, le malattie e le infezioni dell’apparato respiratorio si attestavano al 33,6% (De Agostini, 2014). Oggi, il planisfero sui contagi nel mondo (malati, deceduti e guariti) mostra una diffusa presenza del virus in tutti i Paesi: un’alta concentrazione nell’emisfero boreale, dalla Cina all’Iran, dall’Europa mediterranea (Italia-Spagna) all’Europa centro-occidentale (Germania-Francia-GB-Paesi Bassi –Belgio), area scandinava, fino agli USA, compresa l’Alaska. Viceversa, si nota una concentrazione medio-alta nell’emisfero australe con punte più rilevanti in Australia, Sud Africa e America latina. (La Repubblica, 2020)
Dinanzi a questo invisibile flagello, ognuno cerca di impiegare il tempo da trascorrere a casa in attesa di nuove disposizioni legislative e notizie più rassicuranti. La solitudine, la paura e l’angoscia si sono impadronite delle vitalità delle città; le piazze, centro dell’identità culturale e dell’aggregazione spontanea della vita quotidiana, sono spente, vuote. Rimane il silenzio interrotto solo dai rintocchi delle campane che segnano le ore degli orologi dei campanili. Chiusi chiese, musei, scuole, biblioteche ed edifici artistici che rappresentano le funzioni spirituali ed intellettuali della città che esprime “il modo di vita di quegli abitanti” (J. Brunhes). Chiusi teatri, alberghi, bar, ristoranti; in funzione soltanto i mezzi di trasporto ed aperti qualche ufficio amministrativo, negozi di generi alimentari, tabaccherie, panetterie e super mercati con le file delle persone, a distanza di sicurezza, in attesa di entrare con i carrelli, in alternativa alla spesa a domicilio con prenotazioni digitali.
È cambiato il modo di vivere degli abitanti della città, dei paesi e dei borghi. Provo un sentimento di tristezza nel vedere le immagini di Bergamo, la città con il più alto tasso di mortalità, simbolo di questa emergenza. Rivive in me il ricordo piacevole della città dove ho prestato il servizio militare quando, durante la libera uscita, visitavo la parte Bassa, moderna e dinamica, percorrendo Viale Donizetti e poi, con la funicolare, scoprivo Bergamo Alta difesa dalle Alpi Orobie, tra la val Brembana e la Valle Seriana, ricca di monumenti e di splendide piazze: Piazza del Duomo con il Battistero, il Duomo, la Basilica di Santa Maria Maggiore, il Teatro Donizetti, l’Accademia Carrara, la Biblioteca Angelo Mai dove, per conto dell’Ateneo aquilano, ricercavo notizie sulla vita di Costantino Beltrami che, nativo della città, aveva esplorato le sorgenti del Mississippi.
Questo tempo, questo spazio, che sembravano non avere confini, di colpo, si sono ridimensionati e noi li percepiamo compressi, limitati, racchiusi all’interno delle nostre case. Il tempo non è più nelle nostre mani e, in questo spazio segnato dall’orizzonte sensibile, ora, comprendiamo meglio la lettura che Madre Natura ci offre. Il paesaggio geografico e la conoscenza, pur ristretta, del luogo dove viviamo, per me, costituiva motivo di confronto con gli alunni delle classi prime intorno alle loro riflessioni sul territorio costruito nel tempo dagli uomini. Cosa vedo e come sono organizzati gli spazi? Quali gli elementi e i fattori fisici? I legami che colgo del mondo socioeconomico? Cosa posso immaginare?
La memoria ci riporta al passato, la fantasia guarda al futuro correndo dietro all’immaginazione. Quella dei bambini, poi, colora la speranza del domani disegnando l’iride. Un arcobaleno che, abbracciando i Continenti, genera forti sentimenti di solidarietà.
Dai primi giorni di marzo, anche le scuole sono chiuse ma le lezioni continuano con la didattica a distanza (e-learning). Un giorno di primavera ho immaginato di essere tornato a scuola tra gli studenti seduti in banchi distanziati e spiegare loro la dimensione del tempo che cambia molte cose nella vita. Dimentico, quindi, questo nuovo mezzo di comunicazione digitale applicato alla didattica geografica che per essere innovativa e immediata nella sua visibilità, dovrà trovare, nel tempo, anche la soluzione come conciliare la nuova tecnologia al processo educativo che l’insegnamento richiede. Il vicino che è lontano e il lontano che è dinanzi a me, ridimensionato in un tablet. La scuola virtuale diventa, dunque, espressione del “villaggio globale” di Mc Luhan in una nuova dimensione spazio-temporale che abbraccia tutto il mondo dove le nostre azioni quotidiane sono in funzione dello scorrere del tempo.
Azioni che sono frazionate in ore, minuti e secondi intersecati lungo la fitta rete di meridiani e paralleli lungo i quali l’Equatore e Greenwich sono i punti di riferimento. Dal meridiano fondamentale (Universal Time) si dipartono i fusi orari che determinano l’ora di ogni luogo, ruotando la terra in senso antiorario. Con la linea del cambiamento di data, che passa per lo stretto di Bering, l’oggi diventa ieri, in direzione est, mentre l’oggi diventa domani, andando verso ovest.
Il nostro agire dipende dalle diverse fasi del giorno solare e dalla luna; poi, le giornate enumerate nei calendari in settimane e mesi, definiscono le stagioni (anni tempora) con gli equinozi di primavera e di autunno, i solstizi dell’estate e dell’inverno. Tutto ciò determina l’anno e con il trascorrere degli anni ricordiamo i fatti accaduti.
Platone definiva il tempo” immagine mobile dell’eternità”, cioè il susseguirsi ordinato di giorni, notti, mesi e anni. Durante i secoli, nel “gran libro del mondo” (si pensi a Keplero, Galilei), nelle sequenze di armonia e di luce dell’Universo creato da Dio, quanti filosofi, fisici, astronomi, geografi, pittori, poeti e artisti hanno ammirato nel silenzio il volgere del giorno per scoprire il mistero delle leggi del moto dei pianeti, la luce degli astri, il fine della vita! Quanti hanno colto, estasiati, l’immagine più bella esprimendo in versi i sentimenti più profondi dell’animo!
La misura del tempo. In ogni epoca, per la misura del tempo, l’uomo ha perfezionato l’orologio: dalla clessidra (clepsydra) o orologio ad acqua, descritto da Plinio il Vecchio, che divideva le ore delle notti e dei giorni in modo uguale, all’orologio solare (meridiana), sul cui quadrante venivano segnate le linee orarie dall’ombra proiettata dallo stilo (gnomone); dalle oscillazioni del pendolo all’orologio da polso, dal cronometro ai più sofisticati orologi simili a piccoli computer. Pensiamo all’importanza del tempo in ogni campo della ricerca e del sapere umano: dalla matematica alla fisica, dalla geografia all’economia, alla medicina… Tutto ciò è per “l’umano interesse alla perfezione della misura” per l’importanza dei valori contingenti ad essa negati anche nell’estremo frazionamento dell’attimo. (G. Imbrighi, La misura del tempo, 1969)
Una misura, il tempo, del divenire delle cose e dei fatti” secondo il prima e il poi” (Aristotele), per ciò che può o non può realizzarsi nel brevissimo spazio di tempo, che è l’attimo, e dove il presente è un istante senza una durata, il passato non è più e il futuro non è ancora (S. Agostino).
Tra presente e futuro, il tempo ci fa conoscere la finitezza dell’esistenza, la miseria dell’uomo, il quale è “Un nulla allo sguardo dell’infinito, un tutto allo sguardo del nulla, un mezzo tra nulla e tutto” (Blaise Pascal).
E Cartesio, per il quale il tempo è un modo di pensare la durata, sostiene che “non c’è nulla che sia interamente in nostro potere se non i nostri pensieri, riconoscendo l’esistenza di un Essere perfetto, Autore del nostro essere pensante” (Le Discours de la Méthode).
Il passato e il presente. L’incidenza del COVID-19 nel mondo sta generando una crisi economica e sociale paragonabile a quella del dopoguerra, quando dalle macerie cominciava la ricostruzione delle città e delle attività industriali distrutte dai bombardamenti. Lo sfollamento dai centri abitati e le conseguenti restrizioni alimentari avevano messo a dura prova le generazioni passate, quella dei miei genitori, animati dalla speranza di una ripresa economica verso un mondo migliore a prezzo di sacrifici, privazioni e lavori manuali faticosi. Nasceva una nuova era che ben presto avrebbe realizzato sogni e speranze. Oggi, invece, occorre ripensare il tempo e adeguarsi ai cambiamenti in atto. Il tempo non è più nelle nostre mani.
Pensavamo di governare il tempo con la globalizzazione dell’economia senza freni, esaltando la velocità della produzione industriale, commerciale, dei consumi, più del necessario, dei flussi finanziari e del valore del PIL raggiunto a vantaggio del fare frenetico ad ogni costo, oltre i limiti umani. Numeri, cifre, grafici, quotazioni in Borsa, senza pensare all’ambiente e alle persone. In un celebre discorso all’Università del Kansas (18 marzo 1968), Robert Kennedy disse:” Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti…non misura la nostra compassione. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta”. Sono temi di un passato che ben si addicono al presente: salute, educazione, gioia, valori etici, intelligenza nel confronto, onestà, compassione. E noi, in che modo li abbiamo recepiti? Perché non abbiamo fatto tesoro del tempo?
Già a partire dagli anni ’70, emergevano i macroproblemi dell’umanità. Insieme alle luci e alle ombre della civiltà delle macchine, i dubbi riguardavano il controllo, la guida e, soprattutto, la qualità del progresso tecnico-scientifico. Aurelio Peccei li evidenziava in un libro dal titolo apocalittico,” Verso l’abisso”. A distanza di un decennio, quasi a voler presagire un avvenire difficile per l’umanità, egli scrive che l’uomo” inebriato dalle proprie capacità e dai suoi successi immediati non si rende conto del fatto che in molti casi domani dovrà forse pagare assai caro il prezzo dei benefici di oggi”. (Cento pagine per l’avvenire,1981)
La bussola del progresso incontrollato stava perdendo il suo ago calamitato. In seguito, le grandi speranze alimentate dalla globalizzazione, l’internalizzazione dei flussi dell’informazione tecnologica e dello scambio dei beni materiali da un Continente all’altro, quasi a voler abbattere distanze e confini, hanno dimostrato, invece, che quei dubbi avrebbero rivelato crisi economiche e aperto scenari nuovi verso quei cambiamenti resi ancora più drammatici dal contagio del coronavirus. Infatti, abbiamo dimenticato il rischio di un appiattimento di ogni diversità culturale, l’insorgere delle disuguaglianze socio-economiche tra i popoli; valutati di secondaria importanza i temi della mondializzazione: pace, fame, crisi idrica, povertà; corsa agli armamenti, esperimenti nucleari, focolai di guerre; la silenziosa ed irresponsabile distruzione delle foreste tropicali, lo sfruttamento delle risorse del sottosuolo; i cambiamenti climatici, la desertificazione e lo scioglimento dei ghiacciai; l’inquinamento dell’acqua, dell’aria e della terra che, insieme al fuoco, costituivano i beni essenziali della nostra vita; la cementificazione dei terreni agricoli e lo sviluppo disordinato delle città che si sono saldate tra di loro originando lunghe megalopoli senza tener conto dell’indice di qualità della vita. Ed ancora, i valori della giustizia sociale e la dignità delle persone, la schiavitù nel mondo del lavoro, la salute e la sicurezza dei lavoratori, la disoccupazione delle nuove generazioni.
Un campanello d’allarme sullo stato di salute del nostro pianeta era stato “Una sola Terra non ci basterà” (Il Messaggero, 25/10/2006), cioè lo sfruttamento dell’uomo sulla Natura è di una voracità insaziabile, maggiore della medesima capacità rigenerativa della Terra di riprodurre le risorse di cui abbiamo bisogno. Un messaggio ancora inascoltato.
È stata definita la più grande crisi del dopoguerra. E mentre la scienza studia e ricerca il vaccino, già si pensa al dopo, al domani, alle prossime sfide da affrontare alle quali siamo chiamati: sanitaria, economica e sociale, climatica e tecnologica. Per quella sanitaria, penso alle considerazioni che Cartesio dà sul progresso scientifico: per giungere alle conoscenze utili alla vita, “les bons ésprits” dovrebbero comunicare le loro scoperte in modo che gli ultimi possano cominciare là dove i nostri predecessori hanno terminato i loro studi. Un’altra considerazione è la funzione – missione che svolge la sanità pubblica: essa non può essere privata di risorse umane. In dieci anni, infatti, sono state chiuse numerose strutture sanitarie, tagliati migliaia di posti letto, ridotti di 10mila unità i medici e di 11mila gli infermieri.
Per la politica economica, invece, si pensa di mantenere il valore della moneta e preservare il risparmio per la ripresa, avendo la BCE congelato il Patto di stabilità. Secondo gli economisti, è necessario tutelare i redditi dei lavoratori, l’economia delle imprese e che non ci siano perdite di posti di lavoro, perché la crisi sta coinvolgendo tutti i Paesi del mondo. Né va dimenticata la personale responsabilità, il senso del dovere e la solidarietà di tutti per una rinascita morale, civile, sociale.
Di recente, Mario Draghi ha rilasciato al Financial Times (27/3/2020) questa intervista:” L’epidemia del coronavirus è una tragedia umana dalle proporzioni bibliche. Servono provvedimenti coraggiosi e necessari. La risposta deve essere quella di un significativo incremento del debito pubblico. La sfida è come agire con sufficiente forza e velocità per prevenire che una recessione si trasformi in una prolungata depressione, resa ancora peggiore da una pletora di default con danni irreversibili”.
In continuità con il passato, può essere illuminante l’intervento dell’illustre economista pescarese Federico Caffè che, nel 1977, parlando di economia di guerra per scopi non di guerra, dichiarava come fossero obiettivi prioritari il rilancio dell’edilizia, una politica di opere pubbliche espandendo” la spesa pubblica nelle sue componenti non assistenziali”.
Inoltre, nell’Introduzione alla raccolta di saggi “In difesa del Welfare State” (1986), scrive:” Una politica economica che non escluda, tra gli strumenti da essa utilizzabili, i controlli condizionatori delle scelte individuali, che consideri irrinunciabili gli obiettivi di egualitarismo e di assistenza che si riassumono abitualmente nell’espressione dello Stato garante del benessere sociale, che affidi all’intervento pubblico una funzione fondamentale nella condotta economica”. Un forte richiamo agli obiettivi istituzionali e ai nostri doveri morali.
Il tempo scorre. Quel tempo che pensavamo di dominare è sfuggito dinanzi a noi, improvvisamente, senza che ce ne accorgessimo, come il palloncino che si sfila dalle mani di un bambino.
In questo tempo, in questo anno, in questo giorno.