L’anatema di Zì ‘Ntonie contro la società cancerogena
di Paolo Martocchia
L’ultimo anatema di Zì ‘Ntonie contro la società che viviamo appare come un presagio della situazione che il mondo vive. In simbiosi con una filosofia di vita incentrata sul cristianesimo rurale di un tempo passato, che si pone contro anche quella che è la Chiesa attuale, Donato De Francesco, classe 1931, lascia intendere che l’unica speranza per gli esseri umani è la ripartizione della sofferenza, unico rifugio alla povertà e alle malattie. Da Sant’Eusanio del Sangro, paese dove viveva il contadino analfabeta Zì ‘Ntonie, alias Antonio Angelucci, classe 1887, che lui stesso intervistò per la Rai quando lavorava come programmista, l’ultima fatica di De Francesco rappresenta l’ultimo monito a questo mondo malsano, soggiogato dalla ragione, presuntuoso al punto di poter fare a meno di Dio e della saggezza contadina. Il dilagare del male viene presentato in I misfatti della Ragione. Riflessioni di un vecchio analfabeta sulla putrefazione postmoderna (Il Cerchio, Rimini 2020), con la prefazione di Paolo De Lucia, giuliese, Ordinario all’Università di Genova, che sottolinea la forza del pensiero definendo Zì ‘Ntonie un «formidabile rabdomante dell’inautentico».
Zi’ Ntonie non ha alcun compromesso con gli orizzonti filosofici vigenti e per questo motivo attacca a spada tratta tutti i fronti della socialità che viviamo, iniziando dalla Storia: «Affermare che la Provvidenza Divina guida o, addirittura, determina il corso della Storia è solo una astuzia della Ragione in quanto è come dire che Dio sta conducendo l’umanità al suicidio. È verosimile, invece, che il Dio Vivente – non avendo potuto salvare un’umanità stolta e ribelle – (neppure con l’intervento diretto del Figlio) non ha potuto fare altro che abbandonare il Mondo alle inflessibili Leggi Naturali». Riflessione che poggia sull’apparente indifferenza di Dio verso i tragici eventi storici e che induce Zì ‘Ntonie a scrivere: «Il Suo modo di operare non significa che Egli trasformi il male in bene, come ci ha fatto supporre la “retta” ragione: Dio lo tollera lasciandolo alla mercé delle severissime Leggi Naturali e lo distruggerà pur senza intervenire con la violenza su di esso; ciò, purtroppo, implica sofferenza per gli esseri più innocenti (o, relativamente, meno colpevoli) che sono costretti a subire la malvagità del Mondo». L’essere umano è dunque invitato a fare una scelta: «Seguire l’invito di Gesù a farsi vittima sofferente e consapevole, imboccando la salvifica via del Calvario, oppure soccombere da inconsapevole vittima della propria e altrui cecità imboccando l’allettante strada cui invita il Mondo e che conduce all’eterno baratro».
Il passaggio alla cultura, quella laico-razionale nata nelle città, un «focolaio cancerogeno e folla delle solitudini», è consequenziale. E giù fendenti: «Osano ancora chiamare civiltà il prodotto di una Cultura che attraverso i secoli ha scatenato guerre distruttive e genocidi di milioni di esseri umani; osano chiamare civiltà una condizione umana in cui dilagano malattie sempre più spaventose e migliaia di ospedali che non riescono più a contenere gente debilitata e degradata nel corpo e nello spirito». In questo contesto vige la cultura dell’Apparire e non dell’Essere, dell’ingordigia e non della temperanza, della presunzione e non dell’umiltà; del giacere e non della Gioia; del possesso e non dell’uso; del dissidio e non della comunione; dell’esibizione e non della Riservatezza. Dunque, cultura della menzogna e non della verità. Un mondo orrido – attacca Zì ‘Ntonie – dove gli esseri umani sono indotti a farsi voraci consumatori di cose prodotte da specialisti di qualsiasi settore. E così, sintetizza l’autore, consumando più o meno acriticamente cose degradate e morte, «alimentiamo quotidianamente la nostra mortale malattia». Un’ecatombe. «La disperazione dei disoccupati crescerà di giorno in giorno – sottolinea Zì ‘Ntonie – ma nessuno ritornerà alla campagna in quanto chi ha assaggiato il salario-droga non è più in grado di accontentarsi del magro reddito ricavabile da piccoli appezzamenti di terreno».
De Francesco termina con un capitolo sulla Chiesa, sottolineando che la Fede «è un sentimento sacro che non tollera profanazioni, e va custodita nella sua integrità senza permettere alla Ragione di andare a indagarne l’essenza» e va difesa in un solo modo, evidenziando la sua misteriosa forza soprannaturale: «Il Cristo risorto e trionfante che ascende al Cielo impugnando un bianco vessillo, con su impressa una Croce, rappresenta l’immagine icastica del vero Cristianesimo: la bandiera bianca e la Croce simboleggiano la resa sofferta e volontaria alla cieca malvagità del Mondo». Zì ‘Ntonie scrive che le prime comunità cristiane erano «portatrici di una cultura essenzialmente antirazionale», per cui non ascolta gli intellettuali né i teologi, anzi: si distanzia non solo dal Concilio Vaticano II, ma anche dal Concilio di Trento, poiché – dice l’estremista Zi’ Ntonie – esso «si è proposto solo di contrapporsi alle tesi luterane, come quando ha apoditticamente affermato che Dio è conoscibile con la ragione, scomunicando chi non accettasse un tale folle dogma. […] dopo che il Magistero della Chiesa aveva avallato e addirittura glorificato Umanesimo e Rinascimento non aveva più senso condannare il Protestantesimo e l’Illuminismo che di quelle prime insane piante erano il naturale e ineluttabile frutto».
Dinanzi a questa «cloaca ripugnante», il contadino ripudia la democrazia, figlia della Ragione, al pari della redistribuzione dei privilegi, che «non fa che aggravare il peso a chi – per il limite oggettivo delle risorse – non riuscirà mai a partecipare al lauto banchetto: la ribellione che si proclama finalizzata a un riscatto collettivo maschera il desiderio di vendetta che trasforma le vittime in carnefici, violando l’insegnamento cristiano».