“DOBBIAMO IMPARARE A CAMMINARE SULLE SABBIE MOBILI”

In memoria di Zygmunt Bauman

di Raffaele Simoncini

La mattina, quasi sempre, mentre faccio colazione, accendo distrattamente la televisione e ascolto i primi telegiornali, saltando da un canale all’altro. Così, proprio per caso, il martedì dopo Pasqua, ho sentito uno speaker magnificare Instagram come ultima frontiera dei social e in grandissima espansione. Poi è apparso uno dei fondatori, che ha esclamato: “Noi vogliamo dare al mondo non le notizie di un’ora, di mezz’ora, di dieci minuti fa, ma solo quello che accade ora, in qualsiasi parte dell’universo conosciuto!”. “Bene! – mi sono detto – A questo punto devo scrivere qualcosa, per rispondere a questo genio dei social!”.

Provo a iniziare da due episodi degli ultimi tempi, uno televisivo, l’altro diretto, personale. Vedevo qualche sera fa, per l’ennesima volta, in uno dei tanti canali televisivi che ci propinano film datati, alcune scene di Non ci resta che piangere, film del 1984 con protagonisti Roberto Benigni e Massimo Troisi. La vicenda è stranota: due amici, uno bidello e l’altro insegnante, fermi ad un passaggio a livello, in attesa del transito del treno, si stancano di aspettare e, scesi dall’automobile, si avviano per un viottolo di campagna. Sono costretti, così, dopo alcune peripezie, a dover alloggiare in una locanda e, il giorno dopo, al risveglio, si ritrovano, stupiti, in un borgo toscano, “nel mille e quattrocento, quasi mille e cinquecento”. Storia inverosimile: eppure… .

Seduti intorno al tavolo di un ristorante, per trascorrere insieme la tanto decantata Pasquetta, ricordavamo, tra amici, momenti della nostra vita da ragazzi, trascorsa in realtà che, riferite al presente, sembrerebbero affondare le loro radici in tempi veramente lontani, quasi di società arcaiche: eppure… . Cercherò di dare un senso a quei puntini di sospensione, a conclusione dei due episodi ricordati.

Sfido chiunque, che si tratti di un giovane o giovanissimo, ovvero di un anziano o vecchio, a confessare che non ha mai desiderato fortemente di trovarsi a vivere in un tempo non suo! Occorre, tuttavia, fare dei precisi “distinguo”.

Il cinema attuale propone continue proiezioni in mondi futuri, con personaggi del tutto particolari, quasi sempre eroi che si scontrano con nemici violenti, senza scrupoli etc. “Eroi” risultanti essere umanoidi o ibride composizioni di menti umane, immesse in strutture meccaniche semiperfette: è il caso, ad esempio, di un film in programmazione – Ghost in the shell – bello anche da vedersi, ma del tutto improbabile.

Il mio “eppure”, tuttavia, non si rivolgeva a un mondo futuribile, a un fantapseudoscientifico universo, popolato di esseri drammaticamente soli, in lotta contro tutti e tutto. Il mio “eppure” aveva di mira un mondo passato: il sogno di poter vedere e scoprire, innanzitutto, come si viveva nel passato. Un tuffo assurdo e una allucinazione metafisica su esperienze impensabili e irripetibili nel nostro quotidiano: un “quid” di ineguagliabile meraviglia! Parlare con un uomo o con una donna anche solo di centocinquanta, duecento anni fa – grosso modo gli anni che ci dividono dai nostri antenati meno lontani nel tempo – sarebbe un’esperienza unica! A volte, scorrendo il mio personalissimo carnet di preferenze, mi trovo a immaginare un fortuito incontro con Giacomo Leopardi!… Cosa avrei il coraggio di dire? Cosa mi si offrirebbe come risposta? Si dice che sognare, a volte, non fa male…

D’altra parte, Massimo Troisi non ha un incontro fortuito, sulle rive di un piccolo corso d’acqua, nientemeno che con il geniale Leonardo? E non si stupisce a dover insegnare, senza essere peraltro capito, a un perplesso e stupito Leonardo, un semplice gioco di carte, arrivando a dubitare del genio di quell’eccezionale uomo? Il tutto è frutto di una simpatica fantasia; ma se ci capitasse un “incontro” di questo tipo?

Uscendo dai sogni e dagli inganni di illusioni irreali, e tornando con i piedi saldamente a terra, mi pongo un problema prioritario: un salto in realtà solo studiate sui libri di storia cosa impone come postulato irrinunciabile? La risposta non può essere data, se non facendo ricorso, ancora una volta e a mo’ di esempio, ai due “miei” episodi prima ricordati.

Il primo episodio è frutto di uno o più sceneggiatori, che hanno scritto una storia e l’hanno affidata ad un regista e a degli attori; il secondo episodio è proprio di vite ed esperienze reali, con un’unica, decisiva peculiarità: sono riferite a storie del passato, ma pur sempre storie, di cui restano non solo alcune foto ingiallite, ma ricordi incancellabili, memorie consolidate. Si potrebbe obiettare: ma quali affinità, quali elementi in comune potrebbero mai avere questi due episodi? Risponderei, molto semplicemente: la storia, il ricordo, la memoria, il passato; la certezza di legami forti con la propria “storia”, con il proprio “territorio” (oggi si direbbe, probabilmente, con il proprio “humus” socioculturale…), con le vite di altri che hanno segnato, indelebilmente, la vita nostra.

Il bisogno di legami, di radici, di storie da portarsi dentro come patrimonio della propria vita, unica ed irripetibile, si traduce, per le nuove generazioni, in una sorta di supplizio di Tantalo. Il “male di vivere” in una inquietante solitudine, anche in mezzo a fenomeni di massa (penso a discoteche con centinaia o migliaia di ragazzi..); la mancanza di radici, in un mondo in cui accampa sovrano un dinamismo frenetico: tutto ciò è “mitico”, ma è anche una trama di ricordi costantemente spezzata dallo Zeitgeist, dallo “spirito del tempo”, dalla cultura “dell’adesso e subito”.

Questo è il nocciolo più significativo della SOCIETA’ LIQUIDA di cui ha parlato in molti suoi libri il sociologo Zygmunt Bauman, appena scomparso; questo il senso del suo insegnamento: “Dobbiamo imparare a camminare sulle sabbie mobili”.