EREMO DI SANT’ONOFRIO A MAIELLA

di Antonio Lafera

 

Sant’Onofrio a Maiella è un eremo che si può visitare dalla primavera all’autunno inoltrato, l’altitudine che non arriva ai mille metri lo rende libero dalla neve per tre quarti dell’anno. Abbiamo scelto una bella giornata di metà aprile, con ore di luce abbondanti per permetterci, in loco, un pic-nic fra amici gustando i prodotti che il nostro territorio ci offre, accompagnati da pane casereccio comprato lungo la strada a Roccamorice, in un forno all’antica, con quel profumo che non si dimentica mai. Dopo aver superato il bivio che porta a San Liberatore a Maiella, con le macchine saliamo lungo una comoda strada asfaltata che qualche chilometro più su devia in una comoda sterrata che porta all’acquedotto del paese che si intravede laggiù verso nord. Qui posteggiamo i cavalli (d’acciaio purtroppo) e ci incamminiamo, con un bastone che ci fa compagnia più che aiutarci, in colonna lungo un sentiero che si fa subito in salita. Si può quasi dire che esso è scavato nella roccia dalla devozione dei popoli del territorio che nei secoli ne hanno tracciato il percorso. Il cammino si fa lento ma costante, permettendoci di gustare la vista di forre e boschi, di paesaggi che mutano in continuazione. Mai si entra in un bosco ma si è sempre in alto e a vista dei monti come uccelli silenziosi. L’incedere tranquillo, il verde, l’azzurro del cielo e il bianco delle rocce assecondano il pensiero e a volte la memoria di altri luoghi. La fatica non si sente, siamo in pace con noi stessi! Trascorsa una mezz’ora di cammino ecco, all’improvviso, stagliarsi dietro una “cencia” l’Eremo.

Fu costruito dai benedettini dell’abbazia di San Liberatore sfruttando alcune cavità naturali, per poi essere profondamente ampliato nel 1948. Probabilmente era usato come luogo di preghiera e poi per attività agro-pastorali.

All’interno della chiesa si rileva la vecchia struttura dell’eremo, in particolare sulla parete sovrastante l’altare dove sono presenti i fori dei pali per sostenere il vecchio tetto. Dietro l’altare due porte fanno accedere al nucleo antico. Superando una bassa apertura, si accede ad una grotta ancora non completamente esplorata, che conserva resti di sepolture. È presente anche un giaciglio scavato nella roccia, chiamato Culla di Sant’Onofrio, dove i fedeli si sdraiano per chiedere guarigioni (è credenza che il santo contribuisca a guarire corpo ed anima). Superando un arco, dalla chiesa si accede ad una prima stanza di transito e poi ad una seconda che fa accedere al piano inferiore, caratterizzata da una pianta trapezoidale ed una volta a botte, illuminata da una finestra posta vicino all’ingresso. C’è la tradizione che chiunque arrivi spazzi la chiesa e la riordini e noi non ci tiriamo indietro, in gruppo la ripuliamo e riordiniamo l’altare e le sedie, lasciando ognuno un foglietto che piegato nasconde una nostra richiesta che speriamo venga esaudita. Sull’altare c’è una statuetta del santo con l’iconografia classica: nudo coperto dalla barba e dai capelli. A questo punto è opportuno dare sull’eremita le notizie che la tradizione cristiana riporta.

Il suo culto si diffuse in Italia da Bisanzio. Il santo è ritenuto, assieme a sant’Antonio da Padova e Graziano di Tours, protettore di chi cerca oggetti smarriti, nonché, a Firenze, dei tintori, ma soprattutto delle donne che cercano marito e degli studenti che hanno problemi di studio (sicuramente due categorie che hanno bisogno di un aiutino!).

La storia originaria del santo si confonde con il mito: si racconta che Pafnuzio, monaco in Egitto nel V secolo, desideroso di incontrare gli anacoreti del deserto, per conoscere il loro stile di vita e la loro sacra esperienza, di cui tanto si parlava in quel tempo e in quella zona, si inoltrò, ben conoscendone la difficoltà, nel deserto alla loro ricerca.
Dopo ventuno giorni di faticoso cammino, sfinito si accasciò a terra; ecco allora apparire una figura umana di terribile aspetto, ricoperta da capo a piedi solo dai lunghi capelli e da qualche foglia. Questo abbigliamento, almeno prima dell’anno mille, era solito negli anacoreti, che abituati a star soli e visti solo” dagli angeli”, alla fine facevano a meno degli indumenti per altro difficili da procurare o lavare o sostituire lì nel deserto. Questa vista spaventò Pafnuzio che cercò di scappare, ma quell’essere quasi mostruoso lo chiamò dicendogli di restare, il monaco capì di aver trovato chi cercava: un anacoreta. l’eremita disse di chiamarsi Onofrio e di stare nel deserto da 70 anni e per quel lungo periodo di non aver più visto anima viva.  Raccontò di nutrirsi di erbe e di riposarsi nelle caverne ma non sempre era stato così, disse di essere vissuto in un monastero della Tebaide a Ermopolis, insieme ad un centinaio di monaci. Ma desideroso di una vita più solitaria sull’esempio di s. Giovanni Battista e del profeta Elia, lasciò il monastero per dedicarsi alla vita eremitica; inoltratosi nella zona desertica con pochi viveri, dopo alcuni giorni incontrò in una grotta un altro eremita, a cui chiese di essere iniziato a quella vita così particolare. Morto il suo compagno continuò a vivere in totale solitudine. Onofrio poi racconta a Pafnuzio di come si adattava al cambio delle stagioni, di come resisteva alle intemperie e di come si sosteneva: un angelo provvedeva quotidianamente al suo nutrimento, lo stesso angelo la domenica gli portava la s. Comunione. Continuarono le loro conversazioni spirituali finché il santo disse: “Dio ti ha inviato qui perché tu dia al mio corpo conveniente sepoltura, poiché sono giunto alla fine della mia vita terrena, torna in Egitto e racconta ciò di cui sei stato testimone”. Dopo averlo benedetto si inginocchiò in preghiera e morì; Pafnuzio ricopertolo con parte della sua tunica, lo seppellì in un anfratto della roccia.

La ‘Vita’ scritta da Pafnuzio, è nota anche in diverse recensioni orientali, greca, copta, armena, araba; essa è in effetti un elogio della vita monastica cenobitica e nel contempo, una presentazione dello stato di vita più perfetto: la solitudine nel deserto. Secondo il racconto di Pafnuzio il santo eremita morì un 11 giugno, Il suo culto e il suo ricordo fu esteso in tutti i Paesi dell’Asia Minore e in Egitto; tutti i calendari di queste regioni lo riportano fra il 10 e il 12 giugno (come noi in occidente); in arabo è l’Abü Nufar, (l’erbivoro), qualifica che gli si adatta perfettamente! A Serramonacesca la notte dell’11 giugno si espone una croce bituminosa accesa e luminosa e una copia della statua del santo viene portata in paese per poi essere riportata il 12 all’eremo. La tradizione usa una copia perché si narra che la statua portata giù ritornava nella notte da sola all’eremo. Questo non succedeva con la copia! L’immagine di S. Onofrio anacoreta nudo, ricoperto dei soli capelli, fu, in tutti i secoli, oggetto della rappresentazione figurata nell’arte: nudo e coperto dai suoi capelli come lo vediamo anche nella statuetta del nostro eremo maiellese. Il nome Onofrio è di origine egizia e significa ‘colui che è sempre felice’. In Egitto era anche un appellativo di Osiride. Di nuovo ci rendiamo conto di come si intersechino culture e miti nel tempo e nello spazio.

Torniamo ora al nostro eremo, ci sediamo su delle rocce accanto ad una sorgente d’acqua fresca e cristallina su un prato verde e all’ombra di roverelle. Cominciamo a scartare, su un bel panno bianco, i nostri tesori culinari fra i quali la fanno da padrone pane, pecorino, salcicce secche e montepulciano. Qualcuno si alza e suona la campana della facciata: è un suono che accarezza le orecchie e pian piano si perde giù nelle valli. Ognuno sorride e ripete l’operazione: un gioioso parlottare unisce il “sacro e il profano”. Satolli e rinfrancati guardiamo il sentiero che continua a salire e che si collega al “Sentiero dello Spirito” lungo 75 chilometri, un trekking suddiviso in quattro giorni che si snoda attraverso i luoghi spirituali della Maiella. Ma siamo stanchi e il pomeriggio che si inoltra ci sconsiglia di continuare il cammino, è ora di ripercorrere il sentiero in discesa sperando l’incontro con caprioli, cervi e da lontano anche con qualche lupo che schivo si allontanerà in fretta, in effetti noi siamo il lupo per lui!

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