Teofilo Patini “il pittore dei poveri”.

di Pasquale Criniti

 

Il pittore Teofilo Patini nacque il 5 maggio 1840 a Castel di Sangro, in provincia dell’Aquila, terzo di dieci figli.

Il padre Giuseppe fu prima cancelliere di Giudicato Regio, poi notaio; la madre Maria Giuseppa Liberatore apparteneva a una famiglia benestante.

Iniziò gli studi presso il Regio Ginnasio fondato da Leopoldo Dorrucci a Sulmona, dove il padre si era momentaneamente trasferito.

Trasferitosi a Napoli, studiò inizialmente filosofia all’Università prima di iscriversi, nel luglio del 1856, ai corsi di pittura del Regio Istituto di Belle Arti della stessa città, dove ebbe come maestri Giuseppe Mancinelli, Giovanni Salomone e Biagio Molinari ed entrò in contatto con Domenico Morelli, Filippo e Nicola Palizzi.

Nel 1860 partecipò all’impresa garibaldina entrando nei cacciatori del Gran Sasso, battaglione formato dal compaesano Antonio Tripoti, combattendo tra Castel di Sangro e la Marsica.

Negli anni successivi fece parte della Guardia Nazionale per la repressione del brigantaggio.

Nel 1868 vinse il concorso per due anni di pensionato a Firenze e si trasferì in questa città dove entrò in contatto con i Macchiaioli.

Da qui passò a Roma, dove frequentò Michele Cammarano, che rappresentò per lui un importante riferimento stilistico e con il quale collaborò.

Fece quindi ritorno a Castel di Sangro nel 1873.

Nominato cavaliere dell’Ordine Mauriziano, nel 1875 partecipò al concorso per il posto di professore di pittura nella neonata Scuola d’arte di Tokyo.

Nel dicembre 1877 sposò civilmente la modella Teresa Tambasco, dalla quale aveva già avuto due dei cinque figli.

L’anno successivo fu nominato professore onorario dell’Istituto di Belle Arti di Napoli.

Spinto da ragioni di sopravvivenza, si dedicò anche alla pittura commerciale, caratterizzata da scene aneddotiche ricche di dettagli domestici, di cui è un esempio La lezione di equitazione, opera esposta a Torino nel 1880 e menzionata nei registri del mercante parigino Adolphe Goupil.

Nel 1880 dipinse una delle sue opere più celebri, L’erede (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), che suscitò l’acclamazione del pubblico, e rappresentò l’inizio del suo impegno nella pittura di contenuto sociale, radicata nella difficile vita rurale abruzzese.

Nel settembre 1882 fu nominato direttore artistico e insegnante di pittura della Scuola Serale di Arti e Mestieri dell’Aquila, con lo scopo, secondo le parole del contemporaneo Primo Levi, di promuovere con la sua autorevolezza e capacità «lo sviluppo dell’arte industriale».

Nel 1884 dipinse Vanga e latte, soggetto naturalista affrontato con l’impegno del quadro di storia dove, grazie al paesaggio desolato sotto il cielo nuvoloso, la dimensione quotidiana assume una grandezza epica.

L’opera è giocata sul contrasto tra le cure di una madre sfinita dalla fatica e la durezza del lavoro dei campi; pur nello squallore della miseria, gli umili sono presentati come figure che resistono, in certo modo eroicamente, alle avversità del destino.

Come Patini stesso raccontava in una lettera a Levi, i modelli per assecondare i princìpi del verismo dovevano posare per buona parte all’aperto e soffrivano a causa del clima rigido.

Nel 1886 dipinse Bestie da soma presentato all’Esposizione Nazionale di Venezia del 1887.

Il dipinto insieme con L’erede e Vanga e latte rappresenta un’ideale trilogia sociale, segnando una tappa fondamentale dell’arte realista italiana, attraverso l’applicazione di un rigoroso principio di aderenza al vero.

Le contadine con i corpi abbandonati e lo sguardo assente per la fatica sono immerse in una luce naturale che fa risaltare il paesaggio roccioso sullo sfondo, suggerendo l’indifferenza della bellezza della natura che illumina impietosamente la miseria umana.

Nel 1896 si iscrisse alla massoneria nella loggia aquilana intitolata a Fabio Cannella e, nei primi anni del Novecento, fu membro nella stessa città della Loggia Cosmogenesi, tenendo stretti contatti con Vincenzo Orsini e Luigi Frasca, che lo aiutarono economicamente attraverso acquisti e incarichi.

Simbologie e interpretazioni massoniche permeano alcune opere della sua stagione matura.

Nel 1905, grazie all’interessamento di Leonardo Bianchi, rettore dell’Università di Napoli e membro del Gran Consiglio della massoneria italiana, partecipò al concorso indetto dal ministero della Pubblica Istruzione per la decorazione dell’aula magna dell’ateneo partenopeo del quale risultò vincitore.

Morì il 16 novembre 1906 a Napoli e venne sepolto nel Cimitero Monumentale di Poggioreale nel settore dedicato agli artisti.

Da profondo e puro socialista qual era, dipinse quadri ritraenti la civiltà contadina abruzzese della fine dell’ Ottocento e dei primi anni del Novecento, mettendo in rilievo la «condizione di povertà della regione» e la «capacità di resistenza e di sacrificio della popolazione»; la pittura fu, oltre che la sua profonda passione, il megafono con il quale urlava al mondo le misere condizioni del suo popolo: megafono che idealmente consegnerà a Ignazio Silone, lo scrittore di Fontamara.

Giovanni Fattori così scrisse a Primo Levi nel febbraio 1903 su L’erede di Patini: “Confronti questo capo d’opera di vero e di sentimento con le belle figure del Sartorio nude, più grandi del vero sconcie senza nulla dire e nulla fare, qua si piange là si sbadiglia

All’interno di Palazzo De Petra a Castel di Sangro c’è la Pinacoteca Patiniana, una mostra permanente interamente dedicata alle opere del Patini e dei suoi allievi. Tra le opere di grande importanza storico-artistica, spicca il maestoso “Bestie da soma“, trasferitovi temporaneamente in seguito al terremoto del 6 aprile 2009 da L’Aquila dove era stato conservato fino ad allora presso il Palazzo del Governo.

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