La collana della nonna (parte 2)
di Vittorina Castellano
(…) Non volli provare quel rituale, avevo un senso di sana repulsione ad addentare quella cordicella ormai intrisa della saliva di una moltitudine di postulanti. Mio padre, stanco, mi depose a terra, mi mancava l’aria, lo afferrai per la mano e lo strattonai fuori dalla chiesa. All’improvviso le braccia degli uomini nella piazza levarono al cielo dei “fagotti” che si muovevano contorcendosi animatamente: centinaia di serpenti, più o meno arrotolati, venivano sventolati come fazzoletti al vento. Sgranai gli occhi spauriti, non avevo mai visto così da vicino tanti serpenti.
– Dove li hanno presi, non mordono? –
– Li hanno catturati i serpari in montagna, quando ancora erano in letargo, sono animali innocui, non hanno il veleno. I più grandi, dal ventre giallo, sono i cervoni, quelli neri sono i biacchi poi ci sono le bisce e i saettoni. –
– Ma come hanno fatto a catturare tutti quei serpenti? –
– I serpari sono molto abili, hanno un fiuto eccezionale, quando scovano una serpe, si muovono piano, senza far rumore e quando sono vicini la afferrano con la rapidità di un fulmine e la infilano nel sacco. “…Non fa sosta alle soglie. Passa. È frate del vento. Poco parla. Sa il fiato suo tenere. Piomba. Ha branca di nibbio, vista lunga. Piccol segno gli basta. Perché triemi il filo d’erba capisce…”-
– Cosa? –
– Niente, mi è tornata in mente una frase di uno scrittore della nostra città, Gabriele d’Annunzio, che così descriveva i serpari. –
– Li aveva visti?-
– Forse, amava molto le tradizioni popolari del nostro Abruzzo, ed è probabile che abbia avvicinato qualche serparo per carpirne il segreto. –
-Tu lo conosci papà? –
– Il segreto dei serpari? –
– No, il signor Gabriele. –
– Ah! No, non ho avuto questo piacere, è andato via da Pescara quando ero bambino e non è più tornato! –
– Ma alla fine della processione che fine faranno quei poveri animali? –
– Li rimetteranno nei sacchi e li libereranno in montagna, però tanto tempo fa li sacrificavano al Santo. –
Rassicurata per la sorte dei rettili, ma inorridita al pensiero del rito sacrificale che, in passato, veniva perpetrato ai danni di quelle povere bestie, mi misi ad osservare i turisti che, abbandonati antichi timori e oscure paure, si avvicinavano ai rettili fino a toccarli, come per stabilire un contatto con il soprannaturale che essi rappresentavano. Dopo la benedizione, all’uscita della statua di San Domenico, i serpari attorcigliarono i serpenti terrorizzati intorno alla testa del Santo mentre il popolo, camminando a ritroso, in segno di rispetto al Santo, urlava frasi propiziatorie. La processione si snodava lungo le strade strette e tortuose del paese, ai lati della statua camminavano due ragazze, con vestito tradizionale, che portavano sulla testa un cesto pieno di grosse ciambelle ornate da confettini colorati.
– Quei pani si chiamano “ciambellani” – si premurò di informarmi mio padre – e alla fine della processione verranno regalati ai portatori del Santo e dello stendardo. –
Annuii, quasi per ringraziarlo della spiegazione non richiesta. In quel preciso istante vidi un giovane che, in preda all’euforia del momento, veniva verso di me e, prima che riuscissi a rifugiarmi tra le braccia di mio padre, mi avvolse intorno al collo una biscia. Fu agghiacciante, una sensazione ripugnante quel contatto con la mia pelle. In preda al panico e guidata da un istinto di sopravvivenza, afferrai l’animale, che non reagì alla mia presa, e lo scaraventai a terra con un urlo di terrore.
Mi destai dallo stato di trance, andai di corsa a prendere il cofanetto di mia madre, e, frugando tra i suoi gioielli scovai la collana della nonna, la strinsi fra le dita, accarezzai le teste dei serpenti e con un gesto quanto mai naturale, la avvolsi intorno al collo e mi ammirai con orgoglio allo specchio. I miei sintomi isterici erano svaniti, la mia fobia era rimossa, iniziai ad indossare, ad una ad una tutte le mie collane, in pochi minuti mi ero trasformata in una donna dell’etnia Padaung, una donna giraffa, dal collo allungato per le numerose collane, strette come collari, e più mi ammiravo e più forte era la sensazione di piacere che insorgeva al centro del mio corpo per estendersi, poi, fino alla periferia. Ero uscita dal tunnel fobico, le mie pulsioni istintuali marciavano al contrario, come i pellegrini devoti a San Domenico all’uscita dalla chiesa. (fine)
PRIMA PARTE https://ilsorpassomts.com/2020/03/10/la-collana-della-nonna-parte-1/