Scrivo per non morire – L’angolo della poesia

L’angolo della poesia a cura di Gennaro Passerini

 

La poesia che presentiamo in questo numero del nostro giornale è della poetessa Palma Crea Cappuccilli e fa parte dell’ultima silloge da lei pubblicata nel 2018, Il tuo inno intatti. Di formazione classica e con poliedrici interessi culturali, autrice anche di saggi, testi teatrali e testi in prosa, ella ha trovato nella poesia la modalità privilegiata per esprimere, attraverso un linguaggio quasi sempre scarno ed essenziale, sentimenti e stati d’animo, in uno scandaglio interiore mai di maniera. Il testo proposto affronta il rapporto complesso e apparentemente inconciliabile tra caducità della vita e necessità della parola esternatrice. Il commento è affidato alla penna del prof. Raffaele Simoncini.

 Scrivo per non morire

 

Sono qua

ad imbrattare carte

sulla giusta misura

delle cose.

Vivo con coscienza il mio presente

fedele ascoltatrice ed allieva

di chi è aduso a parlare

da fogli ingialliti.

Scrivo

schiava di ambizione

ed orgoglio

cercando parole e verbi

nel cesto delle mie cianfrusaglie

esistenziali,

magica alchimia

che rende nuovi ed armonici i pensieri.

Non faccio che viaggiare,

andata e ritorno,

in perpetuo moto e sospensione

tra cielo e terra,

mi affaccio

dove si adagiano le idee,

dove si annidano i sogni

come serpi a primavera.

La mia Musa è discreta,

non ha vesti di porpora e d’oro,

muove a volte tortuosa,

dibatte in bianco e nero,

si posa infine

per effetto centripeto

a mutare il senso delle cose.

 

Il sentimento arcano che induce l’uomo a ricercare ciò che possa lasciare una traccia di sé, attraverso idee, dove si annidano i sogni come serpi a primavera, è l’obolo generoso che si deve a fogli ingialliti, con i quali si è avuta e si continua ad avere una consuetudine inestinguibile. Quelle pagine, tantissime, ed alcune immortali, tutte venerate, amate e concupite, in una sorta di folle passione, offrono la misura di una devozione morale, prima ancora che estetica: scrivo schiava di ambizione e orgoglio, cercando parole e verbi nel cesto delle mie cianfrusaglie. Questo senso del limite viene espresso apertamente dalla poetessa, con l’umile consapevolezza di poter accedere esclusivamente all’ispirazione di una Musa discreta: al cospetto di chi ha saputo dire, in poche parole, ciò che ogni uomo ha sempre avvertito nella sua sensibilità interiore, è quanto meno degno di profondo rispetto riconoscere che si è in grado solo di imbrattare carte sulla giusta misura delle cose. In queste carte, c’è un viaggiare, in perpetuo moto e sospensione tra cielo e terra, di un pensiero che dibatte in bianco e nero, come in una pellicola vintage che, nel proprio Cinema paradiso, rischia di  interrompere, da un momento all’altro – e all’improvviso –, il continuum di una narrazione. E, pur tuttavia, il rischio di essere novella Prometeo non impedisce alla poetessa di tentare, in magica alchimia, di mutare il senso delle cose. Da questa meravigliosa contraddizione, tra mète utopicamente ambite e  disarmante, prosaica, banale realtà di un vissuto, si genera, benefico, un effetto centripeto, che accosta arditamente orgoglio, sogni, alchimie, armonici pensieri  e piena, lucida, coerente consapevolezza di una coscienza che non può e non saprebbe mostrare vesti di porpora e d’oro. Solo questa fervida  “paupertas” (povertà)  creativa può ambire ad un defatigante, continuo viaggiare, verso il dono di una eco lontanissima: “paulo maiora canamus” (cantiamo cose un po’ più nobili)…..

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