Social Media Virus

di Pierluigi Lido
Foto: Nobody likes me. Banksy

 

La diffusione del Coronavirus rappresenta la prima epidemia di massa condivisa nella storia dell’umanità sui social media. Questo articolo è scritto il 24 di febbraio e forse quando lo leggerete i contagi saranno decuplicati e i morti triplicati. In balia degli umori rapsodici della gente sarà – invece – come avremmo vissuto questa fase sui social network, terreni che hanno una vita propria, incontrollata ed incontrollabile.

In questo scenario quei pochi professionisti che stanno cercando di capirci davvero qualcosa dovranno potenzialmente anche occuparsi di una massa potenziale di capre che ingorgano giga di spazio nell’Internet, per “dire la loro”, gente da assistere di fronte a una potenziale e futura pandemia, tutta gente a cui garantire i giga dati extra dentro una corsia d’ospedale. Sono così duro perché non è davvero necessario aprire la bocca ove non ci sia nulla di sensato da dire, lo spiegano le maestre ai ragazzini sin dalle scuole elementari. Ve lo ricordate quando la maestra con un fare materno diceva alla ragazzina con la mano fissa alzata: “Basta Beatrice! Abbiamo capito: brava!”. Forse invece voleva risponderle come Renè Ferretti nel suo Boris di qualche anno fa.

Sui social si è attraversati da un interminabile susseguirsi di opinioni personali relative a una potenziale pandemia, penso sempre che poi – invece – a novembre non c’è nessuno a cogliere le olive accanto a me e manco agli street food a sbirrare e manco a sporcarsi troppo le mani coi lavori di un socialismo reale che in Italia non esisterà mai a causa di un diffuso benessere. Ditemi quello che vi pare, ma a casa mai sta roba si chiama DIFFUSO BENESSERE o benessere diffuso, maiuscolo o minuscolo, a piacer vostro. Non è un peccato, grazie a Dio che viviamo in un diffuso benessere che ci dà l’opportunità di parlare del sesso degli angeli, ancora per un po’.

Tanto ormai sui social serviamo solo per produrre dati e stare buoni, stare buoni e produrre dati, un po’ come delle vacche al pascolo che andranno al macello, prima o dopo. Siamo tutti potenzialmente dei media unici, con le dovute proporzioni. Pensate a Roberto Burioni che è un media a tutti gli effetti, un soggetto unico di gran lunga più autorevole del Sole 24 Ore, Repubblica e Corriere messi insieme se parliamo di virus online, un nome & cognome ricercatissimo direttamente e unicamente per rimanere aggiornati da una fonte autorevole.

Ne capite da soli la responsabilità, la stessa responsabilità che sta “massacrando” Enrico Mentana sulla sua Page per l’allarmismo giornalistico procurato in questi giorni di bulimia di informazioni sul Coronavirus. Massacrando relativamente poiché nulla è vero e nulla è durevole in un ambiente digitale, nulla è solido nella volubilità delle menti delle masse che vivono ormai a una velocità di accelerazione impressionante, dove uno nell’arco di tre anni può diventare un elettore di sinistra che passa al centro, poi a destra e/o viceversa. L’elettorato mobile lo chiamano, non la gente che non capisce più manco come si chiama, oggi si chiama elettorato mobile, non elettorato impazzito, non capre: si chiama elettorato mobile.

Se siete ancora vivi dopo la prima epidemia sui social network, sarete vivi anche alla fine di questo articolo, perché è finito, senza preavviso. Senza preavviso, come finirà questa epidemia, come finisce tutto, dalla notte dei tempi. Senza preavviso. Statemi bene: è l’unica cosa che conta.

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