La “presentosa” – prima parte – Racconto a puntate
La “presentosa”
di Vittorina Castellano
Aspettavo con ansia la lettera dal Provveditorato agli Studi per la nomina all’insegnamento. Avevo superato con una buona valutazione il concorso di maestra elementare. Avevo vent’anni e tanta voglia di inserirmi nel mondo del lavoro. Erano anni difficili, la guerra aveva messo in ginocchio tutti, si pensava alla ricostruzione, alla riorganizzazione e al rilancio economico del Paese. Sapevo che, come prima nomina, sarei dovuta andare fuori Pescara, avevo fatto domanda d’insegnamento in tutte le province dell’Abruzzo, ero preparata a trasferirmi anche in un paese sperduto fra le montagne pur di ottenere la mia indipendenza e in un certo senso la mia emancipazione. I miei genitori erano contrari, desideravano per me un felice matrimonio e una opportuna sistemazione in città. Il postino mi fece firmare e mi consegnò la raccomandata, aprii emozionata la busta, mi tremava la mano – Scanno! – .
– Scanno? Non se ne parla, troppo lontano, devi rifiutare. – Mia madre sentenziò categorica. Scoppiai in un pianto dirotto, ero felice e insoddisfatta allo stesso tempo, era forte il desiderio di realizzarmi ma nel contempo la cosa richiedeva un grande sacrificio: avrei dovuto badare a me stessa lontana dalla mia famiglia. Dopo il pianto liberatorio abbracciai mia madre.
– Mamma, è il caso di tagliare il cordone ombelicale, devo crescere con le mie forze, ce la farò, non stare in pensiero per me, non vado mica in America! Un paio d’ore di viaggio con la corriera, puoi venire a trovarmi, posso tornare la domenica, in fondo l’anno scolastico passerà in fretta e magari il prossimo anno avrò una nomina più favorevole – .
Avevo preso la mia decisione, avrei accettato. Cominciai a preparare la valigia, viste le ristrettezze del momento, non avevo un guardaroba molto fornito, un paio di gonne, due tre maglie fatte da mia madre, un cappotto, un cappello e una sciarpa. Misi in valigia alcuni libri e i quaderni che avrebbero raccolto i miei pensieri, le mie ansie, la mia quotidianità. I miei genitori mi accompagnarono alla corriera, ci salutammo con le lacrime agli occhi.
– Non parto per la guerra! – dissi per sdrammatizzare – Torno per le vacanze di Natale, due mesi passano in fretta- .
Arrivai a Scanno, il paese era abbarbicato su uno sperone del Monte Carapale, nell’alta valle del fiume Sagittario, e le case, tutte uguali, erano addossate le une alle altre: sembrava un presepe. Le strade erano molto strette, alcune finivano in vicoli ciechi. Raggiunsi la scuola e come specificato nella lettera della nomina, trovai l’alloggio adiacente alla classe. Una cameretta e una cucina con caminetto – Confortevole – pensai- poteva andarmi peggio – Sistemai le mie cose e accesi il camino, faceva freddo, venivo da una città di mare e ritrovarmi a più di mille metri d’altezza mi creava disagio. Il bidello che mi aveva accolto e mi aveva dato le chiavi di casa, mi aveva lasciato sul tavolo un cestino di uova e del pane casereccio. Preparai una frittata e la sistemai fra due fette fragranti di pane, mi appollai vicino al caminetto e mentre assaporavo la gustosa cena sospiravo soddisfatta del mio nuovo stato. Al mattino dopo mi svegliai presto, ero emozionata come una scolaretta, quello sarebbe stato il mio primo giorno di scuola da maestra. Avrei avuto una pluriclasse, bambini dalla prima alla quinta, sarebbe stato un compito veramente difficile gestire l’insegnamento differenziato. Non avevo idea su come procedere, mi sarebbe venuta, pensai, interagendo con gli alunni. Aprii la porta della classe, Gino, il bidello, aveva fatto sedere i bambini al loro posto, li vidi alzarsi al mio ingresso – Buongiorno signorina maestra! – .
– Buongiorno bambini, potete sedere, mi chiamo Valentina –.
Erano quindici bambini, piacevolmente ordinati nel loro grembiule nero con collettino bianco: i maschi avevano il fiocco azzurro e le femmine quello rosa. Gino si avvicinò ad una bimba seduta al primo banco
- Signorina Valentina, questa è Elena, la mia nipotina, deve fare la prima.- Gli occhi di Gino brillavano di commozione, quella bimba doveva essere per lui il bene più prezioso.
- Bene e ora facciamo conoscenza anche con gli altri – .
Ad uno ad uno i bambini si alzarono in piedi per dirmi il loro nome e la classe da frequentare. Trascrissi tutto sul registro e pensai di spostarli di banco, i cinque di prima li sistemai ognuno vicino ad uno di quarta o di quinta, in tal modo avrei avuto nei grandi dei validi aiutanti, delle guide per i più piccoli. Al suono della campanella congedai i ragazzi e li pregai di portare l’indomani dei cartoncini. Per alfabetizzare i nuovi e per rinvigorire i vecchi discepoli avevo pensato di realizzare con i cartoncini una tombola inserendo al posto dei numeri le letterine, le sillabe e le parole. Il mattino seguente ci mettemmo all’opera, tutti i ragazzi si impegnarono con grande entusiasmo alla realizzazione di cartelle e cartellini per le estrazioni. Apprendere giocando, quella era la mia idea di didattica che volevo sperimentare.
- Siete stati veramente bravi, domani inizieremo a giocare, mi raccomando però, dovete portare dei sassolini per segnare sulle cartelle – .
La mia nuova esperienza mi entusiasmava, il sentiero intrapreso sarebbe stato tutto in salita ma avevo la convinzione di poter arrivare alla meta con soddisfazione.