Il maestro Dino Sivignani
Il maestro Dino Sivignani
di Simona Speziale
Sette, quattordici, ventuno, ventott
Lu maestr m’ha date li bott
Mi l’ha date pi uij e dumane
Viva viva lu maestr Sivignani.
A qualcuno leggendo questa filastrocca saranno spuntate le lacrime agli occhi perché questa è la storia di una persona speciale, un uomo grande e severo all’apparire ma con un cuore, un altruismo e una bontà d’animo immensi.
Si chiamava Bernardo, ma tutti lo conoscevano come Dino Sivignani, “lu’gnormastr”.
Con questa filastrocca scritta su una targa gli alunni di una 5° elementare di Montesilvano dei primi anni ’60 conclusero il quinquennio passato con il loro maestro. Queste rime semplici e simpatiche in realtà sintetizzano quel rapporto di amore e timore che esisteva tra il maestro e i suoi alunni.
Era nato nella Montesilvano ancora provincia di Teramo, l’8 gennaio 1924. La sua intelligenza lo aveva portato a essere un amante della cultura sotto ogni aspetto. Aveva da giovane tante passioni, una tra tutte la musica. Studiava canto ed era un buon tenore e aveva iniziato una carriera che prometteva davvero bene, quando la Seconda Guerra Mondiale mise fine ai suoi sogni e a quelli di tantissimi ragazzi della sua età. Nonostante questo ebbe la fortuna di poter svolgere il lavoro che amava: insegnare. Iniziò a 24 anni e restò maestro per tutta la vita.
Sivignani, all’apparenza rigido e ruvido, era in realtà un “buono”, aveva un animo tenero e amorevole e un’innata ilarità. Era disponibile e partecipativo, dava il suo aiuto disinteressato, ma non amava i ringraziamenti a fronte dei quali diventava burbero e scorbutico. Era sorridente, simpatico e scanzonato, una piacevole compagnia nel famoso Bar Centrale di Settimio, nella piazza della stazione, che all’epoca era frequentato da tutti gli amici montesilvanesi. Nello stesso tempo era facilmente irascibile e si mostrava alquanto irriverente verso i “potenti “e i “ricchi” di allora.
Non sopportava il compromesso, era per i rapporti schietti e sinceri ed è per questo che amava il mondo dell’infanzia dove poteva vivere a contatto con i pensieri sinceri dei bambini.
Racconta sua figlia Nicolina: ” I suoi alunni erano “i suoi bambini” e “i suoi ragazzi” per sempre, anche da adulti. Ne curava la crescita, li controllava nelle ore pomeridiane, se studiavano, se frequentavano cattive compagnie, se fumavano o se rischiavano di perdersi, sembrando talvolta un padre pedante. Tanti di loro continuarono a fargli visita per anni portandogli le pagelle, i diplomi, le lauree… le mogli. Ti racconto un aneddoto …aveva una 500 famigliare bianca… i suoi ragazzi, che ne conoscevano la targa 35136, se la vedevano arrivare e sapevano di essere in fallo, si nascondevano o fuggivano. Un giorno in via San Domenico, vicino al mobilificio De Zelis e alla piazzetta, alcuni di loro giocavano a pallone per strada… all’improvviso la 500 apparve seminando il terrore!! Fuggirono tutti, tranne uno che si era “impanicato”: vide vicino un bidone di quelli di latta, che usavano i muratori per tenere l’acqua per il cemento, e ci si infilò per evitare il peggio. Il Maestro però lo aveva visto. Si avvicinò e prendendolo per un orecchio lo tirò su grondante di acqua, lo sgridò “stupido, ndundì”, ma lo accompagnò a casa per farlo asciugare temendo che si ammalasse. Inutile dire che ha amato svisceratamente i ragazzi dell’epoca, li ha vissuti pienamente e tanti di loro, divenuti uomini e padri, lo ricordano in modo amorevole con simpatia e gratitudine. La vita è stata con lui spesso particolarmente dura, per me è stato un severo grande papà.”
Ringrazio Nicolina Sivignani per il suo prezioso contributo.
Questo articolo lo dedico a Ermina Mantini