SLCF GIUGNO2018 Ritratto di famiglia
SLCF GIUGNO2018
Ritratto di famiglia
di Mika
INDOVINA CHE VIENE A CENA? (USA-1967) Regia di Stanley Kramer, con Spencer Tracy, Katherine Hepburn, Sidney Poitier, Katherine Houghton. Riconoscimenti: Oscar 1968 per miglior attrice a Katharine Hepburn e miglior sceneggiatura a William Rose.
Cosa accade ad una famiglia di stampo progressista quando la figlia porta a casa per cena il suo fidanzato di colore con l’intenzione di annunciare un imminente matrimonio? Vacillano improvvisamente le convinzioni e si instaura la condizione per imbastire, con grande capacità comunicativa e ironia, una genuina critica verso l’ipocrisia e le intrinseche contraddizioni di un consolidato modo di pensare “di sinistra”. Nel ’67- anno di riprese del film- i matrimoni interrazziali erano illegali in 14 stati americani, poi resi consentiti per intervento della Corte Suprema il 12 giugno dello stesso anno. Eppure dopo 50 anni, tra le più famose commedie americane, questo film brilla ancora per i dialoghi, l’intelligenza e l’arguzia delle battute e degli spunti di riflessione, per le interpretazioni di mostri sacri di Hollywood come Tracy e la Hepburn. È il cinema – sotto le spoglie di una commedia ruffiana e moderata- che ritrae il cambiamento e lo anticipa, influenzando il costume e il pensiero della società, plasmando le nuove famiglie del domani.
TANGUY (FRA-2001) Regia di Etienne Chatiliez, con Sabine Azema, André Dussollier, Eric Berger, Heléne Duc. Note: in Francial’espressione Tanguy è diventata sinonimo di un individuo adulto che vive ancora a casa con igenitori.
La nonna aveva ragione dicendo “uno che nasce con due settimane di ritardo non se ne andrà mai di casa”. E così Tanguy, ragazzo di 28 anni, educato, acculturato, brillante negli studi e innamorato dei suoi genitori sembrerebbe il figlio perfetto. Di fatto lo hanno cresciuto facendolo diventare un mostro viziato, che usa casa come fosse un albergo e di emanciparsi dal nido non ha alcuna intenzione. Con leggerezza e corrosiva incisività, intercettando e interpretando un problema sociologico dei nostri giorni, questa commedia ironizza con arguzia e un pizzico di cattiveria, prendendo spunto dalla realtà contemporanea, sulle famiglie succubi di figli bamboccioni. I singolari e creativi tentativi dei genitori di sbarazzarsi di Tanguy li faranno finire paradossalmente sul banco degli imputati. Un insieme davvero ben riuscito – ottimi soggetto, sceneggiatura, personaggi e interpreti – per questa pungente commedia francese che con situazioni esilaranti dal retrogusto amaro rappresenta una diffusa sfaccettatura del nostro tempo. In bilico tra realtà e assurdo, ribalta le dinamiche familiari facendo dei genitori delle canaglie senza scrupoli disposte a tutto pur di riconquistare quegli spazi personali di cui la prole li ha privati.
I TENENBAUM (USA-2001) Regia di Wes Anderson, scritto da Owen Wilson e Wes Anderson, con Gene Hackman, Anjelica Houston, Ben Stiller, Gwyneth Paltrow, Luke Wilson, Owen Wilson, Bill Murray.
Su tutti i membri della famiglia regna l’influsso di Royal Tenenbaum (interpretato da Gene Hackman). Che sia veramente un cattivo modello, per il suo eccentrico e spiccato egocentrismo? Che sia invece solo un capro espiatorio, per giustificare la deriva delle vite dei tre diversissimi e ormai cresciuti figli che da piccoli invece, ognuno nel proprio ambito, sembravano promettere, brillare e primeggiare? Nella disfunzionale famiglia Margot, promettente scrittrice e precoce fumatrice, si è depressa in un matrimonio senza alcuno stimolo. Chas genio della finanza, rimasto vedovo a seguito di una tragedia, ora è ossessionato nel proteggere i figli. Richie, un tempo imbattibile tennista, ha perso le sue doti sportive avendo saputo del matrimonio della sorellastra di cui è da sempre infatuato. Etheline, l’ex-moglie di Royal, ama e odia l’ex-marito a momenti alterni. Nell’universo di Anderson – mondo pop, colorato e dettagliatissimo -, dove si combinano dramma e commedia, realtà e grottesco, ogni personaggio è ispiratamente pervaso da un umorismo intellettuale e colto, fuori dagli schemi ma mai sopra le righe. Un film corale dove ogni carattere – anche quello più marginale – è perfettamente delineato in ogni dettaglio, a partire dai sempre uguali vestiti che ricordano tanto l’universo fumettistico dei Peanuts.
CANINO (KYNÓDONTAS) (GRE- 2009) Regia di Yorgos Lanthimos, con Christos Stergioglou,Michele Valley,Angeliki Papoulia, MaryTsoni, Hristos Passalis,Anna Kalaitzidou. Riconoscimenti: premio Un Certain Regard al Festival di Cannes del 2009.
Una famiglia rinchiusa tra le alte mura di una villa con piscina, un habitat confortevole, dove formare e deformare l’esistenza dei propri cari, facendoli vivere e crescere con la totale privazione del contatto con il mondo esterno, il mondo reale, per evitare che da questo possano essere contaminati. Sembra la trama di un horror psicologico, ma è in realtà un soggetto cinematografico allucinato, disturbante ed angosciosamente brillante. Nel mondo fasullo di questa famiglia, isolata da qualunque canale comunicativo, anche il linguaggio è fasullo e la comunicazione verbale avviene in un rapporto alterato tra significato e significante, poiché il travisamento semantico amplifica l’alienazione dei figli dal mondo reale. Il padre, l’unico che ha una vita nel mondo esterno, diventa il demiurgo che plasma individualità appiattite e annichilite, che usa l’educazione come strumento capace di guidare le condotte di comportamenti morali. Questa condizione forzata, questa bolla anestetizzante in cui vivono i figli scoppierà quando nella loro vita si sarà intromesso un elemento di disturbo proveniente dal mondo reale. Non c’è emozione nella vita di questa famiglia, solo reazioni violente che scoppiano e si esauriscono in breve tempo. Un ritratto cattivo, brutale e disturbante.