Saluto a Silvia Di Paolo

Saluto a Silvia Di Paolo

di Pasquale sofi

I percorsi professionali, generalmente, quando soddisfano contemporaneamente sia l’ego che la pigrizia di ciascuna persona, diventano lineari e ripetitivi. Questo avviene quasi normalmente nella scuola ed è raro che un insegnante abbandoni il sentiero tradizionalmente battuto per avventurarsi in meandri innovativi, sconosciuti e fastidiosi ai più. Quello della prof. Silvia Di Paolo è stato il percorso più lungo, rapido e diversificato al quale ho assistito nel corso della mia carriera. Di forte personalità, era sempre ferma e propositiva nella sua competente coerenza e sapeva rendersi impermeabile anche alle meschinerie denigratorie tanto in auge nelle scuole.

Trasferita al Liceo di Montesilvano, si distinse subito per la severità nel suo agire professionale (il che fu oggetto di accesi confronti dialettici tra noi), ma cominciò a manifestare, al contempo, curiosità per le modalità formative che la scuola, allora, si sforzava di praticare e che lei non riusciva ancora a cogliere pienamente. Era spesso insistente nelle richieste di delucidazioni ma mai banale; e il desiderio di migliorarsi fu tale che, dopo qualche anno, volle cimentarsi quale figura strumentale per la definizione e la gestione dell’allora Piano dell’Offerta Formativa; lavoro che condusse con impegno e dedizione sebbene una perfida malattia cominciasse a minare il suo fisico. Tale attività le permise di maturare e fare sua l’idea di una scuola capace di spostare la sua centralità verso lo studente e i suoi bisogni.

Trasferitasi, infine, in quella che è stata la sua ultima sede di lavoro, il liceo “Leonardo Da Vinci” di Pescara cercò, purtroppo e suo malgrado con spirito anarchico, di affinare qualitativamente le sue metodologie didattiche, segnalandosi tra i formatori più qualificati a livello regionale per la didattica digitale. La faceva soffrire più ancora dell’acuirsi della malattia la diffidenza per il suo lavoro da parte del suo contesto lavorativo. Accettava a malincuore il doversi assentare per ricoveri forzati che la allontanavano dalla sua cattedra e dai suoi amati e stimati studenti dai quali ritornava appena possibile con stoica e rinnovata speranza. La sua scomparsa lascia un vuoto enorme nei suoi cari, ma più ancora infligge un duro colpo a tutti coloro che credono che la scuola non possa più riproporre schemi e metodi già in auge nell’800. A me piace immaginare lassù, dove i docenti considerano lo smartphone uno strumento didattico e non un’oggetto da sequestrare, il suo incontro con la prof. Maria Di Marco per discutere di una scuola che in Italia vedremo forse nel secolo che verrà. Un caro saluto terreno a una donna eroica alla quale mi sento di dover dire grazie.

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