Lorenzo Valloreja Dalla cultura popolare agli scenari internazionali
Lorenzo Valloreja Dalla cultura popolare agli scenari internazionali
di Gianfranco Costantini
Non mi viene in mente un altro titolo per presentare Lorenzo Valloreja, classe 1975, nato a Pescara e residente a Villanova di Cepagatti ma con antiche origini angolane. Non enuncio i titoli di questo insegnante plurilaureato dalle mille risorse intellettuali perché sarebbe necessaria almeno mezza giornata e solo così si potrebbe godere appieno della profondità della sua cultura. Io conosco da molti anni Lorenzo, abbiamo frequentato la stessa scuola e casualmente la vita ci ha portato a percorrere un pezzo di strada assieme. Oggi, a distanza di anni, quando c’è un dubbio da chiarire o un rompicapo da risolvere, ci sentiamo e le risposte arrivano sempre puntuali, spesso dopo ore di piacevole conversazione. Lorenzo non è mai stato un conformista e l’appellativo di rivoluzionario gli calza a pennello. Purtroppo o per fortuna lui è così, la sua indole lo ha portato a non piegarsi al cospetto delle convenienze personali e ha tirato sempre dritto verso i propri ideali. Con Lorenzo condivido molte passioni, per questo motivo quando alla fine della sua ultima fatica letteraria è servito il mio consiglio, mi sono messo a disposizione per fornire il mio piccolo contributo. Proprio per questo motivo ho avuto la fortuna di ricevere in anteprima una copia del libro “AL DI LÀ DEL PREGIUDIZIO” e l’ho letto con grande interesse. Il libro è un vero e proprio manuale di storia contemporanea e descrive avvenimenti economici, storici e politici in una proporzione perfetta. La lettura è facile e, nonostante la complessità degli argomenti, Lorenzo è riuscito a produrre una narrazione fluida e l’interpretazione più pertinente. Nell’intento dell’autore il libro vuole essere un manuale estremamente dettagliato a servizio delle generazioni cosiddette “millenial”, ovvero nate dopo il duemila, che per motivi anagrafici non hanno conosciuto lo splendore della nostra nazione ma solo il declino e il degrado. A mio avviso però il libro è estremamente utile anche e soprattutto a coloro che pur avendo vissuto gli anni Settanta, Ottanta e Novanta, non hanno compreso le reali cause del nostro declino e sono erroneamente convinti che corruzione e debito pubblico siano le cause di tutto ciò. Personaggi di notevole caratura nel campo dell’economia e della filosofia, che ho avuto il piacere di conoscere, come Nino Galloni e Diego Fusaro, hanno realizzato pre e post fazione, a testimonianza del valore dell’opera di Lorenzo Valloreja.
- Come mai, visto che sei orgogliosamente abruzzese, presenterai in anteprima nazionale il tuo libro, il 12 dicembre 2017, presso la Sala Stampa del Senato della Repubblica, anziché in una delle tante splendide location disponibili qui da noi?
- Sì, è vero, sono orgogliosamente abruzzese, attaccato alla mia terra ed alle storie della mia gente che spesso amo raccontare nei miei scritti, tanto che è più probabile incontrarmi, nei miei rari momenti liberi, presso qualche archivio di Stato, intento a reperire fonti per una mia pubblicazione di storia abruzzese, che non in un centro commerciale a fare shopping o in un bar a leggere il giornale. Questo non vuol assolutamente dire che non abbia una vita mondana o che, ancora peggio, non metta mai il naso fuori dalla nostra Regione: infatti, “Al di là del pregiudizio” è il mio primo saggio di respiro nazionale che, con mia grande sorpresa, è stato accolto molto positivamente anche e soprattutto in ambito internazionale. A tal riguardo basti leggere gli innumerevoli articoli apparsi su siti francesi, inglesi, tedeschi, spagnoli, iraniani, statunitensi e, udite udite, anche camerunensi, ma ciò che mi ha dato più soddisfazione è l’intervista sul famosissimo sito d’informazione “Sputnik news”. Ora, se questo è accaduto sul versante della comunicazione, l’atto di fiducia, espressomi attraverso la prefazione e postfazione di Diego Fusaro e di Nino Galloni, ha fatto sì che anche in ambito politico la mia pubblicazione fosse apprezzata e resa oggetto di attenzione da un pubblico sempre più competente e vasto. Ciò chiaramente non significa che tutti coloro i quali hanno letto il mio libro siano convenuti alle mie tesi, anzi molti sono stati i distinguo, tuttavia è innegabile che tutti, ma proprio tutti, hanno riconosciuto la grande onestà intellettuale di questo libro, così come ne hanno apprezzato la grande accuratezza delle fonti.
Pertanto, con queste premesse, era scontato che una simile pubblicazione non potesse essere presentata per la propria “prima nazionale” qui in Abruzzo, non certo per presunzione, ma perché, come è evidente, essa ha una finalità e degli interessi che vanno ben oltre i confini nazionali. Considerato ciò, la location più adeguata, ci è sembrata essere quella del Senato della Repubblica.
- Scusami Lorenzo, in quest’ultimo passaggio, hai usato il plurale. A chi ti riferisci quando dici: << ci è sembrata più adeguata >>?
- In particolare al professor Nino Galloni, alla senatrice Paola De Pin e al giornalista Giulietto Chiesa, i quali hanno creduto così tanto nella bontà della mia opera da organizzare l’evento che, si badi bene, sarà soprattutto un momento di confronto, una tavola rotonda tra chi è a favore delle mie tesi e chi è contrario. A tale incontro interverranno – oltre al sottoscritto, il professor Galloni, Giulietto Chiesa e la senatrice De Pin – anche il senatore Paolo Arrigoni e gli onorevoli Fabrizio Di Stefano e Gianni Melilla.
- Tu immagini di stringere rapporti commerciali con la Russia come contraltare all’uscita dalla UE e dalla NATO. Ritieni oggettivamente fattibile tale scenario?
- Sì, caro Gianfranco, lo ritengo incredibilmente fattibile perché oggi più che mai la Russia è uno stato dall’economia solida e in forte espansione. Si tenga infatti conto del fatto che Mosca ha un debito pubblico bassissimo, un invidiabilissimo 6%; inoltre detiene la VI riserva aurea al mondo nonché una discreta mole di riserva in valuta estera stimabile intorno ai 500 miliardi di dollari, il che la rende praticamente solvibile nei confronti dei debiti esteri. Come noto, ha materie prime in abbondanza e il cambiamento del clima globale sta facendo sì che da Paese leader nell’esportazione di gas e petrolio si stia trasformando in una potenza agricola. La Russia infatti, allo stato attuale, è il primo esportatore di frumento del pianeta: dopo essersi lasciata alle spalle gli Usa, ha sorpassato anche l’Unione Europea e si prevede che nel prossimo futuro continui imperterrita su questa strada. Se l’economia russa non è cresciuta ai ritmi cinesi, lo si è dovuto solo ed esclusivamente alle sanzioni internazionali. L’Italia aprendosi alla Russia potrebbe diventare una buona valvola di sfogo per quest’ultima e con la crescita dell’economia russa si otterrebbe un ulteriore aumento della quota di benestanti russi. Questi ultimi genererebbero un aumento delle importazioni dall’Italia di beni cosiddetti di lusso e artigianali. Se poi a tutto ciò uniamo il fatto che una possibile alleanza con la Russia ci aprirebbe le porte dei BRIC, con conseguente possibilità di acquisire le materie prime a prezzi sicuramente più convenienti, ecco che la cosa si fa ancora più allettante. Per quel che riguarda l’aspetto militare, i benefici che potremmo avere sia in politica estera che dall’affrancamento dalle spese imposteci in ambito NATO non sarebbero trascurabili. Se il nostro Paese si ritrovasse improvvisamente isolato, un’alleanza anche militare con Mosca sembra quanto mai più che scontata. Alleanza che, a mio avviso, va caldeggiata perché la Russia è notoriamente uno Stato pacifico e non avventurista, caratteristiche, queste ultime, che ben si confanno alla indole italiana.
- Ritieni fattibile la creazione di un gruppo di Stati UE a guida Italia, capace di forzare la leadership tedesca e andare nella direzione di cercare il superamento delle sanzioni verso la Russia causate dall’invasione dell’Ucraina?
- Riguardo a questo punto, mi preme farti alcune piccole precisazioni. La prima è che la Russia di Putin, a oggi, non ha mai e poi mai invaso l’Ucraina, ha fiancheggiato invece, come d’altronde ha fatto prima di lei la NATO, una delle parti in campo. Allo stato attuale, poi, le sanzioni verso la Russia sono in piedi solo ed esclusivamente perché l’Unione Europea è succube della Casa Bianca che, a sua volta, è vittima di tutti quei gruppi d’interesse statunitensi i quali, un giorno sì e l’altro pure, cercano costantemente di mettere sotto scacco Trump attraverso storie quali il “Russiagate” o la “Putinfobia”. Senza le interferenze di questi veri poteri forti le sanzioni sarebbero state revocate già da un bel pezzo. Tutti gli Stati europei, ivi compresi la Francia e la Germania, hanno interesse a tessere affari con il Cremlino: si pensi ad esempio alla recentissima visita di Macron in Russia riguardo alla questione del nucleare iraniano o all’accordo tra Germania e Russia siglato, nel pieno delle sanzioni, per il raddoppio del gasdotto Nord Stream, che di fatto aumenterà ancor di più lo strapotere di Berlino sulle altre cancellerie europee, poiché tutta l’energia necessaria al vecchio continente arriverà dalla Russia attraverso la Germania. Per cui, con il guinzaglio degli Stati Uniti al collo, questa Europa, con le proprie elefantiache istituzioni, non potrà mai togliere nessuna sanzione. Dato ciò, l’unico interesse dell’Eliseo e del Bundeskanzleramtsgebäude è stato sempre e solo quello di avere Paesi, all’interno dell’UE, che fossero più deboli della Francia e della Germania. In definitiva, l’Europa non può essere cambiata rimanendovi, perché è l’istituzione stessa che ha finalità diametralmente opposte rispetto agli interessi, non solo italiani, ma anche di tanti altri Paesi comunitari.
- Ritieni fattibile la creazione di un gruppo di pressione di Stati Europei capace di forzare la modifica delle politiche economiche UE, da anni appiattite sulle teorie teutoniche?
- No, non lo ritengo fattibile perché, come ti ho detto pocanzi, è il sistema stesso, l’Unione Europea in definitiva, che ha scopi diametralmente opposti rispetto ai nostri interessi nazionali. Per essere più chiaro, citerò un esempio: La Francia è dal 1881, con il famoso “schiaffo di Tunisi”, che ha i nostri medesimi appetiti su determinate sfere d’influenza. All’epoca delle avventure coloniali noi fummo defraudati da Parigi della Tunisia e dopo la Seconda Guerra Mondiale anche della Libia. Negli anni ‘50 del secolo scorso l’Italia, che ufficialmente non poteva avere una propria politica estera autonoma, grazie all’ENI di Enrico Mattei invece riuscì a lavorare in quella parte del mondo e così decolonizzammo, a discapito dei nostri cugini d’oltralpe, prima l’Algeria e poi la Tunisia. Quest’ultimo Paese, grazie alla presidenza Craxi, divenne saldamente un nostro “Stato cliente”. Morto Bettino e, con lui la Prima Repubblica, l’Eliseo nel 2011 trovò il modo per farcela pagare e, attraverso la “Rivoluzione dei Gelsomini” prima, e della “Guerra civile libica” poi, sottrasse queste due importanti Nazioni dalla nostra sfera di influenza. Ma le frizioni tra noi e i transalpini non si sono limitate solo a questo. Penso infatti alla cessione, mai spiegata tra l’altro da parte dell’esecutivo Renzi, di notevoli porzioni delle nostre acque territoriali alla Francia. Nello specifico, nel sud della Corsica, il limite delle acque territoriali è stato portato da 12 miglia a oltre le 40, con notevole danno per la marineria italiana che si è vista precludere una delle zone più pescose del Tirreno. Se poi si va a osservare l’ultima querelle che c’è stata tra Roma e Parigi per l’affare Fincantieri-STX, ci si rende immediatamente conto che ogni collaborazione tra noi e i nostri vicini d’oltralpe, stando così le cose, è del tutto improponibile. Altra cosa invece sarebbe un possibile rapporto con nazioni geograficamente lontane da noi e che abbiano interessi diversi dai nostri sul bacino del Mediterraneo. In tal senso, persino una vecchia potenza come il Regno Unito, che in passato ci ha creato non poche grane rispetto alla gestione del Mare Nostrum, sarebbe un interlocutore più affidabile.
- Quindi non ritieni più ambizioso per l’Italia essere leader di un cambio di paradigma in UE, invece di fuggire dalla stessa e cercare alleanze che stravolgano il nostro storico posizionamento nello scacchiere internazionale?
- No perché, stante ciò, l’unico sistema utile per forzare seriamente la gestione economica dell’UE è uscirne, così come sta facendo appunto il già citato Regno Unito. Alla fine molti altri Paesi ci seguirebbero e la Germania rimarrebbe praticamente da sola e con il cerino in mano. Fatto ciò, poi si potrebbe sviluppare seriamente e nuovamente una qualche forma di collaborazione tra i popoli europei, ma questa dovrebbe, inevitabilmente, essere la negazione di tutto quanto finora fatto dall’UE. In definitiva, le nazioni non si creano a tavolino, e men che meno i SuperStati, come si vorrebbe fare con l’attuale Unione Europea. Per quel che riguarda il nostro “storico posizionamento nello scacchiere internazionale” non sono io a volerlo stravolgere, ma sono stati gli altri a volerlo fare e lo hanno fatto in primis con il divorzio tra la Banca d’Italia e il “Tesoro” nel lontano 1981, poi con il trattato di Maastricht del 1992; successivamente hanno continuato con l’entrata nell’euro nel 1999 e infine hanno messo la pietra tombale alla nostra sovranità con il trattato di Lisbona del 2007. L’Italia è posizionata nel centro del Mediterraneo da quando esiste il mondo, è quella la sua missione, e chiunque ha operato per spostare le frontiere più a ovest (vedi NATO) o cedere costantemente nostri pezzi di sovranità, è egli stesso che ha stravolto la nostra posizione nello scacchiere. Io invece, con le mie idee, voglio ricollocare la mia Patria nel suo giusto alveo, cioè nel garantire la pace e la prosperità, in piena autonomia e sovranità, nel cuore del Mediterraneo.
Ciò può essere attuato, allo stato attuale, solo cambiando i nostri partner internazionali.