L’angolo della poesia : Esistenziale
L’angolo della poesia a cura di Gennaro Passerini
Vi propongo dalla raccolta “ho questo maledetto vizio erratico” Di Felice Edizione una poesia di Palma Crea Cappuccilli dove la poetessa raggiunge vette di profonda emozione, il senso acuto della fugacità e del tempo fermo e spento, nella ricerca mai conclusa di una verità che appaghi.
E’ preferibile vivere la vita che cercare di comprenderla, a volte riusciamo a viverla, ma non riusciamo mai a comprenderla. Louis Dumur
Letta dal prof. Raffaele Simoncini
Esistenziale
Difficile ignorare
la nostra fragile trasparenza
dolente evanescenza
nel gravoso silenzio
della sera.
La afferriamo
quando alziamo lo sguardo assente
al cielo
nel trepidare intermittente
di una lama di sole
nel coniugarsi causale
eppure provvidenziale
di un alito di vento
col seme di un fiore.
Cosa siamo noi in questo?
Atomo abbandonato all’universo
eppure
capace di adagiarsi al suo fluire?
Foglie al vento
sollevate cullate
a volte inabissate disseccate
oltraggiate
trasportate
dal correre del tempo,
solo a suo piacimento e non al mio?
L’esistenza è un interrogativo, che trascende il vivere quotidiano, nei cui meandri si dipana la trama dell’effimero. La domanda sulla “nostra fragile evanescenza”, nella sua ontologia più complessa, impalpabilmente leggera e, ad un tempo, drammaticamente densa, compatta, sembra muoversi nel vacuum della sorte inconsapevole di una foglia al vento: sollevata, nel vaneggiare di una culla che esprime vitalità e gioia, inabissata e disseccata, perfidamente oltraggiata, al cospetto di una irrevocabile morte. Gli echi della poesia più elevata sul tema dell’esistere, classica e moderna, rendono i versi della poetessa quanto mai “presenti” e attuali. In questo senso, il tema esistenziale proposto all’attenzione del lettore lambisce lo scorrere ineffabile e indifferente del tempo, che avvolge il tutto e che sembra perseguire un suo fine o appare procedere a caso, a suo piacimento, rendendoci consapevoli di quanto sia inutile proporre un proprio tempo, una propria clessidra che scompagina la coscienza, nel tragico errore della propria centralità nell’universo infinito. L’onirica illusione non spegne, tuttavia, la volontà primaria e titanica dell’uomo di afferrare nelle piccole cose, nelle analogie intuite e ineffabili, nelle visioni “altre”, un “provvidenziale alito” di vita cosmica. Lo splendido interrogativo leopardiano, su cosa rappresenti l’umanità, al cospetto di un tutto sfuggente e terribilmente presente, si ripropone, nella poetessa, trasferito nel destino del singolo soggetto, considerato che ciascun uomo sa di non potersi sottrarre a questa tremenda domanda. Allora, evocazioni, riflessioni, speranze, delusioni, coraggio, paure, gioie, angosce, esaltazioni, depressioni non possono che trovare una quiete distensiva: la vita val la pena di essere vissuta, pur se l’esito finale, lapidariamente, offre una esclusiva “coniugazione causale”: ogni lotta, ogni sforzo, ogni tentativo di ribellione deve – e non può essere altrimenti! – “adagiarsi al fluire” dell’universo. In definitiva, i tre interrogativi che la poetessa offre alla nostra interpretazione non hanno risposta alcuna: sono semplicemente, spudoratamente una non possibilità, come quella del bambino che, secondo S. Agostino, voleva riempire il buco scavato sulla riva del mare di tutta l’acqua che lo componeva e rimaneva deluso nel constatare che ciò non era possibile…