Questo mese sorpassiamo … LA CRITICA SENZA AUTOCRITICA

Questo mese sorpassiamo … LA CRITICA SENZA AUTOCRITICA

di Vittorio Gervasi

Quando tutti sono, oppure sembrano d’accordo su quanto dici, credo che un motivo di preoccupazione non possa mancare.
Se ti rivolgi ad un pubblico che la pensa come te, è facile raccogliere consensi.
Se dici cose che accarezzano la pancia di chi ti ascolta è ancora più facile raccogliere consensi.
Se oggi, come si usa dire, dici cose politicamente corrette, così da non scontentare nessuno, ancor più facile è trovare apprezzamento.
Detto in altri termini, se cerchi il consenso ad ogni costo lo puoi trovare, non è difficile.
E lo puoi trovare anche esprimendo delle critiche, perché ci sono critiche, talmente a buon mercato, che sono alla portata di tutti e che tutti possono rilanciare.
Un esercizio facile e diffuso e soprattutto molto comodo.
Cosa c’è di meglio che accusare gli altri di tutti i mali del mondo quando sei al bar dello sport piuttosto che dietro la tastiera di un pc per scrivere su un social?
Vi svelo un segreto. Si riconosce una buona critica se chi la fa è allo stesso tempo capace di fare autocritica.
Il dizionario della lingua italiana Treccani definisce il termine autocritica come “la critica rivolta a sé stesso, al proprio operato o al proprio operare”. È cioè la capacità di avere una coscienza critica verso sé stessi prima ancora che verso gli altri.
Ancora in molti credono che il mondo cambi, o possa cambiare, grazie alle loro critiche, grazie alle loro opinioni urlate.
Non è così e non è mai stato così, ma forse conviene non comprenderlo perché alla fine è molto più comodo.
Il più potente strumento di cambiamento personale e collettivo è proprio l’autocritica e forse anche l’auto ironia propria di chi non si prende troppo sul serio.
Se conosco tutto di un certo mestiere, perché magari ho fatto lo stesso identico mestiere, mi sarà molto più facile esprimere una critica. Ma se sarò anche capace di riconoscere che spesso ho fatto gli stessi errori di cui accuso gli altri con veemenza allora, forse, sarò un po’ più credibile.
Il guaio è che davvero in pochi fanno autocritica.
Si preferisce non riconoscere neanche il minimo errore pur di affermare la propria persona e i propri convincimenti.
Si dimentica però che non c’è niente di più realistico della stessa realtà; detto in altre parole, prima o dopo, la vita, quella reale, ti presenta il conto e ti chiede di pagarlo questo conto.
Abbiamo tanti maestri della critica, ma abbiamo pochi testimoni capaci di far parlare le loro opere, i loro comportamenti!
E il destino di un popolo, di una città, di un quartiere, di un condominio, di ogni famiglia, non è legato alla capacità di criticare gli altri ma alla forza degli esempi di vita che restituiscono credibilità alle parole.
Nessuno è esente da errori, il sottoscritto può essere in cima alla classifica, ma il guaio è non saperli riconoscere. Ostinarsi nel perpetrarli e dare comunque la colpa agli altri è la più grande forma di conservazione di un mondo profondamente malato.
Dopo un’esperienza fallimentare riproporsi senza fare autocritica cosa può promettere?
Dopo anni di critiche dietro una tastiera arrivare al potere e scoprire che la realtà non è quella che abbiamo immaginato nella nostra testa a tal punto da non riuscire a cambiare nulla, o forse anche peggiorarla, non dovrebbe finalmente spingere a riconoscere che tante critiche erano profondamente ingiuste?
Accusare gli altri di ciò che in prima persona non siamo mai riusciti a fare non è forse la vendetta che si consuma contro noi stessi piuttosto che contro il malcapitato di turno oggetto delle nostre invettive?
La critica è sacrosanta a due condizioni. La prima. Si criticano le azioni, i comportamenti e mai si dà un giudizio definitivo sulla persona che li compie. La seconda: è corretto fare sempre autocritica prima della critica, per capire se ciò che tanto mi infastidisce non è forse anche un mio difetto che non accetto e mi spinge ad essere intransigente con gli altri e transigente con me stesso. Più metti in discussione te stesso e più comprendi gli altri; senza nulla togliere agli errori che comunque rimangono tali.

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