Via Ariosto? Italiani brava gente!….

 

 

di Raffaele Simoncini

Torno a casa, in auto, in un traffico estivo già abbastanza caotico, ascoltando distrattamente la radio. In una di quelle locali, mi colpisce la voce dello speaker che dice: “…retata a Montesilvano: allontanati 17 africani dalla spiaggia, ove avevano attrezzato un precario, piccolo accampamento. Le forze dell’ordine hanno chiarito trattarsi di persone che abitavano in via Ariosto, prima dello sgombero del palazzo, e che ormai da qualche notte dormivano lì…”.

Ordinaria amministrazione di questi tempi – mi sono detto – ma ora che accadrà delle molte persone allontanate da quella zona?

Non avendo né potere né mezzi per risolvere una situazione a dir poco problematica e cronica, ho pensato all’utilità, per noi italiani “civili”, di capire cosa voglia dire vedersi e sentirsi vittime di stereotipi sociali e culturali. Italiani brava gente! Noi, italiani di oggi, che accettiamo, rifiutiamo, accogliamo, cacciamo, giudichiamo etc., in una sorta di schizofrenia comportamentale, degna di cura psichiatrica. Lasciamo questi italiani, noi compresi, al duro giudizio storico che sarà dato, tra qualche tempo, sui loro, sui nostri comportamenti. Una volta tanto, cominciamo a vederci e giudicarci, attraverso una dolorosa indagine che ho intenzione di svolgere, semmai a tema e a puntate: non certo uno sceneggiato televisivo, ma un breve, concreto disegno storico, di quella storia sempre e stolidamente ignorata e che, invece, ci farebbe molto bene conoscere-ricordare, per non perdere le tracce, il senso di ciò che siamo al presente.

Comincerei da una breve rassegna di grandi uomini di cultura.

John Ruskin, autore ottocentesco di un Viaggio in Italia, una sorta di diario personale, arricchito da moltissime notazioni sulle bellezze naturali e artistiche del nostro Paese, così, sinteticamente, ci considera: “Questi italiani…che schifo…Sono il teschio di Yorick pullulante di vermi…della natura umana non resta che il fetore”. Lo stesso autore, passando per Bologna, si sofferma a descrivere quanto segue: ”Avant’ieri, a Bologna, ho inciampato in una povera creaturina che giaceva sul selciato, immersa in apparenza nel sonno eterno: forse era sfinita per l’inedia. Mi sono fermato all’istante, non certo mosso da compassione, bensì affascinato dalle pieghe della camicina a brandelli che mal celava il petto smilzo. Se non ho negato l’obolo alla madre non è stato per un atto di carità: mi premeva che scacciasse le mosche, mentre eseguiva lo schizzo”( traduco: mentre apriva la mano e la portava verso di me, per ricevere l’obolo…). Charles Dickens, celebre scrittore, nel 1844, descrive un suo passaggio per la città di Piacenza: “I suoi abitanti sono imbroglioni e devoti, come dappertutto in Italia. Il miglior albergo è il San Marco, che è però nelle mani di furfanti matricolati. Tutti, perfino i domestici del luogo offerti agli stranieri per il loro servizio, si accordano con la gente della casa per derubarvi. Il mio consiglio è dunque di evitare questo posto di tagliagole”. Mi si dirà: “Ma sono personaggi dell’Ottocento!”. Jean Paul Sartre – filosofo e scrittore sul quale evito di dare ragguagli biografici e culturali, essendo uno dei personaggi di maggior rilievo del Novecento – arrivato a Napoli, accompagnato da Simone de Beauvoir, scrittrice e sua compagna, annota nel 1936: “La carne delle napoletane aveva un aspetto di bollito sotto il sudiciume; il vicolo aveva consumato le loro guance….. Vidi con sollievo le labbra baffute di una ragazza: se non altro sembravano crude”. Poi, aggiunge: “E’ una città sifilitica, un’esistenza sudicia e rosa”.   Tutti stereotipi, come si può notare, ma che nel tempo hanno lasciato un segno indelebile. Ancora un paio di citazioni, tra le decine e decine che potrei portare, a sostegno dei modi di intendere gli italiani, che durano nel tempo, nel nostro tempo, e sono difficili da sradicare, se non anche impossibili. Scrive Charles de Secondat, il famosissimo barone di Montesquieu, autore illuminista tra i più intelligenti e culturalmente rilevanti, trovandosi a passare per Rovereto: “Essi sono insolenti: non c’è nulla di peggio della plebaglia abbandonata a se stessa. Si aggiunga che i furfanti fissano più volentieri la loro residenza ai confini fra due Stati. E’ sorprendente che in Italia bisogna pagare con esattezza e farsi rendere il resto, fino all’ultimo centesimo, a ogni stazione di posta: ma è una cosa necessaria: la gente del popolo si fida poco: ognuno non pensa che a ingannare gli altri, a mentire, a negare i fatti”. Vorrei chiudere questa prima finestra sulla nostra italianità, se così mi è concesso di dire, con quest’ultima citazione: “Il popolaccio italiano è il più cinico dei popolacci…il cinismo è tale che supera di gran lunga quello di tutti gli altri popoli…per tutto si ride, e questa è la principale occupazione delle conversazioni, ma gli altri popoli..ridono piuttosto delle cose che degli uomini, piuttosto degli assenti che dei presenti, perché una società stretta non può durare tra uomini continuamente occupati a deridersi in faccia gli uni e gli altri, e darsi continui segni di scambievole disprezzo. In Italia, il più del riso è sopra gli uomini e i presenti….quest’è l’unico modo, l’unica arte di conversare che vi si conosca. Chi si distingua in essa è fra noi l’uomo di più mondo, e considerato per superiore agli altri nelle maniere e nella conversazione, quando altrove sarebbe considerato per il più insopportabile, e il più alieno dal modo di conversare. Gl’italiani posseggono l’arte di perseguitarsi scambievolmente.” L’autore di questi sprezzanti giudizi? Giacomo Leopardi! Egli scrive, nel 1824, un volumetto dal titolo Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani, forse non a caso pubblicato solo nel 1906… .

In una prima sintesi, noi italiani veniamo descritti, da grandi uomini della cultura, stranieri e connazionali, come uomini sporchi, sudici, ladri, truffatori, ingannatori, delinquenti, offensivi, cattivi, perfidi, incivili! Sarebbe bello guardarci allo specchio della nostra coscienza e chiederci: “Ma non siamo noi, oggi, civili e progressisti, a dare sprezzanti giudizi come questi al diverso, all’extracomunitario, allo “straniero” in senso lato?”. L’italiano nel mondo, tema di prossimi articoli, risponderà a questo interrogativo dalla parvenza un po’ retorica… .