CONFESSIONI DI UNO SCETTICO SOGNATORE DI REALTA’: ARROSTICINO MON AMOUR
di Davide Canonico.
Non abbiamo ancora disfatto l’albero e digerito il panettone che già abbiamo gli scaffali invasi di colombe e uova di Pasqua. Dunque, se c’è ancora qualcuno che fatica a riprendersi dal veglione di Capodanno, si faccia forza perché bisogna vincere più di una battaglia per vincere la guerra. Tuttavia, mentre le festività natalizie, tra corse ai regali e tavolate chilometriche di parenti, richiedono la preparazione di un Marine pluridecorato per sopravvivere indenne, quelle pasquali si presentano alle nostre porte con un aspetto decisamente più sobrio. Del resto lo dice anche il proverbio: “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi”, a sottolineare che in questi pochi giorni di festa senza troppe pretese l’unico obiettivo è rilassarsi un po’, con gli amici o in famiglia, godendosi i primi sprazzi di primavera.
Ma abbassare la guardia proprio ora sarebbe un errore fatale: l’apparente assenza di vincoli e convenzioni è solo una trappola piazzata per irretire ignare creature troppo ingenue per fiutare l’olezzo dell’inganno. Infatti è proprio questo il nodo cruciale: la libertà come espressione kierkegaardiana della possibilità, la possibilità come minaccia del nulla, o meglio, di non fare nulla. Perché anche l’assoluta libertà, a volte, può essere una prigione.
La possibilità di non dover necessariamente trascorrere questo weekend con l’intero albero genealogico lascia campo aperto alla fantasia che si sbizzarrisce a disegnare viaggi in luoghi ameni e di indubbio interesse. Infatti, sarà il caldo, sarà il sole o i fiori che sbocciano nei prati, ma tra le infinite possibilità di scelta si vaga, si indugia e alla fine ci si perde. Così mentre i sostenitori di mare e montagna fanno propaganda ai rispettivi partiti per portare voti alla loro causa, con una foga e una devozione che ricordano le primarie per l’elezione del presidente degli Stati Uniti, i più intrepidi si lanciano in proposte belle ed affascinanti quanto i voli di Pindaro, come gite fuori porta o weekend all’estero. Di fronte a tanta opulenza di scelta l’animo è spaesato e di fatto ci si ritrova puntualmente il Venerdì Santo ancora a decidere dove andare a passare il lunedì di Pasqua.
Eccolo il vero demone delle feste pasquali: la Pasquetta. Infingarda, passa in sordina all’occhio meno attento, ma in realtà, insieme all’incubo del capodanno, è l’unico punto interrogativo del calendario in grado di mettere alle corde perfino Cassius Clay. Tanti progetti, tutti molto belli ma che condividono il medesimo punto debole: necessitano del bel tempo per essere attuati. Peccato che il sole ed il lunedì di Pasqua si siano incontrati un lontano giorno nel ’92 e non so cosa si siano detti di preciso, ma non deve essere stato un incontro piacevole dato che ormai a Pasquetta piove praticamente sempre, non prima però di averti sbeffeggiato con giornate da estate inoltrata fino al giorno precedente.
Fortunatamente in Abruzzo c’è un argomento che mette tutti d’accordo: l’arrosticino. Al ristorante o all’aria aperta, a Villa Celiera o a Vasto Marina, per l’abruzzese se c’è l’arrosticino c’è casa ma soprattutto festa. Non è solo un prodotto tipico, è una dichiarazione d’amore alla propria terra, la carta d’identità delle nostre radici. L’abruzzese vero lo riconosci anche da questo: perché desiderare l’arrosticino dopo la maratona pasquale di 64 portate di agnello cotto in tutte le salse è cosa da cultori professionisti. È la passione verace di chi l’Abruzzo ce l’ha nel sangue, di chi invocava l’arrosticino sin dal primo vagito ed è stato svezzato a latte e carne di pecora. È espressione del senso di appartenenza ad una terra forte ma gentile, meravigliosa nelle sue poliedriche sfaccettature, dall’azzurro del mare al bianco delle cime innevate. Un diamante, l’arrosticino, incastonato in un anello dalla forgia fine e sublime, l’Abruzzo. Lui sì che è “per sempre”, altro che il trilogy, perché concedere l’ultimo arrosticino della portata è una semplice ma inequivocabile dichiarazione di amore eterno.