MA CHE MUSICAL, MAESTRO!
L’ho atteso con trepidazione fin dalla prima presentazione a Venezia, ne ho sentito straparlare – bene, soprattutto – per la pioggia di Golden Globe e nomination Oscar. Alla fine, la scorsa settimana, l’ho visto…non vedevo l’ora di vederlo…ma “La La Land”- perché di questo stiamo parlando – ha mestamente tradito le mie aspettative. Figuratevi, io adoro il musical, è il mio genere preferito! La La Land è un ottimo prodotto cinematografico, con solide fondamenta marketing/mediatiche, impeccabile sul piano tecnico, un’esperienza estetizzante per gli occhi e per le orecchie, saturo di citazioni ed omaggi – spesso innescanti l’effetto nostalgia- che ricalcano i tòpoi della cinematografia classica musicale, forte di una coppia di attori innegabilmente in gran forma ed in sintonia, con una colonna sonora misurata ma d’impatto. Ecco i motivi per cui critica, stampa specializzata e addetti ai lavori gli hanno spianato la strada verso innumerevoli riconoscimenti nei festival più blasonati e verso l’annunciato “sbanca tutto” agli ormai prossimi Oscar 2017 con ben 14 nomination all’attivo nelle categorie principali e non. Un film bello.
Ma a La La Land manca quella scintilla vitale, quel trasporto che ti fa entrare in connessione con i personaggi, quella vitalità musicale che ti fa sentire dentro la pellicola, quella coralità intrinseca del musical. Ecco perché non lo annovererei se non verso l’8° o 9° posto nella mia personalissima classifica dei musical. Mi ha lasciato un senso di amara nostalgia per quello che sarebbe potuto essere e invece non è. Ed è questo il senso.
Dopo aver condiviso con voi questa riflessione sul caso cinema/mediatico dell’anno, vi lascio con 4 musical – ovviamente – che la scintilla vitale ce l’hanno, eccome se ce l’hanno!!!
WEST SIDE STORY – USA,1961- codiretto da Robert Wise e Jerome Robbins. Con Natalie Wood, Rita Moreno, Richard Beymer, George Chakiris, Russ Tamblyn. Musiche di Leonard Bernstein. Trasposizione cinematografica dell’omonimo musical di Broadway on air dal 1957. Riconoscimenti: 10 Oscar e 3 Golden Globe nel 1962 tra cui Miglior film a Robert Wise, Miglior attore non protagonista a George Chakiris, Miglior attrice non protagonista a Rita Moreno.
La storia è un riadattamento in chiave attuale di Romeo e Giulietta: due bande contrapposte i Jets e gli Sharks e due giovani – Tony e Maria – si innamorano seppur appartenenti alla rispettiva fazione rivale. In una storia che sembra così semplice c’è spazio per parlare di immigrazione, integrazione, diversità, di odio e di amore senza essere mai banali con intelligenza ed arguzia. La musica è la trama dei pensieri, è l’ordito principale da cui si dipana la vicenda. Il ritmo è il motore dell’emozione e il cuore del montaggio. La danza è la rappresentazione delle azioni della vita e delle connesse conseguenze. Il colore è un segno identificativo, un carattere distintivo. La città – New York – è il campo di battaglia della vita quotidiana. Tutti questi elementi assieme danno vita a un capolavoro che segna l’avvento del musical moderno. Anche i titoli di apertura sono degni di nota: in una piccola ouverture orchestrale in cui vengono suonati e introdotti i temi musicali principali c’è il segno grafico di Saul Bass che stilizza in un’immagine e rivela a poco a poco lo skyline di Manhattan. Tutto il resto è storia.
THE ROCKY HORROR PICTURE SHOW – UK,USA 1975- Regia Jim Sharman, Soggetto e musiche di Richard O’Brien Sceneggiatura di Jim Sharman, Richard O’Brien. Con Tim Curry, Susan Sarandon, Barry Bostwick, Richard O’Brien, Patricia Quinn, Little Nell, Jonathan Adams, Peter Hinwood, Meatloaf.
Un’esperienza – non un semplice musica – che o si ama o si odia. Una produzione così fuori dagli schemi, a basso budget e strampalata che è impossibile non volerle bene. Un musical in cui si parla di sesso, anzi, nello specifico, di libertà sessuale e di genere. Ma sotto questa patina di latex, calze a rete e allusioni più o meno esplicite travestite da horror movie barocco e dissacrante c’è un messaggio latente e potente: “Don’t dream it. Be it.” . Ovvero: “Non sognatelo, siatelo.” Siate veramente voi stessi, non abbiate paura di mostrare la vostra vera natura, questo è il mantra del Dr. Frank’nFurter- interpretato da un ineguagliabile Tim Curry. Non esiste una versione doppiata del film, solo lingua originale sottotitolato. Per una semplice ragione: le performance degli attori sono uniche e irripetibili. Una travolgente opera pop-rock, completamente originale, da cui – se glielo permetterete – sarete letteralmente trascinati, stregati e non potrete fare a meno di ritrovarvi a ballare il Time Warp. Questo spettacolo fuori dal comune viene ancora proiettato – a tarda notte e nei peggiori cinema d’Inghilterra- e il pubblico, in una sorta di performance meta-teatrale, partecipa al film e interagisce durante la proiezione con oggetti, battute e balli. Da fare almeno una volta nella vita! Un cult assoluto.
DANCER IN THE DARK – DAN,ARG,FRA,…2000- regia, soggetto e sceneggiatura di Lars von Trier, con Björk, Catherine Deneuve, David Morse, Peter Stormare. Musiche di Björk,Richard Rodgers, Thom Yorke. Riconoscimenti: palma d’oro a Cannes 2000 per miglior film e miglior attrice a Björk.
Si può fare un musical che è un anti-musical? Un drammone esistenziale che mette assieme argomenti come cecità degenerativa, povertà, disagio e pena di morte? Quel folle di Lars Von Trier ci è riuscito. Con totale fedeltà alle sue dogmatiche convinzioni, senza inutili fronzoli e con telecamera a spalla, racconta la storia di Selma – operaia ormai prossima alla cecità totale, immigrata in America che a gran fatica lavora e risparmia per pagare al figlio l’operazione che lo salverebbe dalla progressiva perdita della vista – dritta come un pugno nello stomaco creando un cordone di empatia tra il personaggio principale e lo spettatore fuori dal comune. Il musical – con numeri musicali, cantati, recitati e ballati, ma ben distinti dal resto della narrazione – è un espediente narrativo per fuggire dalla realtà, una catarsi per edulcorarla, è manifestazione di una dissociazione e di un estraniamento dal mondo reale in un sogno a occhi aperti alla ricerca della salvezza dallo struggente mondo di Selma. Complici le inaspettate doti attoriali della cantante islandese Bjork, si assiste a un musical-non musical che segna a fondo per il distacco lo scollamento tra il crudo realismo dell’impianto filmico/scenografico e l’anima semplice e sognatrice di Selma.
MOULIN ROUGE -USA,AUS 2001-di Baz Luhrmann, con Nicole Kidman, Ewan McGregor, John Leguizamo, Jim Broadbent. Riconoscimenti: Oscar 2002 per Miglior scenografia e miglior costumi. Golden Globe 2002 per Miglior Attrice a Nicole Kidman e Miglior Film musicale.
È come uno di quegli album in cui non c’è separazione tra le tracce, uno spettacolo unico ed eccessivo, che ti trascina lasciandoti trattenere il fiato dall’inizio alla fine. È un’opera pop ricca di suggestioni e citazioni dal mondo dell’arte, della cultura, del cinema, della letteratura e del teatro. Una colonna sonora che è un impressionante medley che prende a prestito – dal can can a Heroes di Bowie- testi e musiche “coverizzandoli ” in modo mai banale, traendo ciò che occorre per raccontare la storia di Christian, squattrinato scrittore in cerca di fortuna e di un senso, e di Satine, bellissima cortigiana, e del MOULIN ROUGE. Il luogo in cui i sogni possono realizzarsi o infrangersi. Al MOULIN ROUGE va in onda lo spettacolo degli spettacoli, la rappresentazione nella rappresentazione, dove vita e palcoscenico si fondono e si compenetrano. Kidman e McGregor impegnati più di tutti in notevoli performance vocali. Se una civiltà aliena vedesse il musical di Baz Luhrmann avrebbe un assaggio del finire del diciannovesimo secolo, una summa del ventesimo e una porta aperta sul futuro del XXI.