Castrovalva, il paese che c’è ma non c’è! (prima parte)
Incredibile che tutto questo stesse succedendo proprio a lui! Marco aveva programmato tutto, si sentiva pronto a fare il grande passo che avrebbe cambiato la sua esistenza. Era uno scrittore affermato, conduceva una vita agiata tra viaggi, salotti letterari e belle ragazze, ma da un anno frequentava una giovane donna americana che aveva conosciuto durante una presentazione di un suo romanzo.
Carola era a Roma da qualche mese per perfezionare la lingua e per comprendere la realtà culturale contemporanea italiana. Dopo il college era stata contattata da una testata giornalistica, ma desiderava girare il mondo prima di dedicarsi seriamente a un lavoro. Aveva un blog di racconti di viaggi che gestiva con discreto successo.
«Quanto c’è di autobiografico nei personaggi dei suoi romanzi?» Così Carola si presentò alla fine della presentazione, porgendo a Marco il libro da autografare. «Mi chiamo Carola, sarei felice di una sua dedica, ho letto tutti i suoi romanzi, li adoro».
Marco la ringraziò con un sorriso e, dopo uno scambio di sguardi, scrisse: “Sarei lieto di invitarla a cena”.
Andarono in un ristorante vicino alla libreria e parlarono tutta la sera. Si scambiarono sorrisi e sguardi intensi. Brindarono più volte al loro primo incontro. Ci fu un secondo appuntamento, poi un terzo e un altro ancora. I due giovani ormai si frequentavano con regolarità e tra loro stava nascendo un sentimento solido che non lasciava nulla al caso. Marco trovava nel loro rapporto una rinnovata fonte d’ispirazione, passava ore a scrivere, ma con il pensiero programmava gli attimi che avrebbe poi trascorso con la sua Carola. Passavano romantici fine settimana in giro per le città, tra una presentazione di libri e l’altra. Aveva scelto l’anello, le avrebbe chiesto di sposarlo a cena, nello stesso ristorante del loro primo incontro. Sarebbe stato romantico. Aveva ordinato rose e peonie, l’atmosfera era perfetta. Seduti allo stesso tavolo, gustavano del cibo delizioso, scelto con cura per l’occasione importante. Conversavano amabilmente, inebriati dal denso e ineffabile profumo dei fiori. Marco era ansioso, aspettava con trepidazione l’arrivo del dolce per aprire definitivamente il suo cuore alla donna che amava da mesi.
Qualcosa però stava cambiando. Lo sguardo gelido e distaccato di Carola vagava sugli oggetti del tavolo del ristorante mentre la sua voce feriva impietosamente il suo animo. «È stato bello conoscerti e condividere con te un anno di emozioni ma non sono più sicura dei miei sentimenti. Ho bisogno di andare via, ho accettato una proposta di lavoro, ritorno a New York. Non dire niente, ti prego, non modificherò la mia decisione. Scusami». Senza degnarlo di uno sguardo, si alzò e uscì dal ristorante. Non era una delle tante storie che raccontava nei suoi romanzi, era la sua vita che andava in pezzi. Aveva nella tasca della giacca la scatola con l’anello che aveva fatto realizzare per Carola, quella sera le avrebbe chiesto di diventare sua moglie ma lei lo aveva preceduto con un secco e irremovibile addio. Pagò il conto e tornò a casa per affogare nella disperazione la sua cocente delusione. Essere lasciati alla vigilia di Natale è un’esperienza indelebile, un marchio che brucerà per sempre sulla pelle.
Erano trascorsi alcuni mesi e Marco stentava a ritrovare un equilibrio, spesso vagava per la città senza una meta, non frequentava più gli amici di sempre ma soprattutto, non aveva scritto più una pagina del suo nuovo libro. Restava per ore davanti allo schermo del computer che rimaneva bianco. «Uno scrittore non deve mai trasferire tutto se stesso nei personaggi dei suoi romanzi, finirebbe per circoscrivere l’universo dei sentimenti e degli accadimenti solamente al suo vissuto. Tutto ciò sarebbe un trascurabile esempio a confronto delle variabili in gioco: non desterebbe alcun interesse. La ripetitività genera monotonia e abitudine. La noia porta alla distrazione e l’assuefazione all’abbandono». Così Marco aveva sintetizzato il suo pensiero di scrittore nella presentazione dell’ultimo libro.
Era un autore di successo ma, dopo la crisi dell’abbandono, accusava il blocco dello scrittore. La sua fervida fantasia non riusciva più a concepire una storia appassionante da raccontare. Il buio più assoluto ottenebrava la sua mente. Aveva delle scadenze da rispettare con il suo editore che lo tempestava di telefonate con l’intento di scuoterlo dal suo torpore obnubilante. Era invischiato in una trappola psicologica deprimente, avrebbe dovuto guardare al di fuori di sé, avrebbe dovuto osservare con rinnovata attenzione la varia umanità che contornava e interagiva con la sua vita. Era stanco di piangersi addosso, decise di abbandonare quella mestizia che lo accompagnava pedissequamente negli ultimi mesi.
Avrebbe dovuto lasciare per un po’ la città, pensò, e trasferirsi in un rifugio ameno ma solitario, magari tra i monti, in un contesto quasi primitivo ma idoneo a rinvigorire il suo spirito caduto in letargo. Avrebbe acquistato una casa in uno di quei paesi, ormai spopolati, che offrono ai turisti beni immobili a prezzi simbolici, purché siano ristrutturati. Roma in quei giorni era particolarmente malinconica, il cielo era plumbeo e riversava a intermittenza sulla città scrosci di pioggia fastidiosissimi. Stava per arrivare la primavera ma gli ultimi sprazzi dell’inverno marcavano l’aria di pungente malinconia. «Inizierò a cercare in Abruzzo, è comodo da raggiungere e ha tante località pittoresche» decise Marco, mentre digitava al computer “case in vendita in località di montagna, piccolissimo paese abruzzese”. Sullo schermo apparve “Castrovalva, paese di 12 abitanti situato a 820 metri di altitudine su un ripido sperone roccioso”. Marco esaminò un paio di offerte immobiliari e decise di prendere in considerazione una casa a due piani, in pietra, con un antico portale e una scalinata esterna con ringhiera. I proprietari erano emigrati in America e i figli, dopo la loro morte, avevano optato per la vendita dell’edificio recidendo così ogni legame con il passato.
Definito l’acquisto con l’agenzia immobiliare, Marco mise le sue cose in valigia e partì alla volta del paese fantasma. Dopo un’ora di autostrada si ritrovò ai piedi del monte Sant’Angelo, pronto a seguire le indicazioni di un cartello che lo indirizzavano verso una strada stretta e tortuosa con tornanti ripidi e svettanti quasi nel vuoto. Lo scrittore scese dall’auto e volse lo sguardo verso la vetta per scorgere il gruppo di case, addossate le une alle altre, quasi a formare un corpo unico. Il giovane riprese il viaggio, l’auto arrancava su quella che una volta doveva essere stata una mulattiera. A ogni tornante Marco percepiva un tuffo al cuore, il panorama, sulla Valle del Sagittario, era incredibile. I fianchi scoscesi della montagna erano rigogliosi di vegetazione dalle variegate tonalità di verde che solo il risveglio primaverile può donare. Di tanto in tanto, dalle crepe della roccia, spuntavano ciuffi di cespugli fioriti che completavano il panorama con macchie di colore. Egli era combattuto dal desiderio di godere appieno lo spettacolo unico che la natura offriva al suo sguardo ma, nello stesso tempo, la paura di distrarsi e di sbandare pericolosamente nel vuoto, gli impediva di cogliere quella fantastica opportunità.
Frastornato, si ritrovò in paese, davanti al piccolo bar – emporio dove, secondo le istruzioni dell’agenzia, avrebbe trovato la chiave della casa che aveva appena acquistato. Il proprietario del locale si offrì di accompagnarlo. Insieme attraversarono una piazzetta su cui affacciavano la chiesa parrocchiale Santa Maria ad Nives del XVI secolo e alcune abitazioni restaurate. I loro passi rimbombavano nel silenzio quasi spettrale. Imboccarono una viuzza stretta e tortuosa, passarono sotto un Arco Medioevale, porta d’ingresso all’antico paese, per giungere davanti al portone di legno massiccio, abbellito da due enormi battenti con maschera leonina. Marco ringraziò il barista ed emozionato, girò la chiave nella toppa. (..continua..)