Il Natale non è uguale per tutti
“Bisognerebbe avere facce tinte di rosso per la vergogna”
di Miriam Severini
Adelaide D’amico ha 55 anni e lavora come operatore sociale dal 1988 nella cooperativa sociale Ausiliatrice.
È inoltre volontaria e collaboratrice dell’associazione Progetto Incontro. Presidente della Cooperativa sociale Ausiliatrice (www.coopausiliatrice.it) che si occupa di servizi alla persona sul territorio di Montesilvano (PE).
La cooperativa gestisce un asilo nido e comunità educative per minori e giovani inviati dai servizi sociali territoriali, dal tribunale dei minori o dal Ministero di Giustizia, il compito delle comunità è di ri-educare i giovani, i ragazzi ad uno stile di vita positivo, propositivo e progettuale.
Con l’Associazione Progetto Incontro collabora alla gestione del Laboratorio Incontro centro diurno polifunzionale per diversamente abili, psichiatrici e persone svantaggiate. Il Laboratorio ospita più di 30 utenti con le loro famiglie e di questi 13 usufruiscono di progetti di borsa lavoro e di terapia occupazionale in convenzione con la ASL. Il Laboratorio è un centro di produzione di oggetti da regalo e bomboniere “solidali” e con il ricavato delle vendite si sostiene, anche se con grande difficoltà economiche e sempre a rischio chiusura.
D. Adelaide cosa le è capitato in questi giorni e perché tanta preoccupazione?
R. Questa settimana diversi miei amici sono stati convocati al distretto sanitario territoriale di competenza. Sono tutti utenti psichiatrici dei Centri di salute mentale adulti tra i 40 e i 55/60 anni, hanno patologia psichiatriche croniche che si contengono con i farmaci e soprattutto una vita sociale abitudinaria e organizzata.
Nel centro diurno in cui collaboro ne abbiamo 13. Sono persone veramente provate dalla vita e da una sofferenza che li ha segnati, che però si accontentano di poco per essere “felicemente cronici”, senza intasare i reparti di psichiatria. Percepiscono la pensione di invalidità (300 euro circa mensili), qualcuno l’accompagnamento e qualcuno no, non hanno appoggi familiari o comunque sono anziani e stanchi, percepivano un incentivo per fare attività occupazionale o una borsa-lavoro (da 280 a 350 euro mensili) per l’inserimento lavorativo. Al nostro centro diurno sono impegnati con la falegnameria e l’oggettistica, si sentono a posto perché lavorano 2 o 3 ore al giorno, come è nelle loro capacità, stanno insieme e sono “contenuti” dall’ambiente che li circonda, operatori e volontari che li guardano per ciò che sono: persone vere, autentici capolavori di umanità con il diritto di vivere, relazionarsi e sperare nel futuro con serenità!
Eppure questa settimana li hanno convocati per dire loro che questi incentivi non li avranno più! La ASL chiude le loro convenzioni perché sono adulti e non ha più senso che percepiscano incentivi per l’inserimento lavorativo, ora è un problema dei comuni, un problema sociale!
Ed è cominciata la crisi, tra un po’ rischieranno di perdere quella abitudinarietà dignitosa che li fa stare tranquilli e li fa vivere in una normale quotidianità, dovranno districarsi tra un servizio sociale e l’altro per sentirsi dire che “loro non possono fare niente, non ci sono fondi per queste cose, a malapena si coprono i bisogni essenziali!” o tra un CAF e l’altro dove non capiranno perché una carta, l’ISEE, fa una quadro della loro situazione economica, ma a nessuno interessa se davvero hanno bisogno di un aiuto economico perché è l’ISEE che fa testo, non la vita! E poi a loro non interessa il reddito di cittadinanza perché per quanto possibile vogliono lavorare.
Rimarrà loro solo la possibilità di avere una crisi, farsi ricoverare (alla sanità questo costa almeno 500 euro al giorno ognuno) e andare in comunità (a 150 euro al giorno se va bene), tutto perché alcuni politici, dirigenti e funzionari del welfare e della Sanità non si incontrano per definire come sostenere concretamente con 350 euro al mese (noi ne abbiamo 13 ma ce ne sono centinaia nella Regione Abruzzo) alcuni cittadini in difficoltà!
Eppure vorrei chiedere a ciascuno di loro se riesce a vivere con meno di 1000 euro al mese, e poi, giusto per indignarmi un po’, ma che sono 300 euro al mese per chi ne percepisce tra le 2.500 e le 6.000? Siamo seri, che paese solidale è questo? Solo perché, come mi disse un politico, “questi non interessano a nessuno, perché non rappresentano voti fruibili!”, a dire il vero qualche funzionarietto mi ha detto anche se penso che possa perdere tempo per “pochi matti”! Beh i veri matti siamo noi che non sappiamo guardare oltre il nostro naso. Per inciso, non sono indignata perché noi al centro abbiamo perso reddito, perché questo servizio occupazionale e tutta la struttura che accoglie oltre 30 disabili, lo facciamo gratuitamente, non ci riconoscono neppure il nostro lavoro e siamo noi che dobbiamo andare a caccia di modi per finanziare un’opera pubblica!
Viviamo un mondo che sembra offrirci tutto, una nazione che ha tra gli interessi collettivi il welfare (una volta si diceva il benessere), dei propri cittadini, eppure assistiamo ad alcuni paradossi che ancora ci indignano.
Siamo specializzati in tutte le possibili professionalità conosciute per produrre welfare, eppure i paradossi ci inseguono! Credo che l’aver parcellizzato le diverse professionalità esistenti che si occupano di servizi al benessere fisico, psichico e sociale della persona ha finito per far dimenticare la persona, sì proprio la persona nella sua interezza, nella sua unicità e totalità! Il vivere accanto fisicamente l’uno all’altro non ci fa vivere “insieme”, non si lavora per un servizio alla collettività e dunque non abbiamo più il coraggio di farci carico l’uno dell’altro, di collaborare, ognuno è specializzato nel suo ristretto campo: sei un medico? Ti occupi del benessere fisico e applichi solo i protocolli perché altrimenti ti becchi una denuncia; sei un funzionario? Ti occupi solo delle tue pratiche e se possibile, senza responsabilità perché non si sa mai, bisogna difendersi dalle accuse e da chi potrebbe controllarti; sei un’assistente sociale? Beh il tuo “potere” è poco, non puoi fare più di tanto e dunque non si va oltre; sei un politico? Lasciamo perdere!
Il sentire comune ci spinge a chiederci che fine ha fatto l’interesse collettivo, la passione per l’umanità, il coraggio di lavorare per obiettivi comuni, la voglia di lavorare insieme, di collaborare senza paura perché il welfare riguardi tutti.