ABRUZZO: NELLA TERRA DEL LUPO
ABRUZZO: NELLA TERRA DEL LUPO
di Davide Canonico
“È l’ora del lupo” titola la copertina della celebre rivista National Geographic, sullo sfondo un giovane esemplare di lupo appenninico tra i monti del Parco Regionale del Sirente-Velino.
Non è la prima volta che National Geographic rivolge l’attenzione alla nostra regione quando si parla di lupi: nel 2016 è finito tra le sue pagine lo scatto del fotografo Massimo Pellegrino, il cui obiettivo aveva catturato la rara e felice immagine di un orso e un lupo intenti a giocare insieme tra le nevi del nostro Parco Nazionale. In quarant’anni la popolazione italiana di lupi è passata da poche decine a quasi 2000 esemplari; oggi solo sul massiccio della Majella, secondo le fonti dell’Ufficio Gestione Faunistica del Parco Nazionale, vivono circa 10-11 branchi, composti ciascuno da 4-8 individui.
Quella del lupo in Italia, però, non è sempre stata una storia felice: negli anni ’70 un censimento del WWF stimava la popolazione del lupo appenninico a un centinaio di esemplari, un numero pericolosamente esiguo che lo annoverava tra le specie a rischio di estinzione. Dati recenti stimano valori 10-20 volte superiori, indicando la presenza di 1000-2000 esemplari. Un intervallo piuttosto ampio, dato dalla difficoltà di ottenere delle stime accurate; tuttavia è indubbio che si sia assistito a un recupero della specie, risultato che ha del miracoloso. Questo sviluppo demografico ha portato il lupo a occupare aree storiche dalle quali era completamente (o quasi) scomparso come la Francia, le Alpi orientali, la Puglia, la pianura padana e persino le coste della toscana. L’Abruzzo è sempre stata la roccaforte del lupo appenninico, esempio virtuoso di prosperità e integrazione da contrapporsi a molte altre aree dell’Europa occidentale dove questa meravigliosa specie è arrivata anche a scomparire. A differenza del celebre esempio americano del Parco di Yellowstone, dove il lupo è stato reinserito nell’habitat per mano dell’uomo dopo la sua scomparsa, in Italia si sta assistendo a un’espansione della specie del tutto naturale.
Il merito di questa rinascita va senz’altro al riconoscimento ottenuto nel 1976 di “specie protetta”, ma non è l’unico fattore determinante. Come riportato da Bruno D’Amicis nel suo contributo su National Geographic e come sottolineato anche dagli esperti del nostro Parco Nazionale, sono stati fondamentali altri due fattori. In primo luogo, si è assistito a un cambio di rotta nell’opinione pubblica, in particolare nelle zone di presenza del lupo, che ha iniziato a vedere questo animale non più come una minaccia ma come un simbolo e una risorsa per il territorio sia dal punto di vista ecologico che turistico. Inoltre, vi è stato un cambiamento nel contesto ambientale: da un lato il ridursi di aree dedicate al pascolo ha portato all’aumento dell’area forestale, dall’altro lato la reintroduzione di alcune specie erbivore selvatiche, come cinghiale e cervo, ha permesso al lupo di tornare a nutrirsi principalmente di animali selvatici.
Queste cifre incoraggianti portano speranza ma anche nuove sfide. Il lupo è natura e la natura non accetta confini. Una maggiore diffusione del lupo nel territorio porta a un aumento delle potenziali interazioni con le attività umane prime fra tutte l’allevamento. Se pur il bestiame non rappresenti la sua preda principale, non possiamo dire che il lupo lo disdegni. Ecco perché è necessario fornire soluzioni concrete nel rispetto reciproco di ambo le parti, specie in quelle zone dove il lupo si sta riaffacciando dopo anni di assenza e per questo la coesistenza risulta più delicata e difficile da gestire. Anche in questo caso l’Abruzzo rappresenta un esempio positivo da seguire: i danni nei confronti del bestiame sono tra i più bassi mai registrati e molto si è lavorato sia sulla prevenzione sia sui meccanismi di mitigazione così da rendere compatibile l’attività dell’uomo con la presenza del predatore. Storicamente i cani da guardia, come il pastore abruzzese, sono lo strumento più usato per proteggere il gregge, mentre tecniche più moderne come recinzioni elettriche o dissuasori visivi e sonori risultano poco utilizzati perché troppo costosi. La politica dei rimborsi in caso di danni da predazione è determinante e deve essere di facile accesso, senza perdersi nelle maglie farraginose della burocrazia, ma secondo gli esperti rimane uno strumento che deve essere coadiuvato da altre soluzioni. Non solo perché possono capitare episodi di denunce fraudolente, ma soprattutto perché il miglior strumento rimane la prevenzione. Le analisi svolte all’interno del nostro territorio mostrano come solo alcune aziende zootecniche siano colpite dal fenomeno e non in egual misura. Quindi cercare di prevenire gli incidenti in determinate aree riduce significativamente la loro percentuale sul totale. Un ulteriore problema che potrebbe apparire secondario, ma che invece è di grande importanza, è quello dell’ibridazione: il contatto con i cani e il mischiarsi delle razze potrebbe portare alla scomparsa del genoma del lupo selvatico. Attualmente si sta cercando di individuare e sterilizzare gli ibridi, ma non è facile.
La terra appartiene alla natura prima ancora che all’uomo, sebbene quest’ultimo tenda ad appropriarsi di tutto ciò che lo circonda. E in un mondo dove la natura è costretta sempre più a cedere al giogo dell’attività umana, la notizia del ritorno del lupo è quanto mai entusiasmante e inaspettata. Se vogliamo che il lupo non lotti più per la sopravvivenza della sua specie, ma si ponga l’obiettivo più grande e ambizioso di convivere con l’uomo lì dove il suo processo di espansione interessa aree a forte valenza antropica, non si può prescindere dal rispetto delle popolazioni locali, proponendo soluzioni concrete ed efficaci affinché il lupo sia percepito sempre più da tutti come una risorsa da preservare.