Liste d’attesa eccessivamente lunghe e tutela del diritto alle prestazioni mediche in tempi ragionevoli (prima parte)
dell’Avv. Dario Antonacci (Cultore della Materia in Diritto Notarile presso l’Università degli Studi di Bologna)
Il diritto alla tutela della salute, come noto, è un diritto considerato fondamentale.
Invero, dalla lettura della Costituzione della Repubblica italiana e, in particolare, dalla lettura dell’art. 32, emerge come “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.
In quest’ottica si può pacificamente rilevare la polivalenza strutturale del diritto alla salute da intendersi sia come diritto soggettivo all’integrità psicofisica che come diritto socialmente garantito all’ottenimento delle prestazioni mediche.
Al contempo, la norma da ultima menzionata, contenuta all’interno della Carta costituzionale, dispone, nel pieno rispetto della libertà di autodeterminazione dell’individuo anche sotto il profilo delle scelte medico sanitarie, che “[…] nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
Segnatamente, il diritto alla salute si manifesta sotto molteplici vesti.
Una di queste è rappresentata certamente dal diritto dei pazienti a chiedere ed ottenere le prestazioni mediche erogate dal Servizio Sanitario Nazionale in tempi ragionevoli e, comunque, entro i tempi limite espressamente imposti dai provvedimenti che regolano la specifica materia.
Ebbene, il Servizio Sanitario Nazionale è deputato a garantire la tutela della salute nonché l’accesso ai servizi sanitari alla totalità dei propri assistiti, senza distinzioni individuali e sociali.
Più specificatamente, il diritto soggettivo alle prestazioni sanitarie da parte delle pubbliche strutture si converte, se lo Stato non è in grado di erogare il trattamento, in un diritto all’erogazione presso la struttura privata con l’ulteriore conseguenza che, se l’utente risulta essere indigente, vi sarà anche il diritto di questo a porre a carico dello Stato la spesa sostenuta presso la struttura privata per l’erogazione della prestazione sanitaria.
A tal fine, i pazienti che necessitano di effettuare la prenotazione di una prestazione medico sanitaria a carico e, dunque, erogata del Servizio Sanitario Nazionale, come noto, deve rivolgersi allo sportello del Centro Unico Prenotazioni (C.U.P.) della struttura pubblica di interesse.
Pur tuttavia, non di rado si verifica che, come vedremo in seguito, sebbene devono essere rispettati i tempi di accesso alle prestazioni medico sanitarie imposti e previsti dalle specifiche classi di priorità, detti tempi di accesso non sono rispettati, in sede di prenotazione delle prestazioni, dal Servizio Sanitario Nazionale. In quest’ottica, infatti, sovente vengono fornite prenotazioni ben aldilà dei termini massimi di accesso imposte dalle norme di riferimento e, addirittura, in alcuni casi si verifica che le attività di prenotazione delle prestazioni risultano essere sospese e, quindi, le prestazioni sanitarie si configurano come non prenotabili.
Occorre procedere per gradi.
A tale scopo, al fine di poter prenotare una prestazione medico sanitaria presso la struttura pubblica e/o convenzionata di interesse, preliminarmente, si rende necessaria la cosiddetta impegnativa del medico curante, vale a dire del medico che prescrive la prestazione sanitaria necessaria.
Dunque, la norma che regola il ricettario è il “Decreto interministeriale del 17/03/2008 – Min. Economia e Finanze” recante norme in materia di “Revisione del decreto ministeriale 18 maggio 2004, attuativo del comma 2 dell’articolo 50 della legge n. 326 del 2003 (Progetto tessera sanitaria), concernente il modello di ricettario medico a carico del Servizio Sanitario Nazionale”.
La norma da ultima citata fornisce tutte le caratteristiche che connotano la ricetta prescritta del Medico.
In quest’ottica il medico prescrittore deve obbligatoriamente e precisamente indicare sul ricettario se si tratta di prima visita e/o di primo accesso ovvero di accesso successivo, il quesito diagnostico – volto a descrivere il problema di salute che giustifica la richiesta di effettuare la prestazione medico sanitaria – nonché la classe di priorità.
In tal senso, il medico prescrittore, sia esso Medico di Medicina Generale, Pediatra di libera scelta o Specialista, dipendente o convenzionato, è obbligato a riportare sul ricettario del Servizio Sanitario Nazionale l’indicazione della tipologia di accesso. Se trattasi di primo accesso come sopra meglio inquadrato il medico prescritto dovrà inserire nella voce “Tipo di ricetta” l’indicazione 01 per identificare prima visita e/o contatto. Diversamente, quando si tratti di contatto successivo al primo, da intendersi quale visita o prestazione di approfondimento, controllo, follow up la voce “Tipo di ricetta” sarà compilata con l’indicazione 02.
Alla luce di ciò, giova evidenziare che per primo accesso deve intendersi il primo contatto che il paziente ha con la struttura sanitaria ospedaliera per il proprio specifico problema di salute o, alternativamente, può intendersi l’accesso di pazienti già noti alla struttura sanitaria, affetti da patologie croniche, che presentino una fase di riacutizzazione o l’insorgenza di un nuovo problema di salute, non necessariamente correlato con la già diagnostica patologia cronica, tale da rendere necessaria una rivalutazione complessiva e/o una revisione sostanziale della terapia.
Per contro, rientrano tra gli accessi successivi al primo, i controlli successivi ad un inquadramento diagnostico già concluso nonché le visite finalizzate ad un approfondimento diagnostico ovvero le prestazioni con indicazione del codice di esenzione per patologia sulla ricetta[1].
Ciò specificato in ordine alla corretta definizione di primo accesso, bisogna evidenziare come, il medico prescrittore, obbligatoriamente, nella redazione della ricetta è tenuto ad indicare anche il quesito diagnostico nonché la classe di priorità.
Il quesito diagnostico e la classe di priorità della prestazione sanitaria rappresentano informazioni di rilevanza strategica per il governo dell’accesso alle prestazioni e per il monitoraggio delle liste d’attesa.
Per quanto concerne il quesito diagnostico occorre rilevare che tale informazione consente di monitorare l’appropriatezza prescrittiva.
Detto quesito diagnostico assolve la funzione precipua di motivare la richiesta della prestazione e, in caso di mancata identificazione del quesito in parola, la prescrizione è da considerarsi nulla.
Il medico prescrittore, infine, è tenuto a indicare, mediante biffatura (apponendo una x), a stampa o compilata a penna, una delle classi di priorità già prestampate sul ricettario.
Dapprima, pare doveroso specificare come le classi di priorità definiscono i tempi di accesso alle prestazioni sanitarie.
In riferimento all’accesso alle visite specialistiche e alle prestazioni strumentali, nei casi di primo accesso, le classi di priorità sono quattro, come di seguito specificato.
Nello specifico le classi di priorità e, conseguentemente, la prestazione sanitaria può inquadrarsi come Urgente – contrassegnata dalla lettera “U” da eseguirsi nel più breve tempo possibile e, comunque, entro 72 ore – Breve – contrassegnata dalla lettera “B” da eseguirsi entro 10 giorni – Differibile – contrassegnata dalla lettera “D” da eseguirsi entro 30 giorni per le visite e entro 60 giorni per le prestazioni strumentali – e, infine, la prestazione sanitaria può definirsi come Programmata e/o Programmabile – contrassegnata con la lettera “P” da eseguirsi entro 120 giorni a decorrere dal 1.1.2020.
Va specificato che in caso di mancata di indicazione del codice di priorità sull’impegnativa del Servizio Sanitario Nazionale da parte del medico prescrittore la prestazione dovrà intendersi e sarà erogata come programmata. Quindi si verificheranno i medesimi effetti prodotti nel caso in cui il medico prescrittore proceda con la biffattura della lettera “P”.
In definitiva, con le prestazioni programmabili si identificano quelle situazioni cliniche in cui le prestazioni ambulatoriali sono pianificabili entro un maggior arco di tempo, in quanto quest’ultimo non influenza la prognosi, il dolore, la disfunzione e la disabilità dell’utente.
In ogni caso, per il calcolo dei tempi di attesa per gli esami e per le prestazioni, i tempi decorrono e vanno calcolati dal primo momento e, quindi, dal primo contatto in cui l’utente si è rivolto alla struttura per ottenere la prestazione.
Fermo restando quanto sopra detto, pare opportuno rilevare che, per quanto concerne le prestazioni di ricoveri programmati, i tempi massimo di attesa sono fissati in base alle classi di priorità relative al ricovero.
Anche in tal caso le classi di priorità sono quattro.
La prima classe è contrassegnata dalla lettera “A” che indica che il ricovero deve effettuarsi entro 30 giorni per i casi clinici che potenzialmente possono aggravarsi rapidamente al punto da diventare emergenti, o comunque da recare grave pregiudizio alla prognosi.
La seconda classe è contrassegnata dalla lettera “B” che indica, a sua volta, che il ricovero deve effettuarsi entro 60 giorni per i casi clinici che presentano intenso dolore, o gravi disfunzioni, o grave disabilità ma che non manifestano la tendenza ad aggravarsi rapidamente al punto da diventare emergenti né possono per l’attesa ricevere grave pregiudizio alla prognosi.
La terza classe, invece, è contrassegnata dalla lettera “C” che indica che il ricovero deve essere effettuato entro 180 giorni per i casi clinici che presentano minimo dolore, disfunzione o disabilità, e non manifestano tendenza ad aggravarsi né possono per l’attesa ricevere grave pregiudizio alla prognosi.
Infine, la quarta ed ultima classe è contrassegnata dalla lettera “D” che indica che il ricovero debba effettuarsi senza attesa massima definita per quei casi clinici che non causano alcun dolore, disfunzione o disabilità. I casi che rientrano nella classe in analisi, tuttavia, devono comunque essere trattati entro 12 mesi. (continua..)
*Cultore della Materia in Diritto Notarile nell’Università degli Studi di Bologna
[1] Si v. Corte di Cassazione, sentenza n. 2923 del 27 febbraio 2012.