L’angolo della Poesia

a cura di Gennaro Passerini

Oggi vi propongo la poesia della poetessa Rita Muscardin, vincitrice del primo premio al secondo concorso nazionale “Il Grande Sorpasso” sancito nella premiazione del 27 Aprile 2024. La lirica che vi propongo vi entrerà nell’anima “con la delicatezza di una preghiera”
Il commento è affidato alla preziosa penna della prof.ssa Palma Crea Cappuccilli

DORME IL TUO RESPIRO
SUL MIO PETTO

E ora che sono rimasta
a custodire il nostro tempio vuoto di te,
indosso abiti di dolore.
Sacra vestale consacrata al silenzio
di questi giorni di neve,
l’inverno s’è posato sul cuore
mentre dorme il tuo respiro sul mio petto.
Bianche e profumate le tende
affacciate alle finestre del tempo,
paiono vele spiegate su orizzonti d’infinito.
L’eco della tua voce fra pietre antiche
e un sussurro nel vento, quasi una preghiera.
Nome caro che invoco
cercandoti ancora in queste stanze deserte di passi.
Le nostre cose deposte dietro angoli di silenzio
a raccontare di noi
e mi sorprende una strana quiete
nello stare in disparte e tenerti accanto al cuore.
Tu eri colui che portava la forza del vento,
la tenerezza di un sogno al tepore dell’alba,
l’emozione di uno sguardo mentre scrivevi parole
sul palmo della mia mano.
Ora sono neve su rami di pioggia
che cade implorando pietà al cielo.
Non so più stare in una stagione senza amore,
in questi giorni che non mi appartengono.
Da quale mare non sei tornato
a raccontarmi il silenzio ora che sei
dolore e assenza esausta di memorie?
Mi sospingono ancora soffi di cielo
a cercarti ombra dolce e quando ti incontrerò
più non si udrà il mio pianto fra le onde del tempo.

Un pensiero di Thomas de Quincey, da tutti condiviso, vuole che ci si una distinzione tra “letteratura di conoscenza” e “letteratura di potenza”: la prima insegna, la seconda commuove e lo fa utilizzando un linguaggio quasi sonoro, fonico, evocativo.
La poesia appartiene a quest’ultima categoria perché il suo fine primario è quello di toccare le sacre corde della sfera
emotiva.
La lirica in oggetto entra nell’anima con la forza e nel contempo con la delicatezza di una preghiera, di una lacrimosa e lamentosa rievocazione: altro non è infatti che il canto dolente di una donna che vive la situazione di “dimidiata”, in quanto la vita l’ha privata della sua parte più cara (come? non è dato saperlo e forse non è nemmeno importante: qualcosa le ha portato via il suo uomo. Una fuga? Un tradimento? Un viaggio? O la morte?)
Il canto è quello di una donna che avverte come ancora vivi i brividi dell’amore, un amore vissuto nella sua accezione più sacra: per questo si snoda sulla trama di una preghiera e non rinuncia nemmeno al gergo sacrale:” ll nostro tempio vuoto
di te”, “Sacra Vestale consacrata al silenzio”, “nome caro che invoco” “un sussurro nel vento, quasi una preghiera”.
Chi scrive ha ancora aperte le ferite, e rivive attraverso anche sensazioni tattili, sonore e visive la potenza del sentimento “bianche e profumate le tende” “l’eco della tua voce fra pietre antiche”, “stanze deserte di passi” “le nostre cose deposte dietro angoli di silenzio. Metafore e sinestesie fanno il resto.
Adesso la stagione è greve senza amore, sospesa in una vita non-vita, “dolore e assenza esausta di memorie”. ” adesso trascino / la mia squallida spoglia/ dentro l’orgia dell’abbandono”, direbbe Alda Merini, o “mi sento quasi vicina a morire “, direbbe Saffo.
Ebbene sì, perché il lamento della donna rimasta sola è tema che si perde nella notte dei tempi e attraversa con varie modulazioni, legate ai tempi e alle peculiarità dell’artista, tutta la letteratura classica e moderna, sia quella ufficiale che quella
popolare.
Retorna, Amore miè, se ci hai speranza,
Per te la vita mia fa penetenza!
Tira lu viente, e nevega li frunna,
De qua ha da rveni’ fideli amante»,
recita un canto popolare marchigiano (in Antonio
Gianandrea, Canti popolari marchigiani, n. 8) a cui fa
eco Pascoli, in “Lavandare”
Quando partisti come son rimasta
come un aratro n mezzo alla maggesse”
Ma il tema è già presente in un papiro del III sec avanti Cristo, il Fragmentum Grenfellianum, comunemente noto come Il lamento dell’esclusa (denominato appunto Grenfelliano dal nome del primo editore, Bernard Grenfell che lo scoprì.)
E ancor prima in Saffo, e giù di lì in Teocrito, Catullo, Ovidio: le sue Heroides, Didone, Deiaira, Medea, Arianna, e tante altre donne ed eroine anche dei nostri giorni, rimaste sole.
Notevole nella nostra poetessa anche quel larvato accenno
alla fides coniugale, a quel tacito patto che intercorre tra due persone che si amano, che non si fonda solamente sulla passione erotica, ma include slanci di tenerezza, tentativi di raggiungere un livello di comprensione reciproca, momenti di sincero attaccamento.
Tu eri colui che portava la forza del vento”
La tenerezza di un sogno al tepore dell’alba,
l’emozione di uno sguardo mentre scrivevi parole
sul palmo della mia mano”.
Eloquente in tal senso il titolo stesso della lirica “
Nel nostro caso la fides fa dell’amore un rapporto che neppure la morte può modificare, per cui quello fra i due amanti è un legame che va al di là dell’umana esistenza.
La lirica è pregevole anche per quel suo voler andare à rebours.
Nel nostro tempo, così turbolento e così improntato al cambiamento repentino, dove anche nel campo dei sentimenti e delle emozioni vige la legge dell’“usa e getta” e del ricambio facile, non è possibile assicurare e garantire fedeltà all’altro: il “per sempre” non è più una certezza ma un’affermazione, quasi innaturale, spesso gratuita, che spesso spaventa.
Il tempo ipermoderno sputa sulla fedeltà inneggiando una
libertà fatta di vuoto. Tutto ciò che ostacola il dispiegarsi della
volontà di godimento del soggetto appare come un residuo
moralistico destinato ad essere spazzato via da un libertinismo
vacuo sempre più incapace di attribuire senso alla rinuncia.”
(Massimo Recalcati, I tabù del mondo, Torino, Einaudi, 2018, pag. 49).
La fedeltà, anche oltre il distacco, quale si evince dalla lirica, quindi, in questo tempo di “poliamore”, è un impegno difficile
e controcorrente, spesso considerata frutto di vecchie tradizioni ormai obsolete, o ancor peggio una limitazione di sé. Essa ha senso e acquista ancor più pregio dunque se è una scelta libera e non una coercizione relazionale.

Palma Crea Cappuccilli

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