DIRITTO E ROVESCIO – Risultati alterni per calcio e tennis azzurri
Un autunno antipatico e micragnoso, come deve essere e dove risiede la sua intimistica bellezza (chi l’ha detto che una cosa o una persona antipatica siano per forza brutte, e viceversa?) deve aver influito non poco su condizione, prestazione e risultati degli azzurri di Mancini, reduci dai fasti estivi londinesi che, alla luce delle ultime magre patite, appaiono come bagliori trasfigurati di un sogno albionico di mezza estate.
Siamo sempre Campioni d’Europa, questo è certo, ma abbiamo trovato troppo facilmente il modo di scordarcelo, inanellando una sfilza progressiva di prove negative che piano piano ci hanno portato a fallire l’obiettivo della qualificazione diretta ai mondiali che si disputeranno tra le dune roventi del Qatar nell’autunno 2022.
Da settimane gli analisti sportivi, lente d’ingrandimento alla mano, concentrano le pupille sulle possibili cause di un’involuzione, prima tecnica e poi di risultati, tanto repentina da lasciare malinconicamente stupito anche chi, masticando esegesi pallonara da una vita, sa bene che il fascino di questo giuoco (voglio scriverla proprio così, con la “u”, come ai tempi gloriosi di Carosio, Ameri, Ciotti e Martellini) sta giusto nella sua ineffabile imponderabilità, che, al netto di differenze tecniche abissali, fa sovente giustizia del pronostico, in ragione di una pressoché totale fluidità accadimentale che rende circoscritti e provvisori fatti, graduatorie e valori.
Di sicuro hanno pregiudicato la qualificazione le tante defezioni accumulatesi con diabolica iterazione, prima tra tutte e non lo dico certo per puro campanilismo, quella di Marco Verratti che con la sua grinta da tigrotto avrebbe al tempo stesso garantito la necessaria copertura ad una difesa troppo spesso in difficoltà, nonché illuminato la fase d’impostazione, assicurando cadenza e ritmo ad un gioco che invece senza di lui si è rivelato sterile e povero d’idee. Ma non vanno dimenticati i buchi e l’orgasmo (sportivo) di una difesa che senza il suo più forte marcatore (Chiellini) ed il suo miglior fluidificante (Spinazzola) ha terribilmente balbettato contro la Svizzera, subendo un gol figlio di un pessimo posizionamento di reparto ed esponendosi oltre il lecito agli assalti di avversari niente più che puntuali e precisi (svizzeri, “of course”).
È stato proprio lì che gli azzurri hanno perso la trebisonda e sono precipitati in una voragine mentale che ha di fatto annullato il netto divario tecnico che comunque ci poneva una spanna al di sopra degli avversari. Ci sarebbe voluto un capitano vero, dello stampo di un Totti o di un Pirlo, per non risalire agli eroi della “mia” nazionale, quella che nel 1982 trionfò in terra di Spagna, sbaragliando di fila e senza rigori le migliori potenze del calcio mondiale.
Ci sarebbe voluto chi sapesse illuminare la scena elevando con il proprio carisma il rendimento di compagni giovani e non ancora avvezzi ai massimi scenari internazionali, veterani in grado di rincuorare le giovani leve come si faceva nelle legioni romane. Avevamo purtroppo in campo, all’Olimpico e più ancora a Belfast molti ragazzi inesperti che, questo forse è il tasto più dolente, non trovano se non sporadicamente un posto da titolare nei propri club, infarciti oltre ogni dire da stranieri, comunitari e non, che ne impediscono di fatto la maturazione. Il rigore sbagliato da Jorginho ci avrebbe dato la qualificazione con una partita di anticipo, chi lo può negare? Per onestà intellettuale sgombriamo di mezzo gli equivoci e diciamo a chiare lettere che non avremmo affatto meritato di battere sul campo i rossocrociati di Murat Yakin, apparsi molto più in forma, determinati e fondamentalmente più consapevoli del compito da eseguire e dell’obiettivo da raggiungere.
Adesso la partecipazione ai mondiali passa attraverso gli spareggi di marzo, quando ce la vedremo con squadre non certo impossibili da affrontare, dato che tutte le migliori “corazzate” continentali hanno già in tasca il biglietto aereo per Doha. Avremo la possibilità non solo di recuperare gli infortunati, ma anche di vedere evolvere la condizione fisica dei nostri atleti attraverso la tempratura delle partite di campionato, nonché (si spera) di registrare un deciso scatto d’orgoglio che ci faccia tornare a credere nei nostri mezzi che non possono essere quelli, alquanto miserevoli, delle ultime apparizioni.
Ma poiché non di solo calcio vive l’uomo, anche in un Paese come il nostro, ove senza ombra di dubbio l’importanza sociale e l’incidenza economica del pallone rotondo andrebbero ridimensionate e poste in miglior equilibrio con altre discipline altrettanto spettacolari e praticate, non può passare inosservato un avvenimento che ha posto l’Italia e segnatamente la città di Torino all’attenzione sportiva mondiale in quanto sede di quello che può essere definito un vero e proprio campionato mondiale di tennis, le ATP Finals, che hanno visto le otto migliori racchette del ranking terrestre sfidarsi all’interno di due gironi all’italiana per poi disputare semifinali incrociate e finalissima. La vittoria è andata al tedesco Alexander Zverev che in finale ha battuto con molta più facilità del previsto il russo Daniil Medvedev, dopo aver in precedenza eliminato il serbo Novak Djokovic, numero uno della classifica mondiale, in quella che di fatto si è rivelata la vera finale di questo super – torneo, una partita decisa al terzo set, dopo che Novak nel secondo aveva dato l’impressione di poter regolare in progressione il più giovane avversario.
Ma queste “Finali” di Torino resteranno impresse a lungo negli occhi e nei cuori degli sportivi italiani (e non solo di chi segue prevalentemente il tennis) grazie alle imprese, gagliarde e sfortunate di due dei principali alfieri di questa sorta di “rinascenza” che lo sport della racchetta sta vivendo attualmente da noi, un momento assai positivo che cancella anni di magre grazie soprattutto a due ragazzi assai diversi tra loro per struttura fisica, stile di gioco e carattere.
Matteo Berrettini, il “martello” romano ha disputato contro colui che avrebbe vinto il torneo un primo set entusiasmante che Zverev ha fatto suo solo al tie – break; disgraziatamente, purtroppo, Matteo si vedeva costretto al ritiro all’alba del secondo set causa il riaffacciarsi di quello che sta diventando il suo tallone d’Achille: un nuovo strappo agli addominali, infortunio già patito in altre precedenti occasioni ed evidentemente non ancora ben assorbito dal prestante tennista italiano, che ha tentato stoicamente, ma inutilmente il recupero della propria integrità fisica nei giorni seguenti.
A testimonianza, tuttavia, dell’ottima salute del nostro tennis ecco apparire la figura esile ed adolescenziale di Jannik Sinner, 20 anni di talento improntato alla fulmineità delle superfici veloci ed al sangue freddo degli altoatesini. Un campione nato e svezzato in Italia ma tecnicamente “poco italiano”, molto diverso, per intenderci, dal “corazziere” Berrettini, ma anche capace di infiammare latinamente il magnifico pubblico del Palaalpitour, sempre numeroso ed entusiasta, la migliore dimostrazione del grande successo organizzativo riportato dalla FIT e dal Comitato Organizzatore torinese.
Jannik sapeva che, essendo subentrato in corso d’opera al posto dello sfortunato collega finalista di Wimbledon, il regolamento non gli concedeva che una piccolissima “chance” di superare il turno, possibilità del resto ben presto annullata per effetto della vittoria di Zverev su Hurkacz. Malgrado ciò il “pel di carota” di San Candido, dopo aver demolito il polacco, opponeva una intelligente e coriacea resistenza a Medvedev, cedendo solo al tie – break del terzo set, dopo che il russo si era illuso di fare una passeggiata avendo vinto il primo set a zero.
Fasi alterne, dunque, per gli italiani in due sport dall’immenso impatto popolare ed in una dimensione tecnica e organizzativa di eccellente livello internazionale che ci pone all’attenzione ammirata degli sportivi di tutti i continenti, come si conviene ad un grande Paese che vuole uscire al più presto dalle difficoltà economiche e dal disagio sociale determinato dal Covid tanto da noi che nel resto del mondo.