Il diritto alla salute mentale
di Pierluigi Lido (dott. in Psicologia Sociale)
Foto: Donna col vestito verde [Monet]
Al pari di quella fisica la salute mentale gioca un ruolo centrale nelle nostre vite, nelle nostre relazioni e nelle nostre scelte. Vivere in pace con sé stessi e non dominati da dinamiche interne e sconosciute al proprio stato di consapevolezza è qualcosa di estremamente raro per la stragrande maggioranza delle persone. La stragrande maggioranza degli individui vive nella convinzione di sapere quello che vuole e soprattutto con la certezza di conoscere sé stesso, le proprie idee, i propri gusti, i propri punti di forza e di debolezza. La gran parte delle persone ha fondato la propria intera vita su sicurezze personali “impossibili” da far vacillare.
A volte però queste certezze crollano e cadono proprio in occasione di crisi personali, di rotture improvvise degli equilibri ordinari, quando il soggetto si ritrova completamente perso dentro a stati di totale disorientamento o panico. In questi casi, nelle crisi, possiamo avere la tranquillità, se non la felicità, di constatare che esiste viva e vegeta una parte interna al soggetto che rivendica sé stessa e vuole affermarsi, sbaragliando il campo emotivo della persona dal soffocamento degli aspetti interni più impellenti. Una crisi è in psicologia una benedizione, una manna dal cielo per la salute mentale, una vera occasione per la rinascita personale, per l’inizio di un lavoro su sé stessi. Non c’è occasione migliore di una grande crisi per entrare in un percorso psicoterapeutico. Una psicoterapia non si inizia per volontà di una moglie, di un parente o per conto terzi, una psicoterapia ha inizio perché chi decide di intraprenderla la vede come unica soluzione possibile. L’inizio di una psicoterapia viene dopo l’incontro con il dolore e la sofferenza, divenuti talmente grandi da dover essere affrontati ed elaborati.
Oltre ai noti limiti culturali e sociali che vedono ancora il disagio mentale come un problema di cui vergognarsi, la cura della propria vita interiore ha dei costi economici estremamente elevati, tanto da essere considerata di fatto una pratica borghese ed elitaria non alla portata di tutti. Non in ultimo fare diagnosi precoce del disagio è un passaggio fondamentale che manca nella cultura del medico di base che, per formazione e cultura professionale, non sempre possiede gli strumenti diagnostici per portare a termine in maniera esaustiva una diagnosi del paziente in ambito psicologico.
Cosa peggiore nelle scuole non si fa ancora nessun tipo di screening che monitori il profilo psicologico e psichiatrico degli alunni e non si fa quindi alcuna prevenzione primaria sul disagio mentale degli alunni. Una pianificazione in tal senso richiederebbe un investimento che avrebbe dei costi estremamente contenuti poiché fondato sulla somministrazione di batterie di test specifici.
Quando staremo per lasciarci alle spalle questa pandemia faremo i conti con il montare di un’onda carica di strascichi negativi a livello psicologico e collettivo che avrà creato danni inquantificabili a carico specialmente delle nuove generazioni.
Proprio quando ne avremo più bisogno ci renderemo conto di non avere una cultura della salute mentale pubblica e sarà a quel punto ancora più acuita l’iniquità tra chi ha le possibilità economiche di occuparsi della propria salute mentale e chi no.
Ci accorgeremo di non avere un eguale e reale diritto alla salute mentale collettiva e andremo incontro ad una società ancor più divisa e malata, che ha continuato a coltivare il pregiudizio e l’ignoranza, l’egoismo e la saccenza di credere che il diritto alla salute mentale sia tale solo per chi può permetterselo economicamente. “Forse la salute mentale è roba da ricchi” diceva Marracash nel suo ultimo album e forse aveva ragione. Ci siamo talmente spinti oltre il capitalismo da essere divenuti troppo cinici, meccanici e analitici, freddi e calcolatori, in altre parole: disumani.