Il mito di Orfeo e Euridice. Una storia di amore e di morte
di Raffaele Simoncini
Nelle molteplici forme in cui il mito classico rappresenta storie di amore e di morte, quella di Orfeo e di Euridice è una delle più umane e una delle più toccanti. Orfeo è figlio di Calliope, musa della poesia epica, ricordata e celebrata da Ugo Foscolo nel carme de I sepolcri. Che abbia nel sangue i segni della sua origine divina è subito evidente, perché Orfeo, dalla prua della nave Argo, suona la lira e il suo canto attrae e calma il moto delle onde, tanto che schiere di pesci accorrono ad ascoltare quel suono e quella voce. Protetto da Apollo, suo padre spirituale e suo maestro, Orfeo può scendere negli Inferi e tornare di lì sano e salvo. Ma ciò che lo spinge ad osare tanto è l’amore, un sentimento che governa il mondo dei vivi e il mondo dei morti: la storia di Paolo e Francesca, narrata da Dante, nel V canto dell’Inferno, ne è esempio tra i più elevati e ineguagliati.
La storia
Orfeo ha in sposa la ninfa Euridice, bellissima e raffinata. Un giorno, un divino giovane, Aristeo, si invaghisce di lei e Euridice, per sottrarsi al suo insistente corteggiamento, si inoltra per i campi e qui viene morsa da un serpente velenoso. Allora, Euridice scende negli Inferi, regno dei morti, e viene accolta benignamente da Ade, divinità di quel regno. Orfeo si accorge troppo tardi di quanto è accaduto. Egli erra ovunque, cercando l’amata sposa.
Il dramma di Orfeo
Canto e dolore sono compagni di Orfeo: il suo canto parla d’amore, il suo amore per Euridice. Così il ricordo gli consente di conoscere il valore della vita passata, gli dà la forza di continuare a cercare. Solo la forza di questo amore gli consente di osare il viaggio negli Inferi. Allora, si rivolge a Mnemosyne, madre delle Muse e, dunque, anche di Calliope, sua madre. Mnemosyne è la personificazione della memoria, è il rifiuto dell’oblio ed è la divinità che sa quello che è stato, ciò che è, ciò che sarà. Orfeo si rivolge a lei, perché è fonte di ispirazione, per conoscere ciò che è proibito agli esseri umani: il mondo degli Inferi.
Il viaggio negli Inferi
Con il suo canto, Orfeo doma perfino Caronte (Dante ricorderà, nella prima cantica della Divina Commedia, canto III, la figura mitologica del nocchier della livida palude : “Caron, non ti crucciare; vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare. Quinci fur quete le lanose gote….” ) che lascia la sua barca, per seguire l’irresistibile canto del poeta. Tutto si ferma: ogni tortura inflitta ai dannati è sospesa, i mostri dell’Averno riposano mansueti, i dannati sembrano dimenticare le loro pene e i loro supplizi. Negli Inferi, il tempo stesso sembra fermarsi. Orfeo attraversa lentamente un mondo incantato, al fianco di uomini segnati da uno sguardo rapito, sebbene provati da indicibili fatiche. Purtroppo, solo Euridice tarda a venire. Il cammino della bella, meravigliosa giovane procede lentamente, perché la sua caviglia mostra ancora i segni della ferita mortale. Al suo fianco c’è Eros e uno sguardo attento, non offuscato dall’oscurità degli Inferi, consentirebbe a Orfeo di intravvedere la presenza della vigile Persefone, regina dell’Oltretomba. Orfeo sa che cantare ogni cosa che vede e sente, ricordare il passato, è per lui cantare e ricordare il suo amore per Euridice, è cantare l’essenza dell’amore stesso. Come gli ha detto e consigliato Mnemosyne, ricordare e restare legato al passato è il solo modo per tentare di vincere la morte: padrone della memoria, Orfeo sa che il passato, ciò che è stato, è l’unico aggancio che può lottare contro l’oblio, il nulla, la morte.
Il tragico patto
Orfeo, grazie al suo canto, ottiene alla fine la restituzione di Euridice, ad una condizione: durante il ritorno egli non dovrà mai voltarsi, perché in questo caso la perderà per sempre. Il ritorno è silenzioso: l’uno procede, l’altra lo segue, su sentieri avvolti dalle tenebre. Gli Dei degli Inferi hanno fatto questa restituzione, ma pretendono che Orfeo dimentichi tutto: il mondo degli Inferi è a tutti ignoto e tale deve rimanere. Purtroppo, memoria e dimenticanza non possono convivere nella stessa persona: Orfeo dimentica la promessa fatta e quando ormai lui ed Euridice sembrano vicini alla salvezza, esplode il dramma. Il giovane si gira – povero disgraziato – perché la forza del suo amore non gli consente di sentire vicina, unita a sé la propria amata, in quel mondo cupo e sotterraneo. Colui che ama accompagna con lo spirito la persona amata oltre la soglia, ma il suo corpo rimane sulla terra e la separazione è definitiva. Troppo pesante la sua corporeità, per inseguire la leggera anima di Euridice, trascinata per sempre da una forza misteriosa nell’invisibile mondo dei morti. La figura di Euridice diviene invisibile per Orfeo che, impietrito e assalito dall’angoscia, vede scomparire la bellissima ninfa come una nebbia, un’ombra tra le ombre. La fine di una storia d’amore Cosa resta al povero, sconsolato Orfeo? Il gesto del suo indicibile, unico, umano amore. Egli porta con sé l’ultimo impalpabile saluto di Euridice. Gesto e amore accompagneranno Orfeo per il resto della sua vita, mentre egli andrà errando senza pace per fiumi, valli, monti, sempre invocando Euridice. La sua fine fisica – ucciso da alcune donne tracie, gelose del suo amore esclusivo per Euridice? Colpito da un fulmine di Zeus, perché timoroso che, rivelando i misteri appresi nell’aldilà, potesse istruire gli uomini? – non cancella, anzi esalta quel legame, quella forza, quella potenza dello spirito, che vorrebbe penetrare, tramite la memoria, nell’impari lotta tra destino umano e regno dell’oblio, tra Amore e Morte, finché il Sole risplenderà su le sciagure umane
Un insegnamento?
Ogni parola di commento alle vicende tragiche di Orfeo è priva di senso; ma, ciascuno può trarre da questo meraviglioso mito spunti utili di riflessione.