La collana della nonna (parte 1)

di Vittorina Castellano

Indossare una collana è sempre stato il vezzo di ogni donna.

Cingere il proprio collo di gelido metallo che a poco a poco assume calore dalla stessa pelle che adorna, tanto da far svanire quel sottile brivido di piacere che si avverte all’iniziale contatto. È sempre stato inebriante. Il desiderio di esibire l’anelato monile è talmente forte che ogni donna lo fa con innata disinvoltura ed eleganza, ogni donna ad eccezione di una: io. Il gelido e viscido contatto di una catena d’oro o di un filo di perle sulla nuca, mi suscitava ribrezzo e repulsione, una insensata fobia che mi pervadeva fino a costringermi ad allontanare con rabbia il prezioso oggetto, scaraventandolo a terra con un grido di paura. Mi rendevo perfettamente conto dell’irrazionalità di questa mia reazione emotiva, ma non ero in grado di controllarla. Neanche a dirlo, decine di preziose collane erano parcheggiate nel mio portagioie, le ammiravo ma non desideravo indossarle, e questa mia indifferenza costituiva una strategia di emergenza che, in realtà, rafforzava la mia fobia. Ero consapevole che la mia paura era ridicola e sproporzionata, un filo di perle non poteva costituire nessun pericolo per il mio collo, ma la sola idea di un contatto di quelle sfere sulla mia pelle, mi provocava tachicardia e sudorazione fino a un senso di soffocamento. Dovevo fare qualcosa.

Mi immersi nella lettura di trattati di psicoterapia e appresi che avrei dovuto espormi gradualmente allo stimolo temuto. I diversi tentativi avevano come unico risultato quello di dover raccogliere migliaia di sfere colorate sparpagliate sul pavimento dopo l’inevitabile volo. Dovevo risalire all’origine: scavai nella mia memoria alla ricerca di un qualche ricordo che mi potesse portare all’evento traumatico responsabile della mia fobia. La mia repulsione poteva essere stata scatenata da un episodio drammatico, che aveva inciso in maniera significativa nella formazione della mia personalità. Volevo cercare dentro di me per guarire, analizzare il passato, dovevo rintracciare nei meandri della mia mente una situazione, un vissuto di sofferenza circoscritto e lieve, un microtrauma che potesse aver provocato una tale risposta emozionale e sensoriale. Nulla. Per quanto mi sforzassi, solo fantasie infantili, nessun evento realmente accaduto, anche se a volte fantasia e realtà si sovrapponevano. Avevo ormai perso ogni speranza di venirne a capo, mi ero già rassegnata a collezionare monili lucenti e scintillanti senza poterli esibire, quando, sfogliando un album di vecchie foto, il mio sguardo si posò su una foto di mia nonna: una donna austera che ostentava uno strano girocollo con due teste di serpenti che si incrociavano sul davanti. Un brivido mi raggelò, la cortina di nebbia che offuscava i miei ricordi cominciò a diradarsi, le mani tremanti stringevano quella foto rivelatrice. Vedevo, davanti a me, dapprima un’immagine sfocata di una moltitudine che si accalcava vicino ad una chiesa e poi via via più nitida, ora un film si dipanava ai miei occhi. In mezzo alla folla, inneggiante canti religiosi, individuai una bimba, dallo sguardo impaurito, che stringeva, quasi abbarbicata, la mano del papà. Mi riconobbi in quella bambina disorientata dai grandi occhi cerulei, che roteavano confusamente in tutte le direzioni, tale era il timore di perdersi! La parte più inconscia della mia mente aveva percepito le condizioni migliori per il riaffiorare del ricordo. Ma il ricordo non era semplicemente rievocato, era di nuovo un vissuto, ero tornata bambina, ero lì, tanto piccola, in mezzo a quella folla che mi spintonava, mi sovrastava, inneggiava inni devozionali, che per me erano solo frasi sconclusionate, incomprensibili.

– Papà, cosa cantano, che dicono – urlai in quella confusione, strattonando la mano di mio padre

– non capisco niente, ho paura! – Come per proteggermi, mio padre mi prese in braccio, mi strinse forte.

– Non temere, sono canti di gioia, gli abitanti di Cocullo chiedono a San Domenico di proteggerli dai morsi dei serpenti e dai mali del mondo. –

Mi strinsi forte al collo di mio padre, iniziai a tremare, avevo bisogno di essere rassicurata, mi sentivo minacciata, la folla ci sospingeva all’interno della chiesa. I canti aumentavano d’intensità, era un momento di alta tensione umana. Nella chiesa, adorna di affreschi compromessi dal tempo, oltre alle normali liturgie ecclesiastiche per il Santo, si svolgevano rituali fortemente simbolici: donne, uomini e ragazzi erano in fila per prelevare del terriccio da una piccola grotta dietro l’altare e per afferrare con i denti una cordicella di una campana.

– Perché lo fanno papà? –

– Cospargono la casa e i campi con un po’ di terra benedetta per tenere lontani i serpenti e mordono la cordicella per preservarsi dal mal di denti. – (..continua..)

 


SECONDA PARTE https://ilsorpassomts.com/2020/04/05/la-collana-della-nonna-parte-2/

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