Walfrido Del Villano : Lettera ad un collega speciale
Lettera ad un collega speciale
Ricevuta via mail da Pasquale Sofi
Ciao Walfrido, sono passati ormai tanti giorni da quando ci hai abbandonato e non riesco ancora a trovare le parole giuste per descrivere il senso di vuoto che si è aperto davanti a me; né, riflettendo e ricordando, riesco a definire la tipologia di rapporto caratterizzante il legame profondo, che mi manca e che si era venuto a creare tra noi: amicale, sodale, fraterno, di complicità? Mah? Forse un po’ di tutto questo! Ci siamo confidati segreti tra i più reconditi e ci siamo reciprocamente confortati e supportati nei momenti difficili.
Eri un uomo con grandi qualità! Principalmente, palese e convinto assertore della liturgia della famiglia, che sovrintendeva perennemente nell’olimpo dei tuoi pensieri e a cui dedicavi estrema cura e dedizione. Sapevi essere brillante e disinvolto, anche se lo evidenziavi di rado, e andavi d’accordo con un altro assolutamente diverso! La fisica asserisce che i diversi si attraggono, ma la diversità, nel caso in questione, in particolari momenti evidenziava decisi tratti di incidenza: l’introversa calabresità di uno, con l’altrettanta imperscrutabile, e talvolta simulata, forte personalità dell’altro: abruzzese atipico per la sua infinita grande generosità! Moderatamente selettivo nelle relazioni cercavi, a volte, di mimetizzare quasi per scherno la tua nobiltà d’animo con atteggiamenti poco acquiescenti, quasi insofferenti, simulatori di una latente timidezza ma maldestri rivelatori della vera qualità dei tuoi rapporti umani. La tua volontà di primeggiare, pur senza un eccessivo apparire, accompagnava sempre le tue riflessioni, capaci di partorire soluzioni anche audaci e non prive di originalità. I tuoi libri sono la concreta testimonianza di una straordinaria abilità narrativa ove il critico letterario emerge con disinvoltura; ma in questo campo non vorrei addentrarmi troppo, perché ogni espressione sarebbe certamente influenzata, oltre che da una competenza limitata, soprattutto da un’obiettività decisamente incerta.
Eri capace di cose imprevedibili: come quella volta che ti intrufolasti, chissà come, nella stanza dell’ospedale San Camillo di Chieti dove ero ricoverato, violandone la rigorosa vigilanza, pochi minuti prima che fossi portato in sala operatoria e, sorpreso dall’improvvisa irruzione del primario con la sua equipe, fosti costretto a rimanere nascosto schiacciato dietro un armadietto; testimone furente ma impotente di un alterco tra me e lo stesso primario. Gli improperi con i quali venni investito all’uscita del gruppo, per chi ti conosceva, possono essere di facile immaginazione.
Le nostre idee di scuola confliggevano molto spesso nell’interpretazione del ruolo, anche per la diversa matrice formativa che ci caratterizzava, e le conseguenti discussioni difficilmente trovavano una convergenza diversa da un amichevole quanto confidenziale “vaffa”.
L’autonomia scolastica avrebbe dovuto cambiare di molto il profilo professionale della nostra attività lavorativa introducendo metodologie e sensibilità nuove e più incisive nell’azione formativa; ma osservando attentamente dall’esterno l’immobilismo dominante nel mondo della scuola, penso sinceramente che se tu fossi in servizio, ancora oggi saresti il migliore interprete del ruolo e con notevole distacco sugli altri.
Adesso mi lasci nel rimpianto delle nostre dialettiche contrapposizioni e nel ricordo dei bei momenti allegri: delle cene, dei corsi di aggiornamento con annesse zingarate e soprattutto nelle nostre partite a carte con gli scontri di rito. Sono certo che già pensi che quando verrà il mio turno mi dovrai accogliere con un tavolo approntato per un tresette o un bridge e comunque pronto a continuare quelle nostre interminabili discussioni che già mi mancano tanto! Ancora grazie per il magnifico legame sincero e leale di cui hai voluto onorarmi.