Felice Gimondi , un Campione indimenticabile di altri tempi
Felice Gimondi, un Campione indimenticabile di altri tempi
I ricordi più belli del Trofeo Matteotti
Ricevuta via mail dal Prof. Giuseppe Troiano
Quante volte Gimondi ha percorso le strade del nostro Abruzzo “forte e gentile”, pedalando nelle tappe del Giro d’Italia e della Tirreno-Adriatico, nella cronostaffetta dei Comuni della Val Vibrata, nei circuiti cittadini e sullla pista in cemento del Velodromo di Lanciano! Quante volte egli ha onorato la città di Pescara, sede di partenza e di arrivo del Matteotti, vestendo le prestigiose maglie delle squadre per le quali ha corso nella sua lunga e luminosa carriera! Quante emozioni, quanti applausi, quanti sogni…
Mi piace ricordare, con grande nostalgia, il Campione di Sedrina nella corsa più importante del calendario ciclistico abruzzese, il Matteotti. Un appuntamento tanto atteso da tutti gli sportivi che si correva nel mese di agosto in preparazione al mondiale su strada e, negli ultimi decenni, su percorsi diversi, inserito a luglio e settembre. Tutto iniziò nel 1966 con la maglia celeste e i bordi rossoneri della Salvarani, l’industria delle cucine componibili di Baganzola, a Parma, per finire, nel 1977, a quasi 35 anni, con i colori bianco-celeste della Bianchi-Campagnolo, la maglia del Campionissimo, Fausto Coppi.
Per me, ancora ragazzo, l’amore per il ciclismo cominciò il 14 luglio 1965, quando a Parigi, Festa Nazionale dei transalpini, il ragazzo prodigio, l’asso del nuovo ciclismo vinse il Tour de France, dopo il terzo posto al Giro d’Italia vinto da Vittorio Adorni, suo compagno di squadra. Nella rivista della seconda edizione della “Gran Fondo Internazionale Felice Gimondi”, dell’11 maggio 1977, quella appunto della Grande Boucle del 1965, quando si coricava con la maglia gialla ai piedi del letto, egli rievoca soprattutto le umili origini dei suoi genitori, Mosé ed Angela, lavoratori in Val Brembana, non dimenticando i loro sacrifici, l’educazione ricevuta e l’insegnamento della serietà e dell’onestà. Il suo pensiero era anche rivolto ai suoi fratelli e agli amici che trepidavano per lui.
Da quel Tour in poi, ho seguito passo dopo passo la carriera di un ciclista all’antica, il Campione di un’epoca che con signorile professionalità ha segnato gli anni del consumismo, conseguenza del boom economico. Egli stesso, in un articolo di Luigi Gianoli, “Gimondi, un gentiluomo venuto dalla montagna”, dichiara come sia necessario avere molta pazienza e lealtà, perché “senza lealtà non si arriva a nulla, non ci si comprende più e le parole servono solo per ingannarci”, così come le illusioni che devono seguire “la logica della nostra mente, del nostro coraggio, dei nostri mezzi”.
Tanto ero appassionato al ciclismo e al dualismo sportivo tra Gimondi e Merckx che portavo in tasca il calendario delle corse per seguirle alla televisione o dal vivo. Fu per questo mio forte ed istintivo interesse verso il ciclismo di Gimondi che posticipai di qualche ora il mio primo esame, in Geografia, all’Università de L’Aquila per vedere l’arrivo della tappa del Giro d’Italia Orvieto-San Vincenzo, da lui vinta allo sprint.
Era il 28 maggio 1971. Un anno, come il precedente, con un palmares di poche vittorie e molti importanti piazzamenti nelle corse a tappe e nelle classiche. Ma il tempo è galantuomo. Il Matteotti, intanto, mi dava l’occasione di essere testimone diretto del suo stile perfetto in bici, della sua grinta, nel vederlo in discesa, pedalare in salita, affrontare una curva, inseguire, bere alla borraccia, alimentarsi, dal momento che la corsa passava e passa ancora vicino casa mia.
Il tempo passa ma è come se, per incanto, si fosse fermato per far riemergere i ricordi più belli. Nel 1966, sulla salita di Cappelle sul Tavo, all’ultimo giro, a 10 km dall’arrivo, Vito Taccone, il ”camoscio” d’Abruzzo, staccò Gimondi di quasi due minuti. Il 2 agosto del 1970, il Matteotti festeggiava la 25 ma edizione e Gimondi regalò ai tifosi un’impresa di altri tempi, leggendaria: il distacco dato al secondo, Vittorio Urbani, era di più di nove minuti.
Su gran parte del circuito automobilistico della prestigiosa Coppa Acerbo, che attraversava i centri di Montesilvano-Cappelle-Spoltore, un tracciato da ripetere 9 giri, pari a 241 km, Gimondi ne percorse 185 in fuga, parte in compagnia di altri corridori, gli altri 70-80 km da solo. In un giorno di caldo afoso, il suono delle sirene delle moto della polizia e i clacson delle ammiraglie dei corridori avvertivano che la corsa stava per passare. Allora, da una piccola ripa del percorso, scorgevo la sua sagoma celeste passare per Villa Montani, scendere per il Fosso Grande e poi salire, tra il tripudio di una folla entusiasta che, a fine gara, riuscì a commuoverlo.
Il 2 settembre 1973 Gimondi vince il Mondiale a Barcellona, sul duro circuito del Montjuich. È una volata indimenticabile. Un riconoscimento alla sua luminosa carriera. Nel 1974, con la maglia iridata partecipa al Matteotti e l’entusiasmo è alle stelle. Ero studente universitario e preparavo la tesi in Geografia. Desideravo avere una sua foto con dedica. Su consiglio del mio caro Prof. Gastone Imbrighi di Roma, inviai una lettera al dott. Gabriele Carrara che scriveva su “L’Eco di Bergamo”. Qualche mese dopo, finiti gli impegni ciclistici, ricevetti all’Università una busta. La aprii ed estrassi una foto di Gimondi con la maglia di Campione del Mondo, mentre saliva lungo un tratto sterrato del Giro del Piemonte, da lui vinto su Emanuele Bergamo, una settimana dopo il Mondiale. Sulla foto è scritto: ”All’amico Giuseppe, sportivamente Felice Gimondi”.
Nel 1975, essendo militare a Bergamo, non vidi il Matteotti, valido per Campionato Italiano, vinto da Francesco Moser; ma, nel 1976, sempre a Bergamo, ero lì, lungo Viale Donizetti, dove si concludeva la penultima tappa del Giro d’Italia. Una folla straripante assisteva alla volata vincente di Gimondi su Moser e Merckx. Era il sigillo per il suo terzo Giro d’Italia, vinto a Milano il giorno dopo. Il Campionissimo belga volle finire quel Giro per onorare la vittoria di Felice. Il grande giornalista e scrittore Gianni Brera, che seguiva la corsa rosa per la “Gazzetta dello Sport”, paragonava Gimondi a Nuvola Rossa, il capo indiano che lottò contro la prepotenza dei coloni americani.
Infine, il 1977. È l’ultima partecipazione di Gimondi al Matteotti.
Il giorno prima della corsa, a Piazza Salotto, i corridori ritiravano il numero di gara e rispondevano alle interviste dei giornalisti firmando autografi. Chiamai Felice e lo ringraziai per quella storica dedica, mentre il fotografo Achille Rasetta scattava alcune foto di quell’incontro indimenticabile. La domenica seguii la corsa, giro dopo giro, fermandomi in diversi luoghi del percorso, consapevole che quella era la sua ultima partecipazione. Conservo le immagini del suo sguardo affaticato e le ultime pedalate di un grandissimo Campione che con le vittorie e le sconfitte ha scritto la Storia del Ciclismo.
Sulla copertina della “Storia del ciclismo” (1977) di Giampaolo Ormezzano c’è una foto di Coppi e Bartali nel momento in cui uno passa all’altro la borraccia; nell’altra parte del libro un’altra immagine fotografa Gimondi e Merckx durante una fuga in salita, con il belga in maglia rosa. Nella premessa, Gimondi afferma che la storia del ciclismo è “la storia dei ciclisti, o di alcuni ciclisti”. Egli che credeva in sé stesso pur sapendo di arrivare secondo.
Per questo “ho continuato a correre anche quando anagraficamente, psicologicamente non avrei dovuto. Io credo di poter essere ancora personaggio per la storia, magari offrendo a questa storia le mie sconfitte…. Il ciclismo è fatto dagli uomini…da noi che lo pedaliamo, che lo soffriamo, che lo sudiamo”.
Il ciclismo, infatti, è disciplina, rispetto delle regole, fatica, gioia, delusione, esperienza della vita. Anche per Merckx la storia del ciclismo è stata costruita dai ciclisti “io con gli altri, direi io come gli altri…Io penso di avere fatto storia più con le mie sconfitte agli inizi e alla fine della carriera, che con le mie vittorie”.
Infine, la mia mente corre a quel Giro dell’Emilia del 4 ottobre 1978. Nella Festa di San Francesco, Gimondi si ritira, insieme a Franco Bitossi, dal mondo delle corse.
Tra i numerosi articoli giornalistici vorrei ricordare il titolo che Mario Fossati gli dedica su “Il Giorno”, non senza commozione e nostalgia, che riassume la sua straordinaria carriera di Campione, nonostante Merckx, e la grandezza morale per le sue qualità di serietà, generosità, modestia:
“Ha voluto essere onesto fino all’ultimo chilometro”.
“Pensate– scrive Fossati- chi sarebbe stato Gimondi se la sua strada non fosse stata improvvisamente attraversata da un uomo che si chiama Eddy Merckx. Avremmo giudicato Gimondi un campionissimo in assoluto…Ma io preferisco che la carriera di Gimondi abbia avuto questo risvolto straordinariamente umano”. Grazie Gimondi, Campione del ciclismo moderno e del buon tempo antico, per averci fatto vivere un’epoca veramente felice.
Risposta del direttore: Gentilissimo Prof. Troiano, la ringrazio nuovamente per la sua inesauribile passione. La sua chiamata che mi annunciava lo scritto su Gimondi mi aveva incuriosito e per quanto ne avessi immaginato il tenore, mai avrei potuto prevedere quanto la passione per il ciclismo sia stata ampia. Lei ha ricordato le gesta del campione Gimondi intraviste dagli occhi di un tifoso specialmente appassionato. Mi sento fortunato ed onorato di poter raccogliere e distribuire ai lettori tanta energia. Grazie Prof.!