Musica libera
Musica libera
di Marco Tabellione
Ogni generazione tende a superare la precedente, a diversificarsene e a distaccarsene, in alcuni casi creando scandalo e ribellione; comunque sempre un contrasto, un’opposizione, in qualche modo una rivoluzione anche se magari limitata al campo del gusto, del costume e delle forme. E comunque molti fenomeni, ad esempio nella musica, trovano conferme e ripetizione, come quello del ribellismo, dell’anticonformismo a tutti i costi, della voglia di creare nuovi modi di comunicare, esprimersi, apparire. Da questo punto di vista dunque ogni novità in realtà non è una novità, ed è incredibile come la musica giovane riesca a trovare ogni volta un nuovo sound, nuovi stili, nuovi linguaggi, per rilanciarsi e rinnovarsi, seguendo una voglia di nuovo che dunque nuova non è.
Tuttavia, nelle ultimissime generazioni, dopo la definitiva consacrazione del rap e delle sue numerosissime diramazioni sia italiane che soprattutto americane, una corrente autenticamente nuova sembra che si stia profilando, nel senso che la rivoluzione che queste proposte d’avanguardia propongono non appare solo di facciata ma coinvolge anche contenuti concreti, producendo dei cambiamenti reali. Mi riferisco alla musica Indi, un’abbreviazione che sta per indipendente. Si tratta di una corrente che sta prendendo piede soprattutto fra i giovanissimi, anche al di sotto dei 15 anni, mentre il rap è rimasto appannaggio delle generazioni fino ai 18 anni. Anche se va precisato che si tratta di schematismi i quali trovano puntualmente delle eccezioni. Però indubbiamente sembra che gli adolescenti abbiano proprio voglia di dedicarsi a questa musica, che in realtà più che indicare un genere indica una maniera di rapportarsi al mercato e al pubblico.
Indi infatti, come detto, sta per indipendente, e la definizione racchiude tutti quegli artisti giovani, ma ci sono anche veterani, che hanno cominciato forse decenni fa, i quali sono riusciti a proporsi al grande pubblico sfruttando i canali del web, evitando così il controllo delle grosse case discografiche. Sono artisti affiliati a etichette indipendenti dai grandi gruppi, che mostrano un tentativo di sganciare la musica dal monopolio delle grosse case discografiche, le quali per almeno 40 anni hanno fatto affari d’oro con i miti del rock, a volte miti incoerentemente ribelli e rivoluzionari. E diciamo incoerentemente perché non si capisce come possa diventare rivoluzionaria una musica che sembra asservita al capitale e al mercato delle grandi case. Tuttavia, così è stato per tanti anni, e abbiamo ascoltato idolatrandoli come ribelli e maledetti Jim Morrison, Hendrix, Kurt Cobain, i quali hanno sempre fatto, magari ignari, gli interessi di quel sistema che con tanta arroganza pretendevano di combattere nelle loro canzoni. Morrison, ad esempio, è uno dei tanti che, dopo la morte, è un’icona capace di continuare a determinare profitti incredibili per decenni.
Ora però sembra che il discorso stia un po’ cambiando: ecco perché si ha l’impressione di trovarsi di fronte ad una rivoluzione forse autentica. Certo, dal punto di vista degli stili e dei generi il panorama è quanto mai eterogeneo e forse non appare possibile riuscire a individuare correnti, linguaggi, innovazioni artistiche di rilievo, che invece hanno trovato nel rap delle ultime generazioni un grande alimento. Ma forse non è neanche giusto creare dei confronti tra queste effervescenze libertarie, ed esperienze artisticamente innovative se non colte come fu per esempio la psichedelia britannica, dalla quale uscirono gruppi come i Pink Floyd, diventati poi giganti dell’industria discografica.
Però se non è ancora possibile individuare un’avanguardia consapevole, tale da lasciare nel campo strettamente musicale un’impronta, come accadde alla fine degli anni Sessanta in Inghilterra, tuttavia, almeno per ciò che concerne la capacità di sganciarsi dal mercato monopolistico, questi ragazzi sono davvero riusciti a compiere il miracolo. Il merito è loro, certamente, ma anche di quell’eccezionale strumento che è il web, il quale sta dando vita, e lo sappiamo tutti, a una nuova civiltà. Un terremoto che forse si potrebbe accostare all’invenzione della scrittura avvenuta in Mesopotamia, o a quella della stampa nel Quattrocento.
Quanta parte riusciranno ad avere culturalmente questi ragazzi in questa trasformazione è difficile saperlo; per adesso riescono a farsi ascoltare dai loro coetanei e da ragazzi anche più giovani, dando vita a un clima di estrema libertà ed elettrizzante, dove sembrano mancare quelle figure di controllo e gestione che hanno tirato le fila del rock per tanto tempo.