STORIA DI INAUDITA VIOLENZA, PAGATA CON SOLDI PUBBLICI.
STORIA DI INAUDITA VIOLENZA, PAGATA CON SOLDI PUBBLICI.
ricevuta via mail dalla Dr.ssa Alessia Altieri
La Campagna di Comunicazione “Non mandare a puttane…”
Il 9 marzo (non del 1019 ma del 2019), a Montesilvano si è tenuto il convegno “Contro la tratta delle donne” nel corso del quale il sindaco Francesco Maragno ha lanciato la campagna “Non mandare a puttane…”, una multisoggetto che dà una tiratina di orecchie ai clienti delle prostitute, invitandoli a “non mandare a puttane” la loro famiglia, la loro dignità, la loro vita e la loro salute. Qualcuno potrà anche pensare che si tratti di un gioco di parole, perfino, spiritoso. Ma non è così. Questa campagna di comunicazione, pagata con soldi pubblici, è sbagliata sotto moltissimi punti di vista.
La campagna “Non mandare a puttane…” è dicotomica rispetto alle intenzioni e agli obiettivi dichiarati dall’amministrazione.
Nel corso del convegno al quale hanno partecipato, fra gli altri, la psicologa Martina Taricco della Comunità Papa Giovanni XXIII, don Marco Pagniello della Caritas Pescara-Penne e il direttore dell’Osservatore Romano Andrea Monda, il sindaco Maragno ha sottolineato come «sia arrivato il momento di fare tutto il possibile per aiutare queste donne a uscire dall’oscurità e renderle partecipi di un sistema sociale adeguato ai tempi che viviamo». E questo dopo aver chiesto alla psicologa Taricco di raccontare la tristissima storia vera di Vittoria, una delle donne salvate dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, cui si deve anche il sostegno a Stefania, l’ex prostituta la cui testimonianza ha commosso il Presidente Mattarella e tutto il Paese, l’8 marzo al Quirinale.
A Vittoria – come ha raccontato la Taricco – per aver cercato di ribellarsi agli sfruttatori ed aver cercato di sottrarsi alla “vita”, hanno ammazzato la figlia di 4 anni. «Quando ripenso a lei… ho ancora la pelle d’oca» ha detto la psicologa mentre alle sue spalle faceva bella mostra di sé il cartello “Non mandare a puttane la tua famiglia”, dove la famiglia a rischio non è certo quella delle donne costrette in strada (le Vittoria non ancora salvate cui, a chiacchiere, è indirizzato il progetto dell’amministrazione), ma quella perbene del povero cliente che appare solo come uno stupidotto da rimproverare bonariamente.
Vittoria, dopotutto, è solo una puttana! Non importa che la sua famiglia non esista più per mano degli sfruttatori e anche per colpa di quei clienti con le famiglie perbene! Quelli che una scelta ce l’hanno e scelgono di acquistare servizi e servizietti da donne che non possono dire no.
Molti di questi clienti, questi frequentatori della pineta e di altre strade pullulanti di lucciole, questi uomini a cui la comunicazione ipocrita del Comune strizza l’occhio, vivono in mezzo a noi, abitano nelle nostre vie e nei nostri condomini, ci dicono buongiorno e buonasera quando li incontriamo, fanno la spesa nel nostro stesso supermercato, magari si fermano pure alle strisce pedonali per farci passare. Soprattutto, questi uomini votano.
Quindi perché prendersela con loro? Perché mettere loro sotto accusa quando ci sono le donne sfruttate, schiavizzate, costrette ed annientate? Ultime fra gli ultimi. Loro la campagna manco la vedranno. Loro il problema manco se lo porranno perché, per loro, quello sporco lavoro è, nella grande maggioranza dei casi, l’unico modo per mantenersi in vita e per salvaguardare i loro figli. A loro la dignità, la salute, la famiglia e perfino la vita sono assai spesso precluse. Difendendo questa campagna, non accogliendo la richiesta di molte cittadine e cittadini di ritirarla, il sindaco ci conferma che, per lui, le vittime non sono le donne schiavizzate; le vittime sono i clienti, passibili al massimo di una multa.
Si precisa che, per quanto non ci sia stata una presa di posizione iniziale e spontanea, la Comunità Papa Giovanni XXIII e la Caritas hanno preso le distanze dalla campagna, la prima precisando di «non aver avuto alcun ruolo nella ideazione, realizzazione e diffusione della campagna» e la seconda sottolineando «di aver espresso perplessità e biasimo sugli slogan».
La campagna “Non mandare a puttane…” è volgare.
Il modo di dire “mandare a puttane” è palesemente volgare. A meno di un ravvedimento del sindaco, la nostra città, già imbruttita dallo scempio edilizio e dall’incuria, sarà imbrattata da manifesti fluo e volgari. Il motivo? Il primo cittadino “voleva fare scalpore”. Non importa se questa personale ambizione implichi calpestare la dignità delle vere vittime di tutta questa storia. Non importa neppure se questa personale ambizione offende moltissime cittadine e cittadini. In fondo, dice lui, mandare a puttane significa semplicemente mandare a rotoli!
Innanzi tutto, l’errore comunicativo persevererebbe anche se si utilizzasse l’espressione “mandare a rotoli” per tutte le ragioni già sopra esposte. In secondo luogo, l’espressione usata è “mandare a puttane”.
Che si fa coi bambini e con le bambine? Li si porta a scuola, al parco, in giro… bendati? Qualcuno potrà pensare e dire che i bambini queste parole le sentono ovunque. È vero, l’idioma diffuso non è propriamente fine. Ma vi sembra corretto che venga utilizzato in una comunicazione istituzionale, in una comunicazione pagata con soldi pubblici?
La volgarità è sprezzante. Come ricorda la filosofa Inès Pélissié du Rausas, la volgarità spinge a svalutare la sessualità (cui il termine puttana, inevitabilmente, riconduce) e a viverla, spesso, in modo povero, aggressivo, brutale e deludente.
Quale messaggio mandiamo alle giovani donne e ai giovani uomini, se non quello che, dopo tutto, non c’è niente di male a chiamare “puttana” la propria compagna?
Benvenuto turpiloquio istituzionale!
La campagna “Non mandare a puttane…” è sessista e misogina.
La parola puttana (o le equivalenti troia, cagna, zoccola…) attiva in me uno tsunami, una tempesta emotiva che, di questi tempi, dovrebbe garantirmi, peraltro, un’attenuante qualora mi scagliassi con tutta la mia forza nei confronti di chi la utilizza con tanta disinvoltura. O l’attenuante vale solo per gli uomini che uccidono le donne?
Una disinvoltura così “normale” da poter essere scambiata per semplice banalità. Ma di banale non c’è proprio nulla, perché il termine “puttana” priva la donna della sua essenza di persona e la colloca in un immaginario di solo corpo e sesso. Un corpo che, tuttavia, non le è consentito di “usare” senza dar conto a nessuno e senza essere insultata. Dare della puttana, e al pari utilizzare una terminologia come “mandare a puttane”, rientra nei peggiori stereotipi di genere e definisce la fisionomia maschilista di chi utilizza questo linguaggio. Quando poi si parla di donne costrette, dalla povertà o dallo schiavismo, alla mercificazione del proprio corpo, l’utilizzo del termine è ancor meno opportuno. Vale per tutti, e a maggior ragione per le figure istituzionali.
La lettera inviata al sindaco Maragno
Caro Sindaco,
come Le ho già comunicato in privato e come ho reso pubblico attraverso i social, La invito a un’attenta riflessione sulla campagna di comunicazione che ha recentemente lanciato. Una comunicazione completamente errata che offende, in primis, le intenzioni e gli obiettivi da Lei stesso dichiarati in quanto, come si dice in gergo, è completamente “fuori brief”.
Nell’evento di lancio del 9 marzo sono state spese parole di elevato spessore empatico e di sensibilizzazione verso donne sfruttate, abusate, costrette, annientate. Si è parlato di contrasto alla prostituzione, alla tratta, allo sfruttamento. Tutto condivisibile se non fosse che la comunicazione da lei approvata dice esattamente il contrario, accoltella alle spalle le stesse donne le cui tristi storie sono state raccontate rendendole vittime oltre che degli sfruttatori anche di una comunicazione che le colpevolizza, le ri-relega nel ruolo di puttane che rovinano la vita, la famiglia, la salute e la dignità dei “poveri utenti” colpevoli, in fondo, solo di non sapere!
A questo proposito le riporto la testimonianza diretta che una di queste donne ha reso, l’8 marzo, nel corso della celebrazione della Giornata internazionale della Donna (Quirinale):
«Questi uomini che voi chiamate clienti hanno la necessità di appropriarsi di cose. Così anch’io sono diventata una cosa da comprare, come quando si va dal macellaio».
«Non capirò mai come una persona che si definisce uomo possa non avere pietà di una ragazza che sanguina, che piange e che soffre».
Se voleva “fare scalpore” sappia che c’è riuscito, ma decidendo di calpestare la dignità di persone che non hanno nessuna possibilità di difendersi, ultime anche rispetto agli ultimi. Persone che andrebbero aiutate, sottratte dal letame in cui, invece, questa comunicazione ancora una volta le colloca. E di questo può rendersi conto semplicemente leggendo i fortunatamente pochi commenti a favore che si basano su stereotipi e luoghi comuni che Lei sostiene di voler contrastare: “molte lo fanno per scelta; comprano appartamenti e vestiti di lusso; se volessero uscirne ne uscirebbero” et similia.
Le poche persone che dichiarano di apprezzare la campagna, inoltre, riportano la loro insofferenza nel vedere le strade e la pineta popolate da lucciole.
Basta un po’ di onestà intellettuale, che personalmente Le riconosco, per spiegare a questa gente che non sarà un manifesto volgare e concettualmente errato a risolvere il problema, né a sensibilizzare, né a contrastare un fenomeno che si basa su crimini abominevoli.
Sin qui siamo di fronte a un madornale errore di comunicazione. Non dovrebbe succedere, ma non è la prima volta. Basterebbe un responsabile ed intelligente passo indietro. Basterebbe ritirare la campagna.
Decidere di andare avanti con la campagna e addirittura difenderla induce a ritenere che essa sia, secondo Lei, corretta. Quindi corrispondente al brief fornito all’agenzia di comunicazione che l’ha elaborata. Ma allora si rimettono in discussione gli obiettivi dell’iniziativa.
La risposta del direttore
Gentilissima Dr.ssa Altieri,
ho letto la sua lettera aperta indirizzata al Sindaco e l’ho contattata per chiederLe se avesse intenzione di utilizzare il nostro spazio per permetterle di raggiungere con il suo messaggio il maggior numero di persone possibili e Lei ha accolto il mio invito. Abbiamo riportato sia la sua lettera originale che il suo commento successivo che tiene conto della non accettazione del suo appello. Non nego in un primo momento ho valutato positivamente il lavoro di chi ha ideato la comunicazione a cui Lei si riferisce perché è sicuramente riuscita nell’intento di bucare ed è riuscita a far parlare del messaggio che voleva essere diffuso dall’amministrazione comunale. Leggendo attentamente le argomentazioni che lei adduce, devo ammettere di aver modificato il mio punto di vista in quanto sdoganare termini sessisti e misogini ritengo non possa essere mai una buona idea. Speravo la sua missiva potesse ottenere maggiore attenzione da parte dell’amministrazione, ma è evidente la chiusura sul tema e la incapacità a fare autocritica perdendo una buona occasione.
Riporto di seguito un commento pubblico della dr.ssa Romina Di Costanzo che ringrazio per avermene autorizzato la citazione: “Sebbene l’Amministrazione stigmatizzi le critiche sdoganandole con la scelta di un linguaggio di uso comune, resta il fatto che difenda una comunicazione istituzionale terribilmente offensiva e sessista, che umilia le intenzioni e gli obiettivi della campagna e soprattutto le donne etichettandole (attraverso una head line volgare) non certo come vittime. Le vittime secondo il claim sono invece gli sventurati utenti le loro “famiglie”, “dignità”, “salute” e “vita”. La lingua che parliamo e che scegliamo di parlare è il primo ingrediente dei valori e delle azioni che metteremo in atto. Lo aveva capito bene il nostro Flaiano che, nel riconoscere il potere della comunicazione, scriveva “la parola ferisce, la parola convince, la parola placa”.
“Soltanto gli imbecilli non cambiano mai opinione” James Russell Lowell