La ri-nascita
La ri-nascita
di Gabriella Toritto
“Non è stata la terra a generarmi, e nemmeno i cieli, ma solo le ali di fuoco”
Queste si racconta fossero le parole incise sull’ala destra della Fenice.
Leggendo gli articoli “L’ecumenico” e “Non brucia la speranza” del numero di ottobre de “Il Sorpasso”, rifletto come la leggenda dell’araba Fenice calzi con le riflessioni degli autori, gli amici Mauro De Flaviis e “Girolamo Savonarola”.
“Ecumenico” deriva dal termine “ecumene”, in greco oikūménē (gê) ossia ‘(terra) abitata’. Nella nostra lingua può indicare sia la parte della Terra dove si trova l’habitat favorevole alla dimora permanente dell’uomo sia la comunità universale di fedeli. “Ecumenico” sta per ciò che appartiene a tutta la Terra abitata e quindi universale. Così come universale è il mito della Fenice, un uccello bellissimo, forse un airone con piume d’oro, con bagliori di fiamma, che riappariva ogni 500 anni.
La prima versione del mito è quella dell’Egitto delle prime dinastie, in cui la Fenice è rappresentata come un passero, o come un airone cenerino. Secondo la tradizione dell’antico Egitto la Fenice non risorgeva dalle fiamme, come narrano i miti greci e quelli successivi, bensì dalle acque. Per gli antichi Egizi Bennu, era un uccello sacro, successivamente identificato dai greci con la Fenice. Rappresentava il Ba, ossia l’anima del dio Ra, il Sole.
Esiodo è il primo poeta greco a menzionarla nel VII-VIII secolo a.C.. Erodoto, scrittore originario dell’Asia Minore, ricorda la Fenice nel secondo libro, dedicato all’Egitto, delle sue Storie. Ovidio, nelle Metamorfosi (XV,392), la descrive così: “Esiste un uccello che da solo si rinnova e si riproduce: gli Assiri lo chiamano Fenice; non vive di frutti né di erbe, ma di lacrime d’incenso e di succo di cardamomo”.
Nell’antica Roma la Fenice diviene simbolo dell’energia vitale dell’impero che riusciva a rinnovarsi. Essa è effigiata su monete e mosaici.
La Fenice è un racconto universale, ecumenico, che si riscontra nelle tradizioni orali, e poi scritte, di molte antiche civiltà, da quelle orientali a quelle occidentali. Essa in tutte le versioni, precedenti l’avvento del Cristianesimo, ribadisce sempre il concetto della ri-nascita. Dopo la diffusione del Cristianesimo sono i Vangeli e l’Apocalisse a narrare una ri-nascita: la Resurrezione. In particolare l’Apocalisse riporta l’allegoria di un regno di 1000 anni per indicare il periodo fra la prima resurrezione di Gesù, il Cristo, e il ritorno del Risorto alla fine di tutti i tempi.
Dante Alighieri nella Commedia (Inferno XXIV, 107-111) così la descrive:
“che la fenice more e poi rinasce,
quando al cinquecentesimo appressa
… nardo e mirra son l’ultime fasce.”
L’esigenza della ri-nascita, della resurrezione, è avvertita dagli uomini di tutti i tempi, forse per assicurarsi l’immortalità. L’uomo credeva nell’anima. Il termine “psiche” si trova per la prima volta in Omero, associato all’anemos – il soffio vitale.
E se il soffio vitale, l’anemos, è immortale, nulla di ciò che è immateriale, spirituale, può essere distrutto. Può essere offeso, oltraggiato, vituperato ma non distrutto. Così la fede in un Dio, così il pensiero dei grandi uomini, così la memoria di quanto ci è più caro. Anche un luogo di culto è caro, anzi sacro e, nella sua sacralità, prezioso e insostituibile per quanti in quel luogo hanno pregato e “parlato” con il proprio Dio.
Secoli di storia, persecuzioni, distruzione e morte, che hanno messo a ferro e fuoco le prime comunità cristiane, ci hanno mostrato che sotto la “cenere c’è il fuoco”, quel fuoco che è “sì simbolo di distruzione ma anche … di rinascita”, come “Savonarola” ha scritto sul numero di ottobre.