Polis e politica
Polis e politica
di Marco Tabellione
Il termine politica deriva dal termine greco polis, che nell’antica Grecia indicava la città, la comunità di cittadini, per cui la politica presupponeva il governo della città attraverso la partecipazione di tutti gli abitanti. Tutti i cittadini liberi erano coinvolti nell’agorà, nelle discussioni di piazza e avevano la possibilità di partecipare alla gestione del governo e del potere. Era la democrazia nella sua partecipazione più pura, la cosiddetta democrazia partecipativa. Come è noto, nella contemporaneità non ci sarebbero i numeri per una simile partecipazione, né la fantapolitica che pronostica un uso di internet per forme di votazione diretta, una sorta di parlamento allargato on line, allo stato attuale sembra mantenersi al di qua di questa visione utopica. Ma l’aspetto che più sconcerta in questa impossibilità pratica della democrazia partecipativa, e dunque impossibilità pratica della democrazia autentica intesa come governo del popolo, è la difficoltà per i cittadini di decidere l’organizzazione della propria esistenza.
La città, come luogo destinato a ereditare la terra – e non è difficile immaginare un intero pianeta urbanizzato, in un futuro forse neanche poi tanto lontano – si diceva la città, nonostante tutti gli sforzi della politica e della legislazione, continua a essere uno spazio più subìto dalle persone che voluto e in quanto tale vissuto. Non siamo noi cittadini a decidere come deve formarsi e svilupparsi il luogo dove viviamo, ma è piuttosto il luogo a determinare le nostre vite. In un certo senso, la polis, luogo della politica, ha avuto lo stesso destino della politica e della democrazia. Non è il popolo che decide l’amministrazione dello Stato, semmai il popolo ha l’illusione di decidere ed eleggere i propri rappresentanti, senza che ci possa essere poi nessuna garanzia che, nella gestione del potere, il politico eletto segua la volontà popolare piuttosto che la propria. Il potere politico dovrebbe invece farsi servizio, trasformarsi in servizio, servizio dunque e non gestione. Allo stesso modo una città dovrebbe essere luogo di servizio per i suoi abitanti, e non luogo che determina nelle proprie aberrazioni (traffico, inquinamento, emarginazione, imbarbarimento degli spazi comuni) la vita spesso aberrante dei singoli.
Quasi mai i governi che s’avvicendano nelle amministrazioni locali delle città riescono ad invertire questa tendenza e questo rapporto, in cui chi si serve degli spazi cittadini in realtà li subisce e ne diventa vittima. Anzi la sensazione terribile è che i governi oggi, a qualsiasi livello, nazionale, locale, transazionale, decidano ben poco e in realtà riescano a incidere sulla vita sociale e sul suo miglioramento in misura davvero ridotta. Chi è che decide veramente è poi difficile dirlo, anche perché ormai a farlo non sono più singole persone e autorità, ma risultano essere piuttosto apparati, e spessissimo non apparati di persone, ma sistemi a-umani, come il mercato della finanza internazionale o dell’industria tecnologica.
Purtroppo Montesilvano non fa eccezione a queste dinamiche. La priorità per il nuovo governo cittadino sarebbero davvero tante. Ma la sensazione è che non ci sia molto da fare, che la vita metropolitana in cui siamo tutti calati è, nelle sue attuali condizioni, irreversibile. Le comunità paesane e i villaggi in cui esistevano spazi comuni e condivisi di socializzazione, in cui si rafforzavano i legami della popolazione, quelle comunità sono definitivamente scomparse sulla costa abruzzese. La parsimonia che impediva, per esempio, di creare spazzatura e rifiuti, quella parsimonia è diventata ormai improponibile, come diventa sempre più difficile determinare una educazione minima alla cittadinanza che consenta di ridurre alla fonte la creazione di problemi e disfunzioni. È anche difficile prospettare che migliaia di automobilisti decidano finalmente di andare in bici o a piedi o con i mezzi pubblici. Così come non c’è da attendersi l’aumento di manifestazioni culturali che non siano i soliti intrattenimenti turistici estivi, ma tali da elevare lo spirito di una comunità ibrida, la cui identità si fa fatica a individuare e immaginare. Perché la comunità oggi esprime la sua volontà di aggregazione nei luoghi del mercato, nei centri commerciali, che nella loro fitta rete di percorsi e rapporti danno l’esatta idea di quella che oggi è l’immagine più chiara della contemporaneità, e cioè il gomitolo impressionante e incontrollabile dei contatti web. La rete incontrastata di internet che domina tutto e tutti.
Un buon governo dovrebbe oggi cercare di mettere mano al labirinto caotico della città moderna, dargli un senso, attribuirgli percorsi di vitalità e identità, e permettere in ultima istanza al cittadino di sentirsi a casa, e non in un luogo che in un suo racconto micidiale Dino Buzzati, grande scrittore italiano, non indugiò a identificare con il vero e autentico inferno. Sì, è vero, non c’è speranza, comunque sono poche, però, chissà, magari si riuscirà a fare qualcosa, non a generare una città perfettamente vivibile, ma a determinare uno o due o anche tre interventi che possano riuscire, siano essi la raccolta porta a porta o un allargamento delle piste ciclabili o la creazione di momenti di confronto e relazioni che non siano per forza di cose quelli della compera e della vendita.