Quaggiù il cielo è più vicino – fine del racconto
Quaggiù il cielo è più vicino
di Emilio Pirraglia
Ultima parte – Quaggiù il cielo è più vicino
Quella sera passò senza che i due amici avessero deciso se accettare il lavoro che Manuel aveva proposto. A cena nessuno accennò al tema e Paco si propose di fare loro da guida per il giorno successivo: voleva condurli al picco “dei tre denti” da cui si vedeva tutta la savana.
Il mattino dopo Alessandro aprì gli occhi di buon’ora, il rumore della pioggia sul tetto di paglia gli fece da sveglia. Si mise a sedere sul letto e scansò la zanzariera; anche il sergente era sveglio e stava mettendosi le scarpe. Tre colpi alla porta fecero alzare Alessandro. Era Paco: «Ehi, ragazzi, andiamo?» si risolse a dire la guida appena l’uomo aprì la porta della capanna. Alessandro guardò fuori: «Con questa pioggia?». Paco gli sorrise e si strinse nelle spalle: «Non siamo mica solubili!».
Camminarono sotto la pioggia battente per circa tre ore, arrampicandosi su pendii scoscesi, attraversando valli piene di mucchi di terra creati dalle termiti e scavalcando torrenti. Attraversarono anche un campo di arachidi, dove incontrarono alcuni bambini che facevano da guardia per scacciare i babbuini. La fatica si faceva sentire e le gocce di pioggia avevano appesantito i vestiti. Quasi all’improvviso si trovarono sul ciglio di un burrone dal quale potevano ammirare, a un centinaio di metri di distanza, tre alti pinnacoli di roccia, che si ergevano sulla savana estesa a perdita d’occhio nel suo verde smeraldo della stagione delle piogge. «Questi sono i tre denti!» esclamò soddisfatto Paco, lasciando trasparire l’orgoglio che provava nel mostrare quel luogo ai suoi ospiti. Il sergente si guardò intorno, accennando un sorriso, poi si rivolse ad Alessandro che guardava l’orizzonte con meraviglia: «Penso che quaggiù il cielo sia più vicino!». L’amico lo guardò negli occhi e annuì: «Qui mi sento a casa».
Il rientro alla capanna fu abbastanza silenzioso, come se tutti stessero incamerando nella loro memoria le meraviglie che avevano visto.
«Cristo santo!» gridò Alessandro appena varcò la soglia dell’alloggio. Le zanzariere erano a terra, gli zaini svuotati con tutta la roba sparsa per la camera, il mobiletto alto di legno dove c’erano tre cassetti in alto era rovesciato. «Che succede?» chiese il sergente Bricco arrivando trafelato alle spalle dell’amico. Il sergente guardò la scena e senza dire una parola corse al mobiletto rovesciato, prese il piccolo portafoglio di cuoio nero, lo aprì: era vuoto. Avevano preso anche la tessera bancomat e la carta di credito. L’altro si precipitò verso il suo grosso zaino grigio e aprì la cerniera della piccola tasca superiore che si rivelò vuota. L’uomo aveva il cuore in gola, si cacciò le mani nelle tasche dei jeans e ne tirò fuori una banconota da 50.000 e una da 20.000 cfa (circa 100 euro in tutto). «Questo è tutto quello che mi rimane!» disse con un filo di voce. Il sergente lo guardò con gli occhi sgranati, deglutendo, poi si ficcò anche lui le mani in tasca. «Io ho una banconota da 20.000 (circa 30 euro)». «Siamo rimasti in questo buco di culo di mondo con poco più di 130 euro in tutto» si risolse a dire Alessandro, sedendosi sul materasso, a testa bassa. «Questi figli di puttana ci hanno fregato alla grande». Il sergente si avvicinò alla porta a guardare fuori e vide Manuel che dalla veranda del centro del villaggio li osservava. Il sergente gli fece un cenno con la testa e quello di rimando sorrise. Il ragazzo guardò verso l’amico: «Tu sai chi è stato?». Il sergente, continuando ad osservare Manuel disse: «Credo che dovremo parlare con il nostro ospite spagnolo». Alessandro si alzò in piedi: «Come fai a dire che è lui che ci ha fregato?» L’altro, stando sempre sulla porta: «Ci sta osservando in questo momento e si aspetta una qualche reazione da noi. Ci hanno preso per degli idioti, pronti da spennare» disse scuotendo la testa. «Quel figlio di puttana non ha capito con chi ha a che fare!». Il quel momento il sergente si ricordò della bomba a mano che aveva lanciato in Afghanistan e che aveva ucciso due bambini; socchiuse gli occhi e sorrise al loro ospite.
«Come è andato il giro in montagna?» chiese affabile Manuel quando il sergente gli si sedette di fianco e Alessandro di fronte. Il sergente diede una furtiva occhiata all’uomo che con la sua solita maglietta rossa li osservava, seduto, a circa cinque metri di distanza, sul solito sgabello. I due non risposero subito; poi l’uomo di fronte allo spagnolo abbozzò un sorriso: «Manuel, cosa hai visto in noi?» si risolse a chiedere come se avesse domandato dell’acqua. Lo spagnolo si accomodò meglio sulla sedia: «Qui in africa se due leonesse indugiano troppo nel catturare una gazzella, quella scappa e le due femmine si ritrovano senza cibo, costrette a nutrirsi degli scarti degli altri leoni più forti e decisi». Allargò le braccia e si sporse verso il suo ospite, sorridendo: «Questa è l’Africa, caro amico!». Il movimento in avanti gli fu fatale: il sergente, fulmineo, gli strinse un braccio intorno al collo e lo tirò a sé, stringendo forte come una morsa, ma stando attento a non soffocarlo. L’uomo di guardia sullo sgabello si alzò; anche Alessandro si alzò facendo un gesto di diniego con l’indice alzato: «Se ti muovi, il mio amico gli spezza il collo. Va’ a prendere quello che ci avete rubato!». Quello sembrò spaesato, guardò il suo capo che cercava di divincolarsi, ma il sergente, come un pitone, lo teneva stretto: il viso si era fatto paonazzo. L’uomo che lo stava soffocando gli disse a bassa voce: «Fa’ un cenno col braccio al tuo uomo!». La guardia, come un fulmine, si allontanò e tornò con i soldi e le carte di credito, le gettò sul tavolo e si avventò all’improvviso sul sergente: questo strinse ancora più forte il collo a Manuel che svenne. Alex prese una bottiglia di birra vuota dal tavolo e la ruppe in testa all’aggressore in maglia rossa, che cadde anch’egli svenuto. Il sergente si liberò dal corpo inerte di Manuel, rapido prese la bottiglia rotta dalla mano di Alessandro e la conficcò nel collo della guardia del corpo del loro ospite, facendo uscire abbondante sangue. In quel momento sopraggiunse Paco di corsa e si fermò impalato di fronte a quel lago di sangue. Il sergente corse da Manuel che si stava riprendendo e gli prese la testa tra le mani: «Questa è l’Africa, amico!». Con un movimento secco gli spezzò il collo, lasciandolo ricadere inerte per sempre. Alex teneva d’occhio Paco che non si era mosso di un millimetro, come impietrito da quella violenza. L’uomo lo guardò fissò negli occhi: «Ora qui ci siamo noi».
Fine
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