L’angolo della poesia a cura di Gennaro Passerini
Dedicato a Pietro Forcella, un caro amico che ci ha lasciato, riporto il pensiero di due autori, Fernando Pessoa e Mitch Albom, e la poesia “ Il volto dei propri cari “ di Palma Crea Cappuccilli tratta dalla raccolta “ Ho questo maledetto vizio erratico “ letta dal prof. Raffaele Simoncini.
“ La morte è la curva della strada,
morire è solo non essere visto.
Se ascolto, sento il tuo passo esistere come io esisto.
La terra è fatta di cielo, la menzogna non ha nido.
Nessuno si è mai perduto, tutto è verità e via”.
di Fernando Pessoa
“C’è una ragione per ogni cosa.
Anche alla morte c’è una ragione.
E anche all’amore perduto.
Se la morte ce lo porta via
rimane sempre un amore.
Assume una forma diversa, nient’altro.
Non puoi vedere la persona sorridere,
non le porti da mangiare,
non le arruffi i capelli…..
Ma quando questi sensi si indeboliscono,
un altro si rafforza. La memoria.
Essa diviene tua compagna.
Tu l’alimenti, tu la serbi, ci danzi assieme.
La vita deve avere un termine, l’amore no”.
Tratto da “Le cinque persone che incontri in cielo” di Mitch Albom
Il volto dei propri cari
Intrecci di voli frastagliati
enfatiche danze
nel biancore di soli accecanti,
lucciole di cielo infuocato
nei mattini carichi di speranze,
piogge schizzate
senza un’apparente logica
sui prati o sulle strade
vuote di passi e di vita;
prigionieri
di inespugnabile solitudine
raggi di luna appisolati
e stanchi
sgretolati sui rami disperati degli alberi
in inverno.
Immagini ancestrali da custodire intatte,
ricordi da stringere nelle mani
per non lasciarli andare.
Io sono una di quelle
Che cercano le illusioni della sera
in segrete evasioni di mistero.
Ma
in quelle azzurre strade di silenzio,
rapiti momenti senza voci,
dispero di afferrare
nella pienezza dei loro noti tratti
i volti dei miei cari-
Lo sforzo struggente e doloroso
risulta cosa inutile e non basta
a saziare la sete
di quell’antico vezzeggiato amore.
Vi sono, nella esistenza degli uomini, radici ineliminabili, forti e potenti. Esse sono, in fondo, la sintesi ultima che Ugo Foscolo, ne I Sepolcri, splendidamente definiva “corrispondenza di amorosi sensi”. Sono, queste radici, il senso di una vita e, quando viene meno il rapporto, quando scompaiono all’improvviso le corporeità, i volti, le presenze assidue e dense di affetti, resta nel profondo un vuoto, una mancanza, una perdita di senso e di logica razionale. È in questi sentimenti originari che scompare la precipua fonte sociale dell’uomo: la comunicazione. I vuoti esistenziali non hanno parole che possano dire, che possano chiedere ascolto: essi relegano l’intimo sconforto in incorporee e inadeguate illusioni, in tentativi inesausti di rintracciare un senso, nel mentre che l’arida razionalità sconvolge anche l’unica speranza di “afferrare nella pienezza dei loro noti tratti, i volti dei miei cari”. L’amore, la cara presenza, le piccole e le grandi emozioni di una vita di affetti, “quell’antico vezzeggiato amore”, ruotano, si muovono in “azzurre strade di silenzio”, affinché la dolcezza di vincoli mai dimenticati e venuti meno possa essere una consolazione, anche se illusoria, in grado di sostenere il peso faticoso della pena struggente “di inespugnabile solitudine”. È non semplice, non facile, non scontato il poter trattenere nelle proprie mani e stringere con forza una presenza-assenza, nel contesto di una vita che riprende la sua frenetica corsa “senza apparente logica”. Ma la presenza dei volti dei propri cari segue, cammina accanto al dolore e all’indicibile vuoto lasciato da esistenze non più presenti: ogni speranza sembra venir meno e, nella proiezione di una attesa, non consola l’immergersi nel corso dei propri pensieri segreti, occulti. Non resta, dunque, che custodire in sé lo scrigno di “immagini ancestrali”, di una eredità che, parafrasando Manzoni, “atterra e suscita, affanna e consola”. In fondo, non consola una perdita, perché resta, indelebile, in un recondito, arcano meandro della sensibilità, una privazione inaccettabile: eppure, quella mancanza è una ricchezza senza prezzo, una memoria non evanescente, una voce che continua, dolcemente, a parlare, a dire di un amore senza fine.
Raffaele Simoncini