Il lavoro psicosociale con i rifugiati e i richiedenti protezione internazionale
L’angolo della psicologa
Il lavoro psicosociale con i rifugiati e i richiedenti protezione internazionale.
Serena Fugazzi
Nei flussi di persone migranti che annualmente giungono nel nostro Paese si trovano persone in condizioni molto diverse, anche se nel dibattito pubblico tendono ad essere considerate come un insieme indifferenziato. Una parte considerevole di esse è costituita da migranti che hanno lasciato il proprio Paese per ragioni differenti da quelle economiche; queste persone sono i richiedenti protezione internazionale e i rifugiati, ovvero persone costrette a fuggire da zone di guerra, conflitti o violenza diffusa, da regimi sanguinari o da contesti in cui la sopravvivenza o l’incolumità personali sono a rischio per l’azione deliberata di altri uomini. I migranti ‘forzati’ si differenziano da coloro che migrano per ragioni economiche, anche perchè in molti casi hanno dovuto abbandonare in tutta fretta il proprio Paese senza avere il tempo di delineare un chiaro progetto migratorio.
Pure le esperienze relative alla fase intermedia tra la fuga e l’arrivo in Italia, ovvero il viaggio, sono molto variabili tra i migranti. Vi è chi ha l’opportunità di usare un aereo e, dunque, si trova proiettato nel giro di poco tempo in un Paese diverso con uno status totalmente differente dal precedente. Per molti, invece, il viaggio dura mesi o addirittura anni e comporta l’attraversamento di Paesi a loro volta ad alto rischio (come il Sudan e la Libia), con l’ulteriore esposizione a violenze e torture o, comunque, con la costante presenza di gravi minacce per la sopravvivenza.
In Italia esiste un sistema pensato per l’accoglienza e l’aiuto di tali persone, diffuso in tutto il territorio nazionale, ovvero il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR), costituito a livello territoriale dalla rete degli enti locali e dalle realtà del terzo settore. Questo sistema di accoglienza deve garantire interventi di “accoglienza integrata” che, oltre alla distribuzione di vitto e alloggio, prevedono allo stesso tempo misure di informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento, attraverso la costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-economico.
Nello SPRAR lavorano operatori con diverse professionalità, tra cui assistenti sociali, educatori, operatori legali, mediatori culturali e psicologi.
Nello specifico gli psicologi intervengono sia in casi di particolari vulnerabilità come nel caso di supporto a vittime di tortura, violenze sessuali, o sopravvissuti a naufragi, sia soprattutto nel sostegno alla ricostruzione di un progetto di vita e di adattamento alla nuova cultura.
Infatti l’adattamento al nuovo contesto non sempre è semplice: i migranti incontrano barriere linguistiche, culturali e discriminazione che, abbinate ad una generale mancanza di opportunità, possono indurre a loro volta a una condizione di disagio mentale.
Il compito fondamentale dello psicologo e di tutto il gruppo di accoglienza è quindi quello di aiutare i migranti forzati a formulare dei progetti. Una condizione comune alla maggioranza di loro è proprio l’assenza di un progetto legato all’esperienza di vita in un nuovo Paese; questo ha effetti potenzialmente distruttivi non solo sulla salute ma anche sull’autostima e sulla continuità dell’identità personale. Non si tratta di forzare la creazione di rappresentazioni di un futuro a lungo termine, che potrebbero dimostrarsi irrealistiche, provocando disillusioni rovinose. Si pensa piuttosto all’organizzazione della vita quotidiana, a come far fronte nell’immediato ai problemi pratici, come cogliere al meglio le occasioni che vengono offerte, per lo più per tempi limitati: l’apprendimento della lingua italiana, l’ottenimento della licenza media, la borsa lavoro. A mano a mano che la situazione consente una stabilizzazione, le persone possono essere accompagnate a pensare a una progettualità di medio termine, che possa riguardare, per esempio, la ricerca di un lavoro e, nei casi in cui questo è possibile, il ricongiungimento familiare.
Concludendo, lo scopo fondamentale dell’intervento non consiste tanto nel rimarginare ferite e fragilità, visti i tempi molto stretti, quanto nell’aiutare a ricostruire un nuovo progetto di vita e con esso l’identità individuale e collettiva, tessendo i fili tra passato, presente e futuro, facendone riemergere il senso.
* Psicologa presso quattro SPRAR nel Sud delle Marche gestiti dal GUS-Gruppo Umana Solidarietà.