Intolleranza, emigrazione, sicurezza
di Marco Tabellione
L’intolleranza è una brutta bestia, come la diffidenza, si alimenta di pregiudizi che non solo è difficile estirpare, ma di cui è difficile persino accorgersi. Solo un’apertura di pensiero, la capacità di andare oltre le apparenze e i giudizi sommari, solo una grande intelligenza delle cose, che permetta di leggere dietro e tra le righe, solo questa affinata cultura e civiltà consentono di evitare un fastidio per lo straniero che a volte si rivela epidermico.
Ecco perché la società futura in cui tutti ci apprestiamo a vivere, primi fra tutti i nostri figli, una società inevitabilmente multietnica, richiede uno sforzo evolutivo, uno sforzo di civiltà, che solo l’educazione, l’istruzione e la cultura possono consentire di ottenere. Tra l’altro sono proprio situazioni come questa che testimoniano quanto sia ancora valida la cultura, e le sue manifestazioni, come ad esempio quelle artistiche e letterarie, per la formazione di una coscienza comune evoluta, la quale consenta di affrontare con la giusta maturazione le sfide del futuro che, lo ripeto, saranno inevitabilmente delle sfide lanciate a partire dal carattere multietnico di tutte le comunità.
Tutto ciò andava ricordato, andava per così dire osato in premessa, di un’analisi sul clima psicologico di sicurezza e intolleranza che le nostre città vivono sempre di più e che anche a Montesilvano comincia a profilarsi in misura sempre più crescente. Il problema tuttavia è come giungere a diffondere una cultura della tolleranza, a sviluppare un’evoluzione civile che possa consentire la libera convivenza di più culture, la quale convivenza risulta essere inevitabilmente il futuro della società italiana come di tutte le società, nonostante gli inevitabili rigurgiti del passato, le battute di arresto dovute a volte all’azione di politici che appaiono in ritardo rispetto alla storia.
Dunque l’obiettivo a questo punto è scuramente pratico e organizzativo, la macchina statale deve riuscire a rispondere alle esigenze che i flussi migratori determinano a tutti i livelli e ciò vuol dire innanzitutto affrontare l’emergenza, con il carico di conseguenze umanitarie che il fenomeno, ormai diventato cronico da dieci anni, sta determinando. Ma bisogna poi, magari anche contestualmente, preparare il campo culturale, dare vita ad un sistema di convivenza che sia degno degli esseri umani, qui a Montesilvano come in ogni altra parte del globo. E si sa quanta fatica sta facendo in questo periodo l’intento umanitario, messo in discussione da rigurgiti di antica politica, conseguenti a nuove elezioni e nuove figure che si sono imposte sulla scena. E fa davvero un certo effetto vedere rappresentanti di nazioni fondamentali dello scacchiere mondiale, in contrasto sull’argomento a causa dei suoi Capi di stato, incontrarsi senza neanche più ossequiare l’etichetta che vuole gentilezze e sorrisi melliflui. Segno che davvero siamo ad un punto critico riguardo al problema delle future società, in cui le visioni si stanno polarizzando, tra chi vede l’emigrazione come un diritto e chi lo considera, per espressa ammissione, un privilegio, come se fosse un privilegio desiderare di condurre una vita dignitosa, magari lontano da zone di guerra o di sottosviluppo.
Così davvero credo che la questione dell’emigrazione possa essere considerata quasi una prova decisiva per l’umanità, che a questo punto deve decidere cosa intende per evoluzione e quanta importanza dà, all’interno della definizione scelta, all’aspetto umano. Ma si tratta di una partita che non si gioca solo nelle scranne del potere, o in luoghi altri, perché la cura delle relazioni, la gentilezza, l’ospitalità, la tolleranza sono virtù umane, non delle macchine, né tantomeno delle cariche pubbliche e del potere. E tutti, in quanto esseri umani, sono tenuti a renderne conto.