Nino Volpe

           N I N O    V O L P E

di Erminia Mantini

Nella prima metà del secolo scorso, lungo il nastro della Nazionale, si succedevano abitazioni, botteghe, imprese commerciali, caffè, circoli, produzioni artigianali e rare professioni. Verso l’interno, invece, le poche case erano immerse in appezzamenti di terreno coltivati per lo più a vigneto, gli antichi filetti. La lenta trasformazione vide il tracciato di via d’Annunzio e il progressivo sorgere di abitazioni prospicienti, quasi tutte tecnicamente progettate dal primo ingegnere di Montesilvano: Nino Volpe. In verità il suo nome era più articolato e narrante: Mariano, papà del padre, Domenico, papà della madre, Benito, papà della patria! Sua madre Annita, sorella di due generali, dei carabinieri e dell’aeronautica, era donna energica e risoluta; per il suo unico figlio voleva il meglio. Lo iscrisse così ad un liceo di Roma; Nino però soffriva la lontananza da casa e volutamente si fece bocciare, con la speranza di rientrare. Conseguì, perciò, la maturità scientifica al Galilei di Pescara e poi tornò a Roma, per frequentare la facoltà di Ingegneria Civile: soggiornava in un pensionato religioso dove, per autosostenersi, si accollò anche l’impegno da direttore.

In giovane età, tra uno spensierato pattinaggio lungo le strade poco più che sterrate e le ore di studio al pianoforte, organizzò a Montesilvano una sezione dell’Azione Cattolica, nata in campo nazionale per affiancare i comitati civici e la Democrazia Cristiana, ma soprattutto per contrastare marcatamente il Partito Comunista Italiano: era il tempo delle forti contrapposizioni ideologiche. Avrebbe voluto introdurre anche a Montesilvano qualche spiraglio di modernità della sua esperienza romana, come il ballo fra gli iscritti! Ma incontrò il categorico rifiuto del parroco don Venturino.

La sua professione a Montesilvano iniziò ancor prima di laurearsi e l’accompagnò fino agli ultimi anni, testimoniata da un voluminoso archivio ordinato e catalogato in modo inattaccabile. Lavorò in collaborazione con i più noti costruttori della città: i Centorame, Di Pietro, Carletti, ma anche Maresca e D’Andrea, facendosi apprezzare non solo per la competenza professionale, ma anche per la serietà e l’onestà. Doti che ha cercato di trasferire nei giovani alunni dell’Istituto Professionale di Stato, presso il quale ha insegnato, fino alla pensione, Tecnica e Disegno Tecnico, ricoprendo spesso anche il ruolo di vicepreside. Nell’insegnamento sorpassava il libro, coniugando il sapere con la sapienza: ricordi indelebili negli ex alunni che ancora oggi ne parlano spontaneamente.

Aveva tanti amici e partecipava convintamente a tutte le iniziative che potessero dare impulso a cultura, crescita e benessere, nonché a rafforzare e divulgare la scelta di uno stile di vita il più possibile conforme alla Parola. Fu Presidente Diocesano e offrì sempre la sua collaborazione alla chiesa, come quando, insieme al figlio Marco realizzò gratis diversi lavori, in particolare la facciata dell’ingresso al salone delle riunioni. Fu tra i fondatori della Sezione dello Scudo Crociato, pur senza far parte dell’organico: preferiva invitare i giovani nel suo studio, per conoscerli, individuare le giovani menti inclini all’arte della politica e spronarli a mettersi in gioco. Da questo cenacolo iniziarono la loro avventura politica molti giovani montesilvanesi, tra cui Renzo Gallerati, Carmine D’Andreamatteo, Camillo Bosica, Paolo Fazi. Insieme ad altri, poi, costituì la sede cittadina del Lions Club International. Ovunque si lasciava guidare dalla sua grande dirittura morale. Aborriva l’esercizio del compromesso: tutto doveva essere, chiaro, limpido, previsto e prevedibile. Non poche volte pagò l’estrema coerenza con delle rinunce. “Era un cattolico integrale, ma se qualcuno lo ingannava per qualche infedeltà alla parola data, a messa, non scambiava con lui il segno della pace, anche se vicino gomito a gomito”, racconta il caro cugino e fratello per rigore morale ed onestà intellettuale, Carlo Mastrangelo. Insieme ad altri amici, in piazza del Municipio, diede vita al Circolo Marina, con scopi culturali e ricreativi, fornito anche di una piccola biblioteca: alle salutari conversazioni e attività ludiche, spesso si alternavano letture di poesie a cura di Carlo Mastrangelo e di Vinicio Verzieri. Poi il circolo assunse sempre più carattere esclusivamente ludico, col diffuso gioco delle carte e la consumazione del caffè. Nino si concedeva ogni giorno una piccola pausa prima della ripresa del lavoro. “Giocava con impegno, calore e competenza; grazie alle sue doti di memoria e di intelligenza, raramente perdeva una partita, diventando campione nel tressette a perdere! Lo si sentiva spesso commentare ad alta voce le sue giocate. Aveva carattere autorevole, ma bonario e all’occorrenza sapeva essere spiritoso e giocherellone, pronto alla battuta sagace e ricca di humour”, racconta ancora Carlo.

Durante una scampagnata con i cugini ebbe modo di conoscere la bella Gioconda Falone. Gioconda portava il nome della madre, morta dandola alla luce e suo papà si attaccò morbosamente a quest’unica figlia, talora limitandone anche la libertà. Nino, grazie alla sua determinazione, riuscì a ’strapparla’ al padre per condividere con lei le vicissitudini della famiglia. Gioconda, laureata in giurisprudenza, dopo un breve periodo di praticantato, decise di essere moglie e madre. Entrambi figli unici, avvertivano il bisogno di ampliare il nucleo familiare e, con i loro due figlioli Marco e Annalisa, si legarono ancor più agli amati zii Alberto, Nello e Bruno, che ormai erano parte della loro vita, non solo delle festività. Purtroppo nel 2000 Gioconda gli fu sottratta da un brutto male e si ritrovò a vivere dimezzato. La moglie aveva agevolato la sua vita, pianificato le sue giornate domestiche, scegliendogli persino la cravatta da abbinare! Il figlio Marco, con la sua innata sensibilità e delicatezza riuscì a ricreargli un clima di affetto e di serenità, anche dopo il suo matrimonio e la nascita dei figli. Nino faceva parte della famiglia, pur vivendo in un appartamento separato: pranzavano e cenavano insieme e condividevano i fatti del giorno e dei nipotini. Continuava a svolgere la sua professione d’ingegnere, rallentando un po’ i ritmi, anche perché ormai i tempi richiedevano nuove competenze. Molto più gratificante alzarsi prestissimo, aprire porte e finestre, sistemare le poche cose fuori posto e scendere nel patio ad aspettare i nipoti che uscivano per recarsi a scuola: era il momento più bello della sua giornata, irrinunciabile!

Il 24 marzo 2015 le sue finestre rimasero chiuse e Nino non era in giardino a salutare i suoi amati nipoti.