M E L C H I O R R E D ‘ A N N I B A L E di Erminia Mantini
Melchiorre aveva tre anni, quando nel ’39 suo padre, ferroviere, fu trasferito da Montesilvano a Vasto. Andava con i genitori a comprare frutta e verdura da un agricoltore che coltivava 8 ettari di terreno: familiarizzò subito con la piccola Angela La Verghetta, con la quale condivise i giochi dell’asilo e gli studi della scuola elementare. La sincera amicizia nata tra le due famiglie continuò anche quando, dieci anni dopo, i D’Annibale tornarono a Montesilvano: di frequente si scambiavano visite e i due ragazzi a diciassette anni si fidanzarono. A 25 si sposarono e il 19 agosto 2012 festeggiarono 50 anni di matrimonio felice, insieme ai figli Giuseppina e Mario. Esuberante, solare ed affettuoso, Melchiorre portava in casa l’allegria e tante piccole sorprese; era un vero stratega nell’arte di sdrammatizzare gli inevitabili problemi quotidiani. Riusciva quasi ogni anno a regalare ai familiari una vacanza spensierata, o magari un viaggio, anche all’estero, in particolare a Francoforte, dove era nata la primogenita. Ogni ricorrenza era occasione per fare doni desiderati. Quando Angela e i figli, d’estate, andavano a Vasto, scriveva loro una cartolina al giorno, per annullare la distanza!! Fugava qualche grigiore cantando e suonando a orecchio la fisarmonica e il pianoforte.
Entrato in Finanza a 18 anni, rimase a Roma per qualche anno, facendo anche da autista al Generale; venne poi trasferito in una località del Trentino, e infine a Cetrano di Cosenza: qui fu punito con sette nottate sul ‘tavolaccio’ per non aver multato il gestore di un esercizio commerciale colto in fallo. Per lui esisteva sempre un’altra possibilità!! Ma la lontananza dalla sua terra e dagli affetti lo rattristava: avvertiva forte il bisogno di stabilizzare la sua vita e il suo ‘nido’. Tornato a Montesilvano, dopo una breve parentesi da rappresentante della Kraft, vinse il concorso da vigile urbano e l’intera cittadinanza ebbe l’opportunità di conoscere la sua vitalità, il buon cuore, la grande disponibilità. Fu il primo vigile-motociclista in coppia con Guerino Cianfarani: ‘la pattuglia acrobatica’, poiché non avevano orario, tanto era grande il loro attaccamento al lavoro’!! Le due Gilera sono conservate nella sede della Polizia municipale! Poi dalla ‘strada’ passò all’ufficio del Commercio: ogni giorno escogitava un sistema per risolvere i problemi ai cittadini, soprattutto a persone sprovvedute che lo benedicevano e che, quando non lo troveranno più lì, protesteranno: “Ma Melchiorre me lo faceva!” Era il simbolo del settore commercio, amato e stimato dai colleghi per la sua innata generosità verso il prossimo, talora anche oltre misura. Per diventare responsabile di quell’ufficio, si sottopose, con sacrificio, a studi serali, conseguendo il diploma di ragioniere. Ma la sorte non lo esaudì e, amareggiato, chiese di essere trasferito all’Ufficio Anagrafe, dove restò fino alla pensione. Era un grande organizzatore: annuale Befana del Vigile, cene e cenette, serate danzanti, gare, tornei e, in particolare, la festa del Santo Patrono. Al presidente del Comitato Festa, Martino Centorame, soleva ripetere il suo ormai famoso “Ci penze ji”. Svolgeva tutti i ruoli, in particolar modo la spinosa questua, che portava a compimento, e con ottimi risultati, quasi da solo: impareggiabile conoscitore del territorio e della gente, visitava a tappeto stabilimenti balneari, esercizi, famiglie. “Vero fulcro sia nel lavoro che nelle attività della vita sociale; mi ha insegnato molto, anche della vita”, lo ricorda Sergio Agostinone, il collega che condivise con lui anche la passione per lo sport e per la convivialità.
Fin da bambino coltivò il suo spiccato interesse per il gioco del calcio. A tredici anni ricoprì il ruolo di terzino nelle file della Rinascita, disputando avvincenti partite al Rampigna, insieme al fratello Raffaele. Giocò con l’Olimpic-Vasto, la cui squadra “era destinata a garrire sugli alti pennoni dei campi calcistici della nostra regione”. Negli anni sessanta si distinse nelle squadre delle Fiamme Gialle, al Campidoglio, nel campionato promozione Lazio come centravanti ed ala destra. Dopo una stagione nel San Valentino accettò la richiesta di una squadra di serie C a Francoforte, Wahinaim, sostenuto e applaudito per le 24 reti messe a segno durante la stagione calcistica. L’anno seguente passò nelle file dell’undici di Dienburg. Con la maglia nero-verde del Montesilvano disputò con soddisfazione tanti campionati: dalla formazione Baldacci, Recinella, Mosca, Pincione, Cavicchia, Porrini, D’Armi, Di Carlo, Di Censo II, Cianfarani a quella del Torneo Mastrangelo, in particolare quella del ’67, in cui fu proprio Melchiorre che consentì alla combattiva squadra della Vestina di aggiudicarsi il trofeo contro il Mobilificio Di Giacomo. Indossò la maglia nero-verde fino all’età di 42 anni, guadagnandosi la fiducia dei tecnici e il calore del pubblico. Poi continuò a vivere il clima calcistico, allenando il Montesilvano, il Collecorvino, che nel 1982-83 guidò alla vittoria del campionato e in promozione, e a offrire la sua preziosa collaborazione anche nell’organizzazione dell’annuale Torneo Mastrangelo.
I campi in terra rossa furono l’altra sua grande passione. Antesignano del tennis a Montesilvano era stato Ciccillo Trisi, che si cimentava anche a livello agonistico. Quando poi Ernani rilevò La Racchetta, questo sport si diffuse largamente, modificando gli stili di vita. Melchiorre frequentava il centro rivierasco, diventandone anche l’organizzatore del post partita: conversazione, cenette, giochi a tavolino, tornei. Nel ’66 nacque il primo torneo Città di Montesilvano, con la partecipazione di ‘racchette’ affermate e nel ’79 il Torneo delle Schiappe, animato da molti montesilvanesi che, oltre a Melchiorre, portarono a casa diverse coppe, come Sergio Agostinone, Speziale, Pincione, Giansante ed altri. Gli avversari abitudinari di Melchiorre erano Ciccillo, il dott. Di Giacomo, Lucio Consorte, Giampiero Di Giacomo, contro i quali egli esercitava il suo stile personale: giocava sempre a fondo campo, evitando di portarsi sotto rete, “il pallettaro”; per colpire di rovescio, trasferiva velocemente la racchetta dalla mano destra alla sinistra, ambidestro solo nel tennis! Caratteristica ereditata anche dalla figliola Giuseppina! Non perdeva occasione per organizzare una partita, competendo con entusiasmo e combattività. Fino a due giorni prima di ammalarsi. Solo la malattia, nel 2014 riuscì a fiaccare e a domare la sua straripante vitalità. Famiglia, lavoro, sport: tre punti fermi nella vita di un montesilvanese conosciuto e benvoluto dall’intera cittadinanza.