VECCHIO E NUOVO
Se proviamo a domandare ad una persona anziana quale sia, secondo le sue convinzioni, la più grossa peculiarità riscontrabile tra la scuola di una volta rispetto a quella recente vi sentirete rispondere, molto probabilmente, che una volta la scuola era molto seria e per essere promossi bisognava studiare moltissimo, altrimenti si veniva bocciati.
Effettivamente era così! Infatti, anni addietro, trovandomi per caso negli archivi del Liceo Scientifico Da Vinci di Pescara, ho potuto verificare la veridicità di quella affermazione, sfogliando un registro degli esami di stato dell’anno 1951: il numero dei promossi, quell’anno, superava appena il cinquanta per cento dei candidati ammessi a sostenere l’esame, percentuale impensabile al giorno d’oggi, ma testimonianza evidente di una scuola decisamente selettiva. D’altronde, tutto questo era richiesto dall’impostazione gentiliana del percorso scolastico che, “selettivamente”, aveva previsto una precisa formazione dei quadri dirigenti attraverso i Licei, dei quadri intermedi attraverso gli istituti tecnici e degli operai specializzati con la frequentazione degli istituti professionali.
La scuola selettiva – e quella gentiliana era tale! – fissa di norma gli standard, generalmente piuttosto alti, e di conseguenza promuove solo chi si trova al di sopra di essi e automaticamente boccia tutti gli altri. Un esempio attuale di scuola selettiva, nel mondo, è rappresentato da quella indiana: la quale, tra l’altro, è capace di far laureare ingegneri tra i più bravi al mondo; ma, purtroppo, quella nazione presenta una altissima percentuale di analfabeti tra la popolazione (oltre il 70%).
In Italia, sebbene quella selettiva fosse soprattutto la scuola pubblica, non furono mai fissati standard ministeriali e pertanto la selezione diveniva potere esclusivo ed arbitrario del docente che, di fatto, con l’esercizio del voto, si poneva su un piedistallo dal quale esercitava un potere decisionale assoluto sul futuro dei giovani studenti e, cosa decisamente importante per lo stesso docente, era gratificato da un conseguente, palese peso sociale.
Nel tempo, tale condizione è andata sempre più evolvendosi, sulla spinta delle innovazioni della ricerca didattica e con l’avvento dei decreti delegati e, attraverso una mutazione genetica silente – aggiungerei: purtroppo! – ha portato ad uno stravolgimento generale di tale status che, cancellando di fatto la scuola selettiva, è pervenuto a quella che si suole definire scuola di massa: modello largamente diffuso in larga parte dei paesi più evoluti. Non tutti però si sono resi conto da subito di tale movimento e qualcuno, tra i docenti, ancora oggi, manifestando colpevole ignoranza, complice il potere del voto, cerca di opporvi resistenza, pensando così di mantenere i residui di un peso sociale, ormai decisamente scaduto.
La scuola di massa, al contrario, promuove le personalità culturali non più attraverso un voto, spesso equivoco o non sufficientemente motivato, ma attraverso le competenze acquisite singolarmente dagli studenti e collegialmente certificate dai docenti. Emergono così le inclinazioni e i talenti individuali di ciascuno, ovvero solo quei valori positivi che orientano l’allievo verso un futuro più consapevole. Più voluminoso sarà il bagaglio di competenze a corredo dello studente, maggiore sarà la spendibilità dello stesso nei vari ambiti della vita sociale. Un esempio è dato dalle scuole nordiche, in particolare da quella finlandese.
Certo, la scelta tra i due modelli è orientata anche da fattori contingenti che non possono essere rimossi: il riferimento va alle nuove scoperte delle neuroscienze e alle teorie sulle intelligenze multiple di Howard Gardner. Inoltre, non è possibile trascurare l’evidente massa di conoscenze, sempre più voluminosa, prodotta negli ultimi anni, che ha messo definitivamente in crisi il modello illuministico del sapere, basato solo sulla conoscenza: pertanto, si impone che questa massa sia razionalizzata. Di conseguenza i traguardi formativi non saranno più le conoscenze (di natura esclusivamente teorica, come inteso dalla scuola fino ad ora) ma saperi agiti, utili per sapersi orientare in una dimensione moderna.
Tutto ciò porta a ridefinire, tra l’altro, la stessa funzione docente la cui azione didattica deve essere capace di coinvolgere e motivare gli studenti (non più con l’inutile predica dal pulpito) con proposte motivanti, elaborate a livello collegiale, che in questa nuova relazione devono rendere gli studenti consapevoli del loro percorso formativo. Diventa così necessario dare pieno significato alla libertà di insegnamento che si deve esprimere assolutamente nella collegialità, nell’esclusivo interesse dell’apprendimento dello studente. Fino ad oggi, di fatto, la libertà di insegnamento si è tradotta in un vero e proprio libero arbitrio della funzione docente e ha rappresentato il punto più alto dell’egoismo professionale nella scuola, inutile per lo studente e ostativo per la ricerca didattica che ogni scuola individualmente dovrebbe promuovere.
Pasquale Sofi