Alcune contraddizioni palesi della “buona scuola”
di Pasquale Sofi
Le recenti scoperte delle neuroscienze, (eclatante, per il vissuto non recente, quella che afferma che la distrazione è indipendente dalla volontà della persona), e delle scienze delle comunicazioni (che a loro volta sanciscono l’inefficacia della comunicazione non interattiva: per intenderci, la spiegazione del docente in ambito scolastico) avrebbero dovuto stravolgere i canoni della quotidianità scolastica. Se a ciò aggiungiamo le teorie relative alle intelligenze multiple di H. Gardner, (da cui consegue l’assurdità della promozione di uno studente solo in presenza della sufficienza in tutte le materie) ci rendiamo conto che della scuola attuale c’è da salvare molto poco, né la BUONA SCUOLA, malgrado i proclami, riesce a porre rimedi e ad offrire soluzioni e prospettive più concrete.
Eppure gli annunci roboanti del Governo e gli strombazzamenti dell’incerto e sempre meno convincente Ministro di riferimento avrebbero dovuto partorire novità ben più significative. A parte gli annunci, solo ad effetto, mancano le proposte di azioni concrete, tali da trasformare il pensato in agito. La certezza di una riforma per il momento si risolve in una massiccia immissione in ruolo di docenti, molti dei quali sono saliti sulle barricate per le destinazioni poco gradite in quanto lontane dalla loro residenza. Non si comprende però (si fa per dire) la piazzata dei docenti di ruolo contro i superpoteri (li hanno visti solo loro) del preside. E’ solo l’annosa storia della valutazione del personale sempre rispedita al mittente da un sindacato che ha fatto della professione più bella di sempre un impiego da routine dove però non è consentito timbrare il cartellino. Perché guai se dovesse esistere una figura che controlla i registri, i ritardi, le esagerate soste nei corridoi prima dell’entrata in classe, gli abbandoni arbitrari dell’aula prima della fine dell’ora e non solo, che gli studenti non siano vessati da una valutazione scriteriata; insomma le cose che quotidianamente non dovrebbero succedere a scuola, ma che, tuttavia, da sempre riempiono le pagine della quotidianità. Anche se in una scuola esclusivamente autoreferenziale si pensa che queste siano cose che si riscontrano solo nel far west e che pertanto gli sceriffi da noi non servono. Un punto decisamente a favore della sedicente riforma, però, è quello che segna il ritorno del preside, quale leader didattico e che rimuove quell’inutile figura chiamata dirigente scolastico, ovvero un burocrate utile solo a fare da parafulmine e ad interpretare il ruolo preferito dalla politica italiana: quello del mediatore, che serve solo a dirimere contenziosi dove nessuno è responsabile mai di niente. Mentre il Dirigente Scolastico, con sul groppone una montagna di responsabilità e nemmeno un minimo di norme a supporto per poterle tutelare e difendere, deve affrontare la complessità di una realtà che interagisce a vari livelli, oltre che con il personale interno, anche con alunni, genitori e soprattutto Enti locali e periferici.
Una valutazione scolastica sarebbe però opportuna, se concepita in maniera seria: tutto il personale dovrebbe essere valutato, in particolare a livello tecnico, dal superiore gerarchico con il quale il detto personale vive la sua quotidianità. E siccome tutti paventano valutatori poco equilibrati, mattoidi e quant’altro, per evitare di inficiare con soluzioni pasticciate quello che in altri Paesi rientra nella ovvia regolarità, sarebbe opportuno, per ogni livello di valutazione, inserire, a tutela dei diffidenti, degli organi di garanzia. Ovviamente in quest’organo non devono essere rappresentati i sindacati di categoria, sarebbe l’ennesimo conflitto di interessi in Italia.
Ma tornando alla Buona Scuola si tratta di un’occasione persa. Innanzitutto non è una riforma! E’ soltanto una diversa modalità amministrativa, per vivere la quotidianità scolastica. Vorrebbe essere innovativa, attraverso l’alternanza scuola lavoro, ma non riflette che sul territorio nazionale non è omogenea la distribuzione delle aziende! In essa, inoltre, viene soltanto sfiorato e non approfondito il concetto di ambiente di apprendimento e compaiono amenità non da poco (un esempio tipico è quella che il preside sceglie il corpo docente a caso e magari, poi, a fine anno quest’ultimo potrebbe essere valutato negativamente oppure, che si debbano pubblicare nel sito della scuola le risultanze della valutazione del personale!). Si provi ad immaginare: quali genitori potranno mai accettare in una classe un docente valutato negativamente? Ci si dimentica, invece, dell’annoso problema della centralità dello studente e non si tiene per niente conto che in Italia costui è costretto a frequentare un anno in più dei colleghi d’oltre cortina. E si può chiudere sul tema della valutazione del personale che, da come viene presentata, è molto blanda e il RAV (rapporto di auto valutazione) risulta troppo farraginoso e intriso di conflitti di interesse. Ma il problema più serio, come annunciato in premessa, è quello della didattica. Se i nuovi immessi in ruolo non saranno opportunamente formati (il modello dovrebbe essere quello del docente della classe 2.0) la Buona Scuola sarà una catastrofe. Ma quali saranno i formatori? Per ogni docente ci saranno 500 euro destinati al suo aggiornamento e i sindacati cominciano a leccarsi i baffi….