Intervista a don Roberto Bertoia
parroco della Chiesa di San Michele Arcangelo in Montesilvano Colle
- Il Comune ha accolto la proposta di riconoscere San Michele Arcangelo Compatrono di Montesilvano: può spiegarci la storia ed il valore storico e religioso di questa decisione?
Il culto dell’Arcangelo Michele a Montesilvano risale al XII secolo, quando la chiesa del Colle fu ricostruita su un sito sacro plurimillenario, sul quale sorgevano in antecedenza un tempio romano e la prima chiesa cristiana. Riconoscere a tutt’oggi, dopo nove secoli di patrocinio anche sulla compagine civile, che San Michele è per tutti un riferimento spirituale e morale, significa tornare a dare la giusta valenza al dato storico spirituale che ci appartiene, di esso siamo risultanza di identità e di vita, e pastoralmente contribuisce a rinnovare il senso della nostra appartenenza alla fede cristiana, che non è una novità o un’improvvisazione di oggi, ma che si è diffusa dai primordi della storia della Chiesa anche nel nostro territorio. Si è così recuperato il diritto che viene dalla tradizione storica plurisecolare e ininterrotta dell’affidamento del popolo montesilvanese alla protezione spirituale del Santo titolare della chiesa matrice, ubicata sul Colle fin dalle origini della Universitas Montis Silvani. Mentre resta pacificamente affermato il ruolo di “primaziale” che è venuta a svolgere da oltre mezzo secolo la chiesa di Sant’Antonio di Padova, sia per l’ubicazione centrale che per la capienza, potendo accogliere celebrazioni unitarie di carattere cittadino.
- Le attività della parrocchia?
Non sono molteplici, dal momento che la maggior parte della popolazione ha un rapporto di dormitorio col territorio e questo si ripercuote anche con la vita parrocchiale. Ma le attività esistenti sono significative, come ad esempio l’Azione Cattolica nei settori dei Ragazzi e dei Giovani che nell’arco di nove anni è fiorita e si è consolidata, giungendo a contare le 150 unità. Abbiamo un gruppo stabile di una cinquantina di fedeli che si avvicendano durante l’adorazione eucaristica settimanale, che si svolge senza sosta dodici mesi l’anno. Un centro di annuncio del Vangelo opera tra le case in contrada Collevento, e vi prendono parte stabilmente una ventina di persone. Il nostro umile centro di ascolto Caritas giunge ad assistere una quindicina di famiglie nella necessità. Due cori liturgici e il gruppo dei chierichetti, fanno servizio tutte le domeniche e festività. Il gruppo della pastorale per le famiglie si va costituendo con timidi passi ma con decisa volontà dei componenti, dopo l’input che a riguardo ha voluto dare l’Arcivescovo nel corso della Visita Pastorale svoltasi a marzo.
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Venticinque anni fa veniva ordinato sacerdote, ci racconti qualcosa di quel momento decisivo per la sua vita.
Era l’8 settembre 1990. Dopo il cammino spirituale, formativo e teologico nel Seminario Regionale di Chieti, sono stato ordinato sacerdote un anno prima del tempo, a 24 anni, e per questo il Vescovo dovette richiedere la dispensa che solo il Papa può concedere. Mi venne data l’opportunità di scegliere in quale data voler essere ordinato, e io non esitai a scegliere il giorno della festa della Natività della Madonna, che ricade sempre l’8 settembre, con l’intento di donare e affidare alla Madre di Dio il mio ministero e la mia vita sacerdotale. Proprio a Lei che mi aveva accompagnato dall’albeggiare della mia vocazione, e sempre continua ad accompagnarmi, con la sua maternità insuperabile. Da quel giorno non so dire quante volte le ho ripetuto una invocazione latina a me cara: “Iter Mater dirige”, o Madre guida tu il cammino.
Come sia nata la percezione della chiamata alla consacrazione sacerdotale non saprei dirlo, e a chi me lo chiede so solo rispondere se lui sa dire perché un giorno ha iniziato ad amare la persona del cuore giungendo a sposarla. Posso dire che il desiderio di diventare prete affonda le sue origini in me fin dall’infanzia, con vari intervalli nell’adolescenza e prima giovinezza, per poi diventare forte e deciso senza più ritorni a 19 anni. Lo devo alla vita della Parrocchia di appartenenza, ai sacerdoti che vi si sono succeduti, alla guida e al consiglio dei padri spirituali dai quali sono stato accompagnato, dall’esempio di tante belle testimonianze sacerdotali che ho potuto incontrare, come pure dalla gioia che mi trasmettevano alcuni amici che già erano in cammino nel Seminario, e non ultimo alle preghiere di tante persone che mi incoraggiavano e sostenevano nel compiere il passo fino al giorno dell’ “alea iacta est”, per dirla con Giulio Cesare quando oltrepassò il Rubicone.
- Ci sveli la bellezza di una vocazione al servizio degli altri.
Certamente si tratta di una scelta di vita che non fa tendenza, che va piuttosto controcorrente, ma proprio questo riesce a far interrogare i giovani e a far scoprire ad essi come nella vocazione alla vita di consacrazione si troverà la perla nascosta, il tesoro della vita sotterrato nel campo, se è quello che vai cercando e che Dio progetta per la tua vita. “Se è così per lui, perché non può essere anche per me” si domandò sant’Agostino, all’inizio della conversione, restando affascinato dalla vita del vescovo Ambrogio di Milano. Credo che non ci siano strategie o metodi, ma ci voglia la testimonianza spontanea e feriale della gioia e della convinzione libera e ferma di essere prete per la Chiesa e per il mondo, nella certezza che da parte sua il Signore nel chiamarti a far parte dei suoi ministri, ti ha fatto un dono tale che il tuo cuore oltre non può desiderare, proprio perché Egli ti ha donato quanto di più non potrebbe dare a un uomo qui sulla terra.
- Montesilvano è la sua città, ce la racconti con i suoi occhi.
Sono nato a Montesilvano nel 1966 e posso dire di averla vista crescere sempre più vertiginosamente, al punto che un po’ rimpiango, e come me credo siano in tanti, l’ambiente immediato e spontaneo che caratterizzava i rapporti tra le famiglie e le persone, il fatto che bene o male quasi tutti ci si conoscesse, la scomparsa di alcuni luoghi ai quali erano legati i ricordi soprattutto della fanciullezza e delle compagnie di gioco. La crescita demografica ha necessariamente allentato e diluito tutte queste dinamiche sociali: sono sorti diversi quartieri e strutture di pubblici servizi e utilità, Montesilvano poco prima che diventassi sacerdote venne dichiarata Città dal Presidente della Repubblica. Ma condivisi un’osservazione intelligente che venne subito fatta: si fa presto a cambiare nome, ci vuole tempo a divenire realtà. Alla nostra Città serve un cuore che la raccolga e la unifichi nella sua disomogenea popolazione (si contano oltre cento nazionalità tra i suoi residenti), un’identità che non può prescindere dalla sua storia ed evoluzione, un ancoraggio nella nostra cultura d’Abruzzo saggia e solidale, una sensibilità e promozione cultura per la crescita e la promozione dello sviluppo integrale della persona, e non solo la corsa al profitto e alle percentuali quantitative per ostentare un vero progresso. In questo le Parrocchie presenti nella Città concorrono con le loro attività di incontro, di educazione cristiana, di promozione dei valori della persona e della famiglia, di sensibilizzazione e volontariato alle situazioni di disagio e di precariato. Non si costruisce una realtà stabile che sappia affrontare le sfide del futuro con la facile tentazione di dare un colpo di spugna a quell’identità che ci viene da quanti ci hanno preceduto nel passato. Credo faccia bene a tutti rileggere il celebre aforisma del filosofo francese Bernardo di Chartres: Siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l’altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti.
- Un suo commento all’enciclica “Laudato si” di Papa Francesco.
E’ stata universalmente salutata con entusiasmo e apprezzamento. Il nocciolo dell’insegnamento papale che vi è racchiuso sta nella riflessione su quell’opera di ecologia del cuore che deve compiersi nell’uomo: da essa infatti parte la coscienza rinnovata di custodire la bellezza e l’integrità della persona e del creato, se a livello planetario la società e le politiche che la conducono si liberano dalla sete sfrenata di egoismo, di capriccio ad ogni costo, di avidità, di profitto, di onnipotenza. Da questo si potranno finalmente rimuovere le cause dell’inquinamento della vita umana, del mondo morale e naturalistico che la circonda, compresa la nostra cara Città.