Ricordo di Marco Tornar

Ricordo di Marco Tornar

di Marco Tabellione

Tre anni fa moriva improvvisamente Marco Tornar, insegnante, intellettuale, musicista, ma soprattutto poeta. Anzi uno dei maggiori poeti nazionali contemporanei. Tanto che giustamente, il quotidiano Il Centro, dando la notizia della morte, la intitolò: “Pescara piange il suo poeta”. Eppure per circa vent’anni Tornar non pubblicò opere di poesia. E a chi gli chiedeva come mai, rispondeva: “Non posso perché non vivo più poeticamente”. Era un modo, originale, come spesso era il suo linguaggio anche corrente, di accennare alla disillusione che egli nutriva circa il destino della civiltà contemporanea. Una decisione quella di non pubblicare più poesia, contraddetta dall’uscita negli ultimi anni dei Sonetti dell’amor sacro, opera poetica nella quale Marco recuperava il ritmo e il genere del sonetto in chiave moderna. Tuttavia tra le sue ultime pubblicazioni un posto speciale merita Lo splendore dell’aquila nell’oro del 2013, perché pur essendo un romanzo storico, contiene tanti e tali riferimenti al potere politico e al suo ruolo da dover essere considerato un libro sempre attuale.

Certo, in poche righe mettere mano e pensiero all’intera opera di uno scrittore, e soprattutto di un poeta scomparso da poco, non è opera semplice, ma per Marco Tornar occorre farlo subito, prima che la dimenticanza cominci a rendere tutto più difficoltoso. L’opera di Marco Tornar va considerata innanzitutto come una grande opera poetica, anche se, come detto, l’autore non ha sempre utilizzato la forma stretta della poesia. Quello di Tornar infatti è un mondo poetico che ha trovato varie forme di espressione, anche extra-letterarie, persino la musica.

Così di fronte a tale complessità di opera e pensiero, in attesa di monografie più dettagliate, diviene indicativo anche per un giornale come Il Sorpasso confrontarsi con l’idea che Tornar aveva del potere politico e dunque con il suo ultimo romanzo. Si tratta di un romanzo ovviamente impegnativo, colto, un romanzo storico addirittura impostato sul nome più grande della letteratura italiana, Dante, e sulla venerazione che il poeta della Divina Commedia ebbe per l’imperatore Arrigo VII. Un’opera impegnativa in cui Tornar ha messo tutta la sua sagacia storica, ma anche un romanzo ideologico, e politico, in cui il poeta abruzzese affronta il cruciale dilemma del rapporto tra potere e cultura. Un argomento di sconcertante attualità. Quello del ruolo di chi comanda era il grande dilemma di Dante, affascinato dalla figura di Arrigo VII, probabilmente poi assassinato, che secondo lui poteva costituire un esempio di potere assoluto illuminato. Il romanzo di Tornar dunque non è solo un romanzo, ma quasi un programma culturale e ideologico.

Insomma l’ultima opera narrativa di Marco si presenta, sotto le righe, quasi come un testamento ideologico. Un testamento ideologico in cui si nota l’anima libertaria dello scrittore abruzzese. Ma l’impeto letterario del poeta pescarese non è un grido fine a sé stesso, di semplice sfogo, è una costruzione ben ponderata e pensata. C’è dentro l’idea che il potere può essere eliminato nelle sue conseguenze deleterie per gli individui, solo educandolo. Ed era anche l’idea fondamentale di Dante. La speranza, o meglio la convinzione, che vi potesse essere un potere, nel caso quello imperiale, in grado di dominare non per stesso ma per i sudditi. Come si sa, le speranze di Dante furono deluse, ma quell’esperienza, quell’illusione avrà il merito di partorire altre illusioni nel futuro. Un potere assoluto ma saggio e illuminato, in grado di governare per il bene dei sudditi e non suo o della cerchia aristocratica.

Ciò dimostra che quello di Tornar è anche un libro politico, e non semplicemente erudito. Del resto, con questo romanzo Tornar costruisce una complessa architettura intellettuale che conclude il percorso iniziato con Claire Clermont del 2010. Anche questo è un romanzo storico, ma legato a tutt’altro periodo e a una filosofia di fondo che sembra diversa, ma in realtà si rifà al plafond intellettuale che Tornar è andato maturando negli ultimi anni della sua attività di scrittore. La difesa degli ideali romantici avviene in questo romanzo alla luce delle ingiustizie subite da Claire Clermont, da parte di Lord Byron, che non solo la ripudiò come compagna ma le sottrasse anche il figlio che avevano in comune. Nonostante Byron sia stato uno degli eroi del romanticismo, il romanzo di Tornar vede la storia dal punto di vista della donna, anche se non per questo rinuncia a trattare il romanticismo in senso lato.

Claire Clermont comunque completa sentimentalmente il quadro teorico e politico dell’Arrigo VII. Il romanticismo da una parte e l’idea di Dante di un potere illuminato dall’altro rappresentano sicuramente un rifugio per Tornar, lo spazio dell’utopia, del sogno confortante di un’umanità civile e progredita. Romanzi che dunque sono il risultato di un’evoluzione di pensiero, la conseguenza di un progetto ideologico che mira alla riconquista di un passato di civiltà e superiorità intellettuale. Dopo decenni di assenza questi romanzi testimoniano quindi la maturazione di un pensiero giunto ormai al compimento.

Una critica profonda alla contemporaneità emerge dunque da questi due romanzi. E quello che più fa male, al di là della perdita umana inconsolabile, è pensare ai futuri destini della poesia di Tornar, che mai più si realizzeranno. Un pensiero e una poetica quelli di Tornar che avrebbero potuto rivelare ancora molti segreti, segreti che tuttavia si possono ancora indagare nelle opere che di lui rimangono

Lascia un commento