IL NUOVO DELFINO PARLERÀ TEDESCO?

   di Ermanno Falco

Al momento di buttare queste considerazioni pre-estive ci sembra quanto mai problematico azzardare non dico certezze e affidamenti sicuri, ma neanche semplici supposizioni sul futuro prossimo della società di calcio che ufficialmente si chiama “Delfino Pescara 1936”.

Il sodalizio di gran lunga più illustre e seguito della regione, dopo aver concluso ingloriosamente una delle peggiori stagioni della propria storia, non ha sinora (fine maggio ’24) fornito alcuna indicazione sulle scelte che pur dovrà effettuare circa il programma sportivo della stagione 2024-2025.

Parliamo ovviamente “in primis” della guida tecnica, ma anche delle strategie di mercato che di quella sono o dovrebbero essere le dirette, conseguenze e soprattutto della proprietà della baracca con annessa struttura finanziaria dalla cui consistenza dipendono in ultima analisi scelte tecniche e strategie operative.

Dopo una estenuante e a tratti farsesca telenovela sulla ventilata vendita della società a misteriosi acquirenti di volta in volta americani, tedeschi e perfino…italiani, quello che rimane alla vista dei tifosi, tolto il fumo dei rumors e delle studiate suggestioni a mezza bocca, è unicamente la stanca prospettiva di una ennesima novazione dell’attuale assetto societario, con tutte le precarietà e i limiti che anni di decadenza e frustrazione hanno ampiamente evidenziato.

Non è possibile né corretto, se mai lo sia stato, continuare di fatto a prendere in giro chi si aspetta la restituzione del calcio cittadino al rango che gli spetta se ogni anno vengono bruciati allenatori e relativi progetti tecnici su cui si era messa la mano sul fuoco e regolarmente ceduti i pezzi migliori che avevano tenuto a galla la squadra.

I miracoli nel calcio possono capitare una, due volte, magari grazie a fortunate congiunzioni di fattori positivi, ma non sono affatto una regola né si possono pretendere senza un minimo di coerenza e lucidità d’intenti. Ed è giusto che sia così, data l’ormai conclamata alta professionalizzazione dello sport professionistico in tutte le sue branche.

Qualcuno obietterà che la società è cambiata, che passare il pomeriggio di domenica allo stadio per tifare la squadra del cuore non è più l’unico trastullo “normale” per chi, avendo lavorato per tutta la settimana, ha diritto e al tempo stesso il bisogno di superare la propria finitezza “feriale” per costruirsi un’identità diversa, più aderente al recondito crogiolo delle proprie passioni e valori.

Giusto, per carità, ma è anche vero che la rinuncia ad occasioni in cui la comunità si ritrova a perseguire e condividere il sogno di un successo e a celebrarlo una volta ottenuto, produce il rischio di appannare il senso di appartenenza insieme a quello di un eccessivo e troppo prolungato isolamento personale.

Ovunque si ha bisogno di innalzare e custodire i segni tangibili di adesione ad una storia comune e ad un progetto che animi e contraddistingua una popolazione ed il suo territorio. Ci sono città antiche che per la loro storia conservano alla perfezione i propri tratti identitari sedimentati nel tempo attraverso guerre, disastri, patimenti di ogni genere; altre, come Pescara, così giovani che hanno bisogno di simboli moderni, come può essere una bandiera sportiva, per riunire e dirigere energie vitali verso obiettivi comuni di prestigio e affermazione.

Ecco spiegato perché, dopo anni di apparente rassegnazione dovuta alla retrocessione in C e a tre campionati abbastanza deludenti , se si escludono i play-off della primavera 2023 con il raggiungimento della semifinale scriteriatamente regalata al Foggia, la piazza ha ormai rotto gli indugi e non passa giorno che nei social e nei mezzi d’informazione non vengano lanciate veementi accuse verso una guida societaria che al momento appare incerta e indecisa riguardo alla programmazione del campionato che bussa alle porte.

La mobilitazione corre per la città e si propaga anche agli ambienti più “morbidi” e moderati, tra persone che, pur consce delle immani difficoltà rappresentate dalla gestione di una società professionistica di terzo livello, non perdonano, agli attuali dirigenti ed in particolare al presidente Daniele Sebastiani, la limitatezza delle risorse finanziarie che condizionano in basso ogni strategia di mercato, nonché evidenti errori di valutazione tecnica che hanno prodotto l’avvicendarsi di ben sei allenatori in tre tornei ed una vorticosa giostra di giocatori che in questi anni di purgatorio (o inferno?) non ha consentito quel minimo di continuità che è indispensabile ad un serio progetto di squadra finalizzato al ritorno nella serie cadetta.

Risultato: il progressivo allontanarsi dalla propria squadra di un pubblico che in passato aveva rappresentato a più riprese l’arma in più del Pescara e che veniva ammirato e invidiato anche in città più grandi e dal maggiore blasone calcistico.

Alla latitanza della massa della tifoseria tradizionale, resa inesorabilmente evidente dai paurosi vuoti di uno stadio scenico ed ampio come l’”Adriatico-Cornacchia”, si sono aggiunti nelle scorse settimane e segnatamente dopo l’eliminazione dai play-off gravissimi ed intollerabili atti di dispregio ed intimidazione nei confronti di Sebastiani, culminati nell’esposizione presso l’ingresso esterno della curva nord di uno striscione raffigurante una bara con esplicito augurio di morte.

Per fortuna l’irritazione degli sportivi sembra da ultimo aver preso la strada della civile contestazione, portata avanti con accesa determinazione ma entro i binari del corretto confronto di idee tra componenti tutti importanti e rispettabili di una comunità che deve tendere alla concordia e al bene comune.

Lo dimostra l’affollata e civile assemblea tenutasi sempre presso il piazzale esterno dello stadio giovedì 30 maggio, nel corso della quale si è rinnovato in forma assolutamente urbana l’invito al presidente a farsi da parte, esteso al direttore sportivo Delli Carri, considerato corresponsabile del fallimento tecnico della stagione appena conclusa.

L’impressione è che si vada in direzione di una rimodulazione lenta e graduale, piuttosto che verso una rivoluzione rapida e “tranchant”, con un percorso strategico che, come prima cosa, metta in sicurezza la prossima stagione iscrivendo per tempo e correttamente la squadra al campionato 2024-2025. Dopo di che saranno vagliati con l’attenzione necessaria le non tantissime manifestazioni d’interesse (intese non necessariamente in senso tecnico) che dovessero pervenire da soggetti italiani o stranieri che fossero. Quindi si procederà ad accogliere la proposta più seriamente affidabile in funzione, si spera, delle aspettative di crescita dell’ambiente sportivo e dell’intera città.

In questa prospettiva un ruolo non marginale dovrà essere svolto dall’amministrazione comunale e dal sindaco che usciranno dalle elezioni amministrative dell’8 e del 9 giugno, i quali, nei limiti delle proprie competenze, avranno il dovere di vigilare affinché si garantiscano le scelte più utili e gradite all’intera comunità dei cittadini.

Nelle ultimissime ore sembra assumere maggiore consistenza l’ipotesi acquisitiva del gruppo tedesco di cui si parla già dalla metà di aprile. Le prossime settimane ci diranno se si tratta della soluzione finale o dell’ennesima voce messa in giro per alimentare le (sfiatate) speranze dei “ supporters” del Delfino.

Senza voler mettere fretta a nessuno va comunque messo in evidenza come il prossimo campionato bussi alle porte e che, data per certo la conferma dell’inserimento nel girone B di Lega Pro, l’impegno si preannuncia ancora più gravoso di quello dell’anno scorso. Dovremo infatti confrontarci oltre che con quelle compagini che quest’anno ci hanno rifilato più di un dispiacere, come Torres, Perugia, lo stesso Pineto e compagnia cantante, anche con illustri retrocesse verso cui corre una rivalità antica, come Ternana e soprattutto Ascoli, nonché con neopromosse dalle non celate ambizioni, come Carpi e Campobasso.

C’è bisogno urgentemente di una svolta, e pazienza se dovremo imparare qualche lingua straniera

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