Giuseppe Ungaretti (prima parte)
di Gabriella Toritto
Hanno scritto di lui: “Distrusse il verso per poi ricomporlo (…). Tutta la musica della poesia ungarettiana, nelle sue infinite modulazioni, si sprigiona da questo suo farsi graduale, da quest’ascoltazione sempre più all’unisono col proprio animo, di cui le varianti e rielaborazioni sono la storia illustre. Nel distruggere il verso, nel cercare i nuovi ritmi, prima di tutto mirò alla ricerca dell’essenzialità della parola, alla sua vita segreta; e, com’era necessario, a liberare la parola da ogni incrostazione sia letteraria sia fisica” (Giuseppe De Robertis)
“Accogliendo lo sperimentalismo espressivo di una generazione – dai crepuscolari ai futuristi ai vociani – Ungaretti cerca una nuova ‘innocenza’ anche nella parola. La sintassi e la metrica vengono frante per lasciare emergere la parola come evocazione pura, invenzione del mondo umano; la sillabazione rallentata prende il posto delle cadenze metriche tradizionali, isolando una singola parola, a volte una semplice preposizione come ‘di’, e creandole intorno una vibrazione di canto, un nuovo spazio e un nuovo tempo, un senso totale di verità” (Mario Pazzaglia)
Le origini della poesia di Ungaretti sono sbocciate in piena cultura parigina d’anteguerra. Pertanto risentono la crisi del tempo e dei tentativi di rinnovamento che vi furono in ogni campo.
Le poesie di Ungaretti sono pubblicate fin dal 1915 e in esse troviamo l’influenza di Apollinaire, di Palazzeschi, di Baudelaire, di Mallarmé. Il poeta si avvicina ai grandi autori perché li sente ideologicamente a sé i vicini. Intendono sprovincializzare la lingua e la cultura italiana, ribellarsi all’oratoria dannunziana, al pascolismo di maniera e all’accademia carducciana e Ungaretti è dello stesso parere. Nelle prime poesie troviamo un’inquietudine, una nostalgia, i segni di una fuga, di un rimpianto, rintracciabili nella vaghezza del linguaggio. Nelle poesie palazzeschiane vi è invece l’ironia, lo sberleffo, che poi sono abbandonate per un’immagine isolata e per dare alla parola i suoi valori suggestivi.
Fin dai suoi primi versi si scorge il segno, la sorte della sua stagione lirica; non formule quiete, né imitazioni, ma una forza, una capacità espressiva unica e un’agghiacciante, sbalorditiva capacità di illuminazione. Chiunque legga per la prima volta Ungaretti, come Thomas Merton, dirà che il poeta è sconvolgente per la sua forza espressiva e che la sua intensità annienta.
Giuseppe Ungaretti inizia poeta all’età di 25, 26 anni, nel 1914, in Francia. Le sue prime due poesie sono pubblicate su Lacerba (rivista letteraria fiorentina fondata il 1º gennaio 1913 da Giovanni Papini e Ardengo Soffici), ma secondo ciò che lo stesso Ungaretti dice la sua vena poetica si era rivelata già nei tempi scolastici. -Egli parlava sempre di una poesia scritta in Egitto per un suo amico, cui era legato pateticamente. – Nonostante i numerosi lavori tuttavia non è stato trovato nulla di quelle poesie, peraltro anche pubblicate sui giornali di Alessandria. Dato che si inizia poeta in Egitto, senz’altro già in quei primi versi sono presenti i caratteri finiti, decisi del poeta di razza.
La sua poesia nasce sui generis, lontana dalla crisi in cui incorre la nostra letteratura, lontana dalle influenze dannunziane o dal pascolismo di maniera, dall’accademia carducciana e dal crepuscolarismo. La sua poesia, senz’altro subisce delle influenze, specialmente quelle dei poeti maledetti: Mallarmé, innanzitutto, Baudelaire, Apollinaire. Studia molto Leopardi, che lo aiuta ad inserirsi nella tradizione italiana. Di Leopardi dice che era un cristiano che vedeva in ogni cosa la traccia della colpa, inesplicabile poiché in lui la fede nella risurrezione era muta, mentre nella sua poesia aveva eloquenza la vista della corruzione che sovrasta l’umanità.
La sua poesia resterà per sempre unica per intensità espressiva e capacità di illuminazione, lungi da ogni infiltrazione o influenza.
La poesia di Ungaretti è viva ed evocativa; la sua lingua: parlata, popolare. Il poeta si rende conto della crisi che la nostra letteratura attraversa agli inizi del 1900, poiché essa è ormai satura, esaurita.
Studia profondamente i maggiori della sua patria tanto amata. Intuisce che la nostra letteratura deve essere rinnovata da una nuova linfa vitale che egli identifica nella parola e nella forma. Contrariamente ai poeti del Romanticismo egli sostiene che è molto importante la forma, che la parola deve essere fortemente espressiva per poter far trapelare lo stato d’animo del poeta. Forma e contenuto sono per Ungaretti entrambi importanti poiché la prima (la forma) serve per rendere viva e rivelare il secondo (il contenuto).
Ungaretti deve lottare molto per essere accettato. All’inizio è deriso, schernito per la sua poesia da coloro che non la intendono. Molto spesso gli viene rimproverato la sua metrica spezzata come reazione volontaria all’accademia, all’oratoria dannunziana. Niente di tutto ciò! Quello che egli scrive è sotto dettatura. È dettato dal suo intimo, dal suo cuore! Molta ilarità suscita la sua bellissima poesia “Soldati”: “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”.
- È stato un grandissimo uomo, sensibile, signorilissimo, umano, umile. Nel 1968 compiva 80 anni e durante le onoranze che gli venivano tributate al Campidoglio dal governo italiano egli dichiarava: “Non so quale poeta io sia stato, ma so di essere stato un Uomo, di aver molto amato, molto sofferto, di avere qualche volta errato, cercando di rimediare, di non aver mai odiato!”
- Leone Piccioni che ha scritto su di lui cose mirabili, lo ha conosciuto come un allievo conosce un maestro. Lo ha visto mentre il demone della poesia lo possedeva. Allora, in qualsiasi posto, il poeta Ungaretti ansimava, smaniava, soffriva anche gridando come in un parto lacerante, doloroso. Ovunque aveva momenti d’ispirazione: sul fronte, a casa, in viaggio.
Si forma come uomo alla “Baracca Rossa” di Alessandria, assieme a Enrico Pea. Vede anarchici, sente aiuti da dare, attentati da preparare, vede un coraggio mai pensato e un individualismo esasperato. Lì comprende che il mondo, gli uomini hanno sete d’amore; lì vede un’umanità sofferente. E da allora, ogni volta che deve compiere qualcosa, si butta a capofitto con tutto l’amore, il coraggio, l’entusiasmo possibile, pronto a soffrire, a pagare di persona. È colpito da compagni angoscianti, continuamente turbati da un’insoddisfazione intima, interiore, uomini che non hanno una terra madre, una patria, o che sono costretti a viverne lontani, senza poter far nulla per la propria terra natale, perché fuoriusciti, esiliati. Nella sua poesia tornano sempre i temi dell’amore, del dolore, della fratellanza, della dimensione del dubbio; così come sono evocati i paesaggi, quelli dell’Africa, quelli vissuti da fanciullo e mai dimenticati.
Nasce ad Alessandria d’Egitto il 10 febbraio del 188. I genitori, lucchesi, emigrano in terra d’Egitto in occasione dei lavori per la costruzione del Canale di Suez. Suo padre è operaio. Di famiglia cattolica, è educato e formato presso una scuola religiosa, la più prestigiosa della città d’Alessandria. Rimane orfano di padre in tenera età ed è la madre a prendersi cura di lui assieme all’amata balia croata, Dunja. Nel 1912 si reca a Parigi dove conosce i più grandi artisti del tempo: Modigliani, De Chirico, Picasso, Papini, Palazzeschi, Baudelaire, Mallarmé, Apollinaire di cui diviene grande amico. Si iscrive alla Sorbona di Parigi dove frequenta le lezioni di Henry Louis Bergson, uno dei più importanti filosofi, pensatori del ‘900.
Non completa gli studi universitari, poiché, scoppiata la Grande Guerra (1914), ventiseienne, nel 1915 si arruola volontario nel diciannovesimo Reggimento di fanteria sul Carso, in Italia, come soldato semplice. È lì, sul Carso, che inizia a scrivere un Taccuino dove annota le sue poesie, poi raccolte in “Porto Sepolto”. Successivamente con lo stesso Reggimento si sposta a combattere sul fronte francese a Champagne. Del luglio 1918 è la poesia “Soldati”, composta nel bosco di Courton. (segue)
Fonti: “Giuseppe Ungaretti” di Folco Portinari, Ed. Borla, Torino
“Vita d’un Uomo” di Giuseppe Ungaretti, Arnoldo Mondadori Editore
“Le patrie della poesia. Ungaretti, Bergson e altri saggi” di Rosario Gennaro, Firenze, Cadmo, 2004.