Dalla fantasia al potere del ‘68 al potere immateriale dei social
di Elio Fragassi (http://www.webalice.it/eliofragassi/)
Mentre leggevo questo passaggio dell’Editoriale: “Il labile confine tra finzione e realtà” de “Il Sorpasso” del 28 gennaio 2019 “Stiamo capitolando di fronte alla semplificazione del messaggio veicolato sui social, forse perché non siamo più in grado di gestire la complessità o forse perché non possediamo più gli strumenti della dialettica e del confronto tra tesi differenti?” mi è tornato alla mente una mia riflessione del 2008 sulla rivoluzione informatica dal titolo: “Computer, coltello, tizzone e fantasia” che mi piace riportare e rileggere con un pensiero più attuale anche alla luce della grande diffusione dei social quali Facebook del 2004, Twitter del 2006, Instagram del 2011 ecc.
“Il tempo che stiamo vivendo custodisce, nel suo cuore e nella parte più interna del suo nucleo, una rivoluzione silenziosa che, man mano, si espande in ogni dove: la rivoluzione tecnologica. In particolare, in questo caso, mi riferisco a quella dell’informazione e della comunicazione o meglio la rivoluzione informatica o digitale.
Questa rivoluzione che investe, spesso senza che ce ne accorgiamo, la nostra vita, il nostro spazio, il nostro tempo, i nostri sentimenti, la nostra mente è una rivoluzione talmente profonda che sconvolgerà, al termine, il nostro pensiero se non saremmo vigili e capaci di governarla perché, proprio per le sue caratteristiche di a-spazialità ed immaterialità, è in grado di penetrare in ogni dove, ed in profondità, anche in modo subdolo, senza farsi notare evitando, così, che ci si accorga della sua invisibile infiltrazione.
Se giudichiamo con termini e valutazioni inesatti o impropri il prodotto di questa rivoluzione operata dalla macchina computer, commettiamo un gravissimo errore che ci porterà ad essere succubi (già molti di noi, oggi, lo sono dell’automobile) della macchina stessa perché essa, pare, riesca a fare cose meravigliose ed inimmaginabili, quasi magiche, per mezzo della cosiddetta “convergenza digitale” mediante la quale immagini, suoni, colori, staticità, dinamismo, spazio, tempo, reale e virtuale, astratto e concreto, ecc. trovano completo e totale spazio espressivo.
Per queste caratteristiche Artur C. Clark, l’autore di “2001 Odissea nello spazio”, affermava, nella sua terza legge, che: “Qualsiasi tecnologia abbastanza avanzata è indistinguibile dalla magia”.
Ed ancora oggi, per moltissimi il prodotto del computer è “magia”.
Questo è, a parer mio, l’atteggiamento più sbagliato verso questo (e non solo) strumento tecnologico, perché ci poniamo in una posizione di sudditanza verso la macchina stessa, posizione che tende, sostanzialmente, ad “umanizzare “ la macchina: cliccando qui lui ti esegue…, la macchina ti fa…, dagli questo comando e…, ed a “macchinizzare “ l’individuo: basta premere un tasto e…, premi invio e…, clicca sul pulsante destro e si apre…, clicca…e …
Oggi non saremmo in grado di farci un panino se qualcuno non inventava il coltello. E di coltelli ne abbiamo una infinità di modelli.
Ma con il coltello possiamo anche sgozzare un nostro simile.
Quindi il problema non è nella tecnologia ma nell’uso che l’uomo ne fa.
Io non sono contro la tecnologia ma contro ogni forma di abuso, contro ogni forma di eccesso, contro un uso stupido e stolto, [“Internet? Ha dato diritto di parola agli imbecilli: prima parlavano solo al bar e subito venivano messi a tacere” Umberto Eco] quindi potenzialmente pericoloso (come per un coltello), contro ogni forma di delega in bianco alla tecnologia, contro ogni riconoscimento di “dominus” in questa società avanzata.
Penso, in questo momento, ai nostri antenati cavernicoli (perdonatemi l’esempio ma mi è utile per la distanza temporale). Per essi il tizzone che utilizzavano per disegnare gli animali sulle pareti delle caverne era un mezzo tecnologico di importanza vitale. Esso era lo strumento mediante il quale potevano disegnare, quindi studiare e conoscere, gli animali da cacciare. Il tizzone era il mouse con il quale fissavano l’immagine della preda da abbattere per sopravvivere. Infatti la tecnologia, come prodotto dell’uomo, ha come scopo fondamentale quello di facilitare la vita come negli esempi del coltello e del tizzone e non di complicarla o mortificarla; di liberare tempo all’esistenza e non di occupare il tempo della nostra vita.
Per questo non accetto che al supermercato la signorina che vende il pane me lo affetti per farmi fette tutte dello stesso spessore. Perché togliermi quella soddisfazione, innata e primordiale, di affettare il pane delegando a questo lavoro –piacevole e non faticoso- l’affettatrice elettrica come mezzo tecnologico!
Ecco, quindi, perché ritengo errato, nel rapporto uomo-tecnologia, questa passività verso gli aspetti inutili e futili che si sostanzia in una delega in bianco verso le diverse espressioni tecnologiche. Ed è qui, in questa eccessiva enfatizzazione dei subdoli ed ingannevoli aspetti a-spaziali ed immateriali (che ci attraggono per la loro magicità) l’errore che può condurre ad umanizzare la macchina ed a macchinizzare l’uomo.
Il panino, infatti, posso farlo anche senza il coltello aprendo con le mani un pezzo di pane o una rosetta. Certo, non saranno fette tutte uguali, tutte dello stesso spessore e adatte a contenere in modo uniforme il companatico, ma mangerò lo stesso.
La tecnologia ha fallito e fallisce ogni volta che dimentica che l’uomo è “fantasia” e cerca di illuderlo con le favole che sembrano “magia”. Per dirlo con D’Annunzio fallisce ogni volta che dà vita a “la favola bella che ieri m’illuse, che oggi t’illude”.
Pensiamo a Osama bin Laden l’introvabile, nonostante l’impiego delle risorse tecnologiche più sofisticate, pensiamo alla comunicazione mafiosa mediante i pizzini o, tecnologicamente peggio, al Mars Orbiter schiantatosi su Marte a causa dello scontro tra “piedi” e “metri”.
Vorrei completare questa riflessione di aggiornamento con quanto si legge nello stesso editoriale: “A me pare si stiano utilizzando gli strumenti di comunicazione di massa e nello specifico i social, in modo improprio. Essi sono utilizzati per veicolare immagini e messaggi semplificati che colpiscono l’immaginario di molti e contribuiscono a creare questo alone di divinità a dei personaggi, che in realtà, non sono in grado di elaborare analisi complesse che tengano conto delle tante variabili in gioco nel governo di una comunità”.