La partita di calcio – parte 9/10 – Quaggiù il cielo è più vicino
Quaggiù il cielo è più vicino
Parte nona di Dieci – La partita di calcio
di Emilio Pirraglia
Sentirono bussare alla porta in metallo, un paio di colpi, poi una voce familiare che chiamava Alessandro. L’uomo cercò di liberarsi dalla zanzariera, si era addormentato. Si mise a sedere sul letto e si stropicciò gli occhi, sbadigliò e chiamò con voce roca il compagno, doveva essere pomeriggio inoltrato. Il sergente gli comunicò che non stava dormendo e si mise anche lui seduto sul letto, di fronte al suo amico. Si passò una mano dietro la nuca e annuì, si ricordò che si erano messi d’accordo con Paco per andare a vedere la partita di pallone. «Un momento!» gridò Alex. Si alzò, cercò le sigarette che aveva lasciato sul tavolo, si ficcò in tasca qualche banconota e si rimise le scarpe da trekking di pelle marrone con inserti neri, il cui odore aveva invaso la stanza. Uscirono e seppero da Paco che il campo distava una decina di minuti a piedi. Il campo era nient’altro che una valle accidentata, con alle due estremità due porte in ferro arrugginite; nel mezzo pascolava pacifica una vacca. Il perimetro era affollato di ragazzi e ragazze che parlottavano fra di loro, Paco era uno dei giocatori. Gli spiegò che ogni settimana si sfidavano le due parti del paese e che era molto importante vincere per non essere presi in giro durante la settimana. Gli fece cenno di seguirli, perché le tifoserie erano ben distinte le une dalle altre. Raggiunsero l’altro lato del campo dove fervevano i preparativi della partita. Vicino alla zona correva un piccolo ruscello maleodorante; Alex e il sergente si procurarono un paio di pietre lisce dove sedersi. Stiracchiarono le gambe, l’effetto del lungo viaggio in auto si faceva sentire ancora. Arrivarono alcuni ragazzi, alti e muscolosi, con dei sandali di plastica trasparente ai piedi. Alex tirò indietro i piedi per non dare l’impressione di sfoggiare le sue scarpe da trekking. Il sergente indicò dall’altra parte del campo e Alex, con meraviglia, vide che c’era un gruppo di quattro ragazze bianche, accovacciate a guardare la partita. Alessandro fece un cenno a Paco e gli chiese chi fossero; lui rispose che facevano parte di una specie di istituto che studiava i babbuini, erano spagnole. C’era una vena di disprezzo nella sua voce. Arrivò un ragazzo sopra una moto che doveva avere una trentina d’anni: portava un fusto di plastica da venticinque litri (di quelli che si usano per il gasolio), pieno di acqua. Parcheggiò accanto ai due bianchi e Paco iniziò a distribuire acqua ai ragazzi. Alessandro guardava incuriosito la scena e la guida gli spiegò, credendo forse che avesse sete, che gli uomini bianchi non potevano bere quell’acqua perché gli avrebbe causato malattie, ma quelli del paese erano ragazzi abituati. Il sergente sorrise a quelle parole, soffermando lo sguardo sulla sclera giallognola degli occhi di Paco.
Dall’altra parte del campo qualcuno azionò un generatore di corrente e poco dopo una musica dance anni Novanta invase l’ambiente; qualcuno andò a spostare la vacca dal rettangolo di gioco. Si accese una mischia su chi dovesse scendere in campo per primo, poi la partita ebbe inizio. Due mandrie che si scontravano: ecco l’idea che ebbero Alex e il sergente osservando la partita. Se all’inizio avevano pensato di chiedere di poter partecipare al gioco, la fantasia gli passò subito dopo che ebbero notato che si giocava duro. I giocatori si falciavano da dietro e si scontravano senza esclusione di colpi, qualcuno ci metteva anche tempo a rialzarsi, ma nessuno se ne curava. Se la palla andava a sinistra andavano tutti a sinistra e se andava a destra tutti andavano a destra. Era difficile capire chi stava con chi. Il tifo era esacerbato, ragazzi e ragazze gridavano verso il pallone e i giocatori, mettendosi le mani nei capelli quando un’azione si concludeva con un quasi gol. Parecchie volte qualcuno doveva andare a cercare la palla in mezzo ai cespugli. Il sole iniziava ad abbassarsi verso l’orizzonte, la partita finì. Paco li raggiunse madido di sudore, con le gambe impolverate. Si avviarono per far ritorno al villaggio di Manuel, passando davanti al gruppetto di ragazze bianche e quelle corrucciarono la fronte alla vista dei due. Alessandro si fermò d’istinto e gli fece un cenno di saluto, quelle non ricambiarono, ma si avviarono anche loro verso il villaggio. Il sergente si mise a discorrere con Paco del perché le capre che gironzolavano in giro avessero un bastone di traverso appeso al collo. La guida gli spiegò che era per evitare che entrassero nelle capanne. Alessandro era rimasto indietro, aveva avuto difficoltà ad attraversare il ruscello. Si sentì tirare per la manica. Una delle ragazze spagnole gli si era fatta sotto e a bassa voce gli chiese: «Siete alloggiati da Manuel?». Alessandro la scrutò in viso e accennò a un sorriso. «Sì – rispose candido –. Perché me lo chiedi?». Lei guardò Paco, che si era lasciato sfuggire un’occhiata nella loro direzione, poi a bassa voce: «Attenti a quello che vi offre Manuel!», quindi rallentò il passo per unirsi alle sue compagne. Paco, Alex e il sergente raggiunsero il villaggio di Manuel parlando della partita. Quando furono nella capanna Alex raccontò l’accaduto al sergente, che seduto sul letto: «Per come la vedo io, Manuel deve essere una specie di sindaco del paese, comunque qualcuno che conta». Anche Alessandro si sedette sul suo letto per togliersi le scarpe, che iniziavano a dargli fastidio. «C’è qualcosa che non mi quadra – iniziò mentre cercava di sfilarsi uno scarponcino, senza aver allentato adeguatamente i lacci – la proposta di Manuel, così senza neanche conoscerci, mi puzza di bruciato». Il sergente guardò il suo amico e inclinò la testa: «Queste parole mi sorprendono da te. Tu che ti fidi sempre di tutti quanti!». Alex sorrise, poi continuò: «Prima di accordarci con lui dobbiamo scoprire qualcosa in più. Dobbiamo cercare di parlare con quelle ragazze spagnole». Il sergente si alzò: «Vado a prendere un secchio di acqua al pozzo, dovrebbe essere qui vicino, almeno così mi ha detto Paco. Per me va bene, stasera dopo cena torniamo in paese e vediamo il da farsi. Se ci chiede qualcosa Manuel a cena, prendiamo tempo».
Fine parte nona di Dieci
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