La poliarchia e i poteri plurimi
di Marco Tabellione
Molti teorici, studiosi, filosofi, saggi che riflettono sul potere giungono spesso a definirlo come un male necessario, e non sono pochi coloro che osano spingersi anche più in là, considerandolo addirittura come un male non necessario. Mi riferisco ad esempio a Noam Chomsky, il linguista statunitense che negli anni Sessanta affiancò alla propria attività accademica una militanza intellettuale per i diritti civili, e fu tra i più accaniti contestatori, insieme al filosofo Marcuse, della guerra del Vietnam. Di recente è stato pubblicato un nuovo saggio su Noam Chomsky, definito da alcuni come l’intellettuale più importante al mondo. Nel rileggerlo non si può non sottolineare quella che è una delle sue considerazioni fondamentali: il potere politico andrebbe ridimensionato.
La sua proposta, elaborata nel corso dei decenni scorsi, a partire dagli anni Settanta, e difficile da esporre in brevi battute, si basa su un assunto di base in realtà molto semplice: i cittadini devono mirare ad autogestirsi il più possibile, per evitare l’oppressione del potere politico o, come nella società contemporanea, il proliferare della poliarchia, vale a dire la presenza di più poteri che finiscono per schiacciare sempre di più il singolo, dal potere finanziario a quello industriale, commerciale, e a tutte le altre micro-forme di dominio che si sono affiancate nella società postmoderna al potere politico, generando un mostro o una piovra i cui tentacoli hanno trovato nella globalizzazione il campo d’azione congeniale.
Naturalmente spesso questi poteri sono in lotta e tensione tra di loro, quando non sono alleati e coinvolti in azioni che consentono anche di cooperare. Un esempio lampante è quello del potere politico che accetta di collaborare con il potere bancario per evitare il tracollo di alcune entità private. Gli ultimi anni e mesi hanno visto in Italia molti casi del genere. La lotta e la cooperazione tra i poteri in gioco fa sì che oggi la forza coercitiva, che ha effettivamente peso sul singolo cittadino e individuo, nasce da un potere che può essere definitivo risultante.
Credo che tutte le vicende politiche che caratterizzano la nostra storia recente, sia a livello nazionale che locale, possano essere lette secondo quest’ottica, in cui il potere risultante dai poteri in gioco ha la meglio sul cittadino e ne determina il destino. Cosa vuol dire ciò? Vuol dire che oggi non è più ipotizzabile un’azione di contrasto, nel senso che contro il potere come forza risultante non è possibile combattere, perché rinasce ogni volta, ed ha assunto definitivamente la forma del Leviatano indicata dal filosofo Hobbes.
L’unica maniera per controllarlo e limitarlo secondo i criteri della democrazia è quello di aggirarlo, evitarlo e togliergli forza. Tali motivi risiedono nella scelta di utilizzare le strutture gerarchiche ad ogni livello, scelta che nasce dalla necessità di gestione presente in vari settori, campi, attività, organizzazioni, situazioni, che presuppongono inevitabilmente delle guide competenti, perché presuppongono un’organizzazione. Ogni volta che c’è bisogno di organizzazione, vale a dire di operare secondo sinergie e secondo il coinvolgimento di più individui, sorge l’esigenza di un leader, di una guida. O meglio, più che l’esigenza di una guida, dovremmo dire che nasce l’esigenza di un’assunzione di responsabilità decisionali. Dal momento che occorre organizzarsi, occorrono anche direttive e carichi di responsabilità, ciò acquisizione di consapevolezza rispetto alle azioni da intraprendere. In base a ciò è evidente che ciò che si mostra assolutamente necessario non è tanto una leadership, una autorità effettiva, quanto un’acquisizione di responsabilità che può benissimo essere distribuita fra i più. Di fronte a poteri contro i quali non possiamo combattere, né sarebbe d’altro canto civile, possiamo però assumerci la responsabilità di aumentare il nostro stato di consapevolezza riguardo a ciò che succede a livello pubblico e collettivo.
Coscienza e consapevolezza sono le armi che il singolo può e deve utilizzare per difendersi da un potere sempre più inattaccabile e sempre più spiazzante. Solo questa presa di coscienza, che è del resto una delle finalità principali del nostro giornale, potrà finalmente costringere i poteri effettivi a occuparsi realmente della socialità e del bene pubblico, e smettere i panni di una politica caciarona e parolaia, che di tutto fa polemica e lotta, come se di per sé l’agone dialettico fosse garanzia di un ben fare.