Povertà e salute mentale
L’Angolo della psicologa
Povertà e salute mentale
di Serena Fugazzi
La relazione tra povertà e salute mentale, come nella gran parte dei fenomeni psicologici, segue una logica di tipo circolare, in cui le condizioni socio-economiche avverse aumentano il rischio di sviluppare problemi psicologici e, allo stesso tempo, questi disturbi aumentano il rischio di esclusione sociale. La prof.ssa De Carlo, ricercatrice presso la Loyola University di Chicago e i suoi collaboratori hanno condotto nel 2013 una revisione degli studi sul rapporto tra basso reddito e salute mentale.
Come evidenziato dagli autori della ricerca, la povertà può portare a subire una molteplicità di eventi stressanti, come tensione per la propria situazione economica, conflitti familiari, frequenti cambiamenti di residenza, disoccupazione, minori opportunità educative, ridotto accesso alle cure, aumento del rischio di esposizione a situazioni traumatiche, discriminazione sociale, etc.
In breve, le persone e le famiglie con uno status socioeconomico basso, sono maggiormente soggette a circostanze di vita avverse e di cui difficilmente hanno il controllo. Questa continua esposizione a stress può portare a conseguenze negative, come ad esempio una maggiore incidenza di depressione, ansia, disturbo post-traumatico, abuso di sostanze, problemi sociali, o difficoltà scolastiche.
D’altra parte, le problematiche psicologiche possono portare a un aumento del rischio di povertà e di esclusione sociale.
Il problema è di vasta portata se si considera che oggi un numero crescente di persone si trova a vivere al di sotto della soglia di povertà o a rischio di attraversarla. In Europa i dati Eurostat indicano che nel 2011 il 24,2% della popolazione nell’UE-27 era a rischio di povertà o di esclusione sociale. Il rischio è più alto tra i bambini, dove il tasso di povertà sale al 27%. In breve, una parte considerevole della popolazione potrebbe essere entrata o stare per entrare nella spirale tra povertà e problematiche psicologiche.
Inoltre, un ulteriore problema per le persone che vivono in condizione di povertà è la difficoltà ad accedere alle terapie per i disturbi mentali. Ad esempio, si è scoperto che solo il 13% degli adulti a basso reddito che hanno un disturbo post-traumatico ricevono un trattamento adeguato. E si stima che il quasi l’80% dei bambini provenienti da famiglie a basso reddito non abbiano accesso alle cure di salute mentale di cui hanno bisogno.
Quali sono le barriere che ostacolano o impediscono la disponibilità dei trattamenti psicologici per le persone più povere?
Gli autori della ricerca individuano tre categorie di ostacoli che impedirebbero l’accesso alle cure: barriere logistiche, credenze personali e familiari, e infine i limiti del sistema sanitario stesso.
Le barriere logistiche individuate dai ricercatori sono per esempio l’impossibilità di sostenere il costo economico del trattamento; le difficoltà di accesso ai centri di cura che a volte sono lontani; o semplicemente la mancata conoscenza delle possibilità di trattamento offerte dal Sistema Sanitario Nazionale.
Un’altra categoria di ostacoli è collegata alle credenze circa la salute mentale e i trattamenti terapeutici. Per esempio, la paura di essere stigmatizzati per il fatto di avere un problema psicologico può rappresentare un potente ostacolo al cercare aiuto; la paura di perdere la custodia dei bambini. In altri casi, credenze inesatte sulla malattia mentale possono portare la persona a preferire lasciare le cose così come sono.
Infine, una barriera di accesso alle cure è costituita dal funzionamento del sistema sanitario stesso, spesso carente di professionisti che conoscono la cultura e la lingua dei gruppi più colpiti dalla povertà; oppure per via dei pregiudizi propri del medico o del terapeuta; anche la carenza strutturale di risorse può ostacolare l’accesso delle persone ai trattamenti adeguati.
La De Carlo afferma che per rompere il circolo vizioso che collega povertà e problematiche psicologiche è necessario un approccio diverso tra gli operatori sanitari, più flessibile e socialmente consapevole. Ma richiede a tutta la società di tornare a porre al centro dell’attenzione le priorità dei gruppi economicamente svantaggiati, anche perché sono un numero sempre più considerevole.